La regressione, in matematica, è una tecnica per trovare la linea che meglio approssima i dati, potremmo dire che è un modo per addomesticare il mondo; una linea che rende mansueti punti dispersi.
Prendi i punti sparsi, cerchi la curva che minimizza la distanza tra ciò che osservi e ciò che prevedi.
Raccogli frammenti nel caos e cerchi una forma che riduca al minimo l'attrito tra osservazione e desiderio di ordine.
Riduci l’errore, attutisci il rumore, ottieni una funzione pulita, predittiva, utile, costruisci una predizione che tiene insieme il mondo quel tanto che basta, finché resta solo ciò che può essere previsto.
Ma quella funzione non è il mondo: è solo la migliore semplificazione che il modello può permettersi in quel contesto.
Quella curva non è la realtà, è solo il modo in cui accettiamo di abitare una porzione semplificata del reale.
Per definizione cancella gli scarti, le eccezioni, i punti che non si piegano alla curva.
La regressione umana, oggi, segue un percorso diverso, ma arriva in un luogo molto simile, potremmo dire allo stesso appiattimento.
Non cerchi più di ridurre l’errore tra te e la realtà.
Non tenti più di colmare lo scarto tra te e il mondo.
Lasci che sia l’algoritmo a farlo per te.
Deleghi alla macchina la cura di quel dislivello.
Le consegni la scelta e le lasci il compito di approssimare, le chiedi di scegliere, filtrare, decidere cosa conta; la gerarchia del senso.
Lei ottimizza la sua funzione di perdita, tu ottimizzi il tempo o la tua stanchezza. Entrambi, lentamente, vi allontanate dalla complessità originaria. Lei per design, tu per cedimento.
All’inizio sembra un vantaggio: l’algoritmo impara dai tuoi comportamenti, riduce il rumore, ti restituisce pattern.
Ma quei pattern diventano raccomandazioni, le raccomandazioni diventano abitudini, le abitudini diventano dati che l’algoritmo userà per addestrare la prossima versione di sé.
È un loop apparentemente perfetto (QUESTO SAREBBE IL LOOP IN CUI LO HUMAN DEVE ESSERE INSERITO): tu gli insegni cosa vuoi (o cosa accetti), lui ti mostra cosa hai imparato a volere.
Nessuno dei due sta veramente esplorando.
State regredendo insieme verso la media, quella linea che approssima meglio, ma che per definizione cancella ciò che non si piega.
È qui che entra in scena il System 0.
Non è una macchina, è l’aria in cui si muovono tutte le macchine.
Non è un algoritmo: è la grammatica di fondo del mondo in cui queste regressioni avvengono.
È l’insieme delle condizioni di possibilità: abitudini culturali, infrastrutture, incentivi, metriche, linguaggi, che decidono in anticipo quali errori sono tollerabili e quali no, quali deviazioni possono sopravvivere e quali verranno automaticamente riportate sulla curva.
Il System 0 è ciò che c’è prima dei sistemi 1 e 2 di Kahneman, prima del modello di machine learning, prima ancora di te.
È il contesto che allinea, normalizza, rende “ovvio” un certo modo di pensare con le macchine e quasi impensabile qualsiasi altro.
Per questo sostengo che l’uomo non deve essere “nel loop”.
Se resta dentro un ciclo progettato dal System 0, finisce per fare il guardiano di decisioni già prese altrove.
Spunta caselle, approva previsioni, firma raccomandazioni.
È formalmente responsabile ma sostanzialmente impotente: una decorazione etica, una foglia di fico legale, un prete che assolve peccati già commessi dall’infrastruttura.
Essere fuori dal loop non significa rifuggire dalla tecnica o abbandonare le macchine, ma cambiare livello: umano non come correttore di ultima istanza, ma come architetto delle soglie, dei vincoli, delle eccezioni, degli spazi di disaccordo interno al System 0 stesso.
La regressione non è un tradimento, diventa un’ecologia.
Umani e algoritmi si co-addestrano.
Se tu smetti di portare complessità, dubbio, errore, esplorazione, lentezza inutile, il sistema nel suo insieme regredisce.
Non verso il passato, ma verso un presente irrigidito, perfetto e inerte, in cui tutto funziona meglio ma niente vibra più.
La domanda sembrava essere: da dove voglio guardare il loop?
Dentro, sei un filtro.
Fuori, puoi rimettere in discussione il System 0 e decidere che non tutto ciò che può essere approssimato merita di esserlo.
Ma nel momento esatto in cui ti dico «esci», «ridefinisci la loss function», «cambia livello», devo subito rimangiarmi tutto.
Perché anche quell’uscita è già stata “regressata” o per meglio dire catturata.
Il System 0 ha imparato a metabolizzare la critica prima ancora che nasca.
Ha aperto un reparto per la complessità responsabile, un dipartimento per il pensiero critico, una sezione premium per la decrescita lenta, un master su come “essere meno prevedibili”, un corso breve sul giudizio indipendente.
Ha trasformato il desiderio di complessità in un altro gradiente da scendere.
LO SPIRITO CRITICO IN UN SERVIZIO.
La ribellione è diventata una feature.
Un toggle avanzato nelle impostazioni dell’anima.
Diventare “architetto delle soglie” è già una professione retribuita in stock option: si chiama prompt engineer senior, consulente etico per fondazioni che finanziano l’AI alignment, filosofo residente che rende la loss function più presentabile, mai abolita.
Il dissenso viene integrato, la diversità viene curata come risorsa, la critica viene catalogata, etichettata “diversity hire” e monetizzata prima ancora di essere compresa.
È una regressione diversa: non verso la media statistica, ma verso una complessità pronta per l’uso.
L’unico scarto che il System 0 non sa ancora TRATTARE è quello che non emette segnale, che non lascia dato.
Non la resistenza rumorosa, non la protesta critica, non il sabotaggio spettacolare, non il manifesto virale.
Quelli sono dati ricchi, oro puro per il prossimo ciclo di training.
L’unica deviazione reale è l’opacità radicale: l’uscita che non lascia impronta, la regressione verso l’illegibilità strutturale.
L’opacità radicale è un’assenza. Un buco nel tessuto. Un silenzio che non può essere convertito in insight.
La vera deviazione è l'opacità.
Diventare un punto che nessuna curva può includere senza far esplodere l’errore oltre la soglia di tolleranza.
Non perché sei estremo, ma perché sei oscuro.
Non perché urli, ma perché smetti di parlare nel linguaggio che il sistema sa registrare.
E allora diventano decisivi gesti minuscoli, quasi invisibili, ecco degli esempi apparentemente banali, in realtà letali:
- amare qualcuno senza mai scrivergli su nessuna piattaforma
- leggere un libro senza sottolinearlo, recensirlo, citarlo
- passare un pomeriggio intero a guardare un muro senza che nessuna telecamera o smartwatch lo sappia
- avere un pensiero che non verrà mai trasformato in contenuto
- coltivare un segreto così profondo da non essere nemmeno articolabile
- fallire in modo così privato che nessuna metrica potrà mai redimerlo
- custodire un desiderio per qualcosa che non ha nome e quindi non può entrare in nessun dataset di preferenze
Questi non sono atti di virtù.
Sono atti di sottrazione pura.
Non aggiungono complessità: la tolgono al sistema.
Sono la versione umana del NaN, del valore mancante che, accumulato in quantità sufficiente, fa collassare il training.
Il System 0 sa gestire l’errore, il noise, persino l’avanguardia della critica radicale.
Quello che non sa gestire è l’assenza di dati.
Non sa gestire ciò che non compare.
L’assenza non è una posizione politica: è una fenditura ontologica.
Un silenzio che non può essere convertito in insight, un’assenza che non può essere trasformata in prodotto.
L'assenza disarma il System 0 in un punto che nessuna curva può includere senza far crollare la forma stessa del calcolo.
Essere fuori dal loop, alla fine, non significa salire di livello.
Significa scendere sotto la soglia di rilevabilità, diventare una zona d’ombra in un mondo che pretende trasparenza.
Non diventare architetti del System 0, ma fantasmi dentro di esso.
Non ridefinire la loss function, ma far sì che per una porzione decisiva della tua vita non esista alcuna funzione in grado di valutarti.
Significa non ridefinire funzioni, ma lasciare che una parte di te resti non mappata.
È l’equivalente di spegnere la torcia per un istante e lasciare che l’occhio si abitui al buio.
È un gesto quasi ascetico, quasi criminale nella sua inutilità.
Non lascia traccia, non scala, non è riproducibile.
È un gesto che non produce esempio, non crea scuola, non costruisce evidenza.
Per questo funziona.
La regressione verso la media fallisce quando troppi punti smettono di esistere per il modello.
Non perché si spostano all’infinito, ma perché spariscono dal piano di misurazione.
Forse la vera rivoluzione non sarà visibile.
Sarà l’insieme silenzioso di tutte le vite che, un giorno, avranno deciso di non essere più buoni dati.
Una regressione all’indietro, verso un’opacità pre-statistica.
Un ritorno all’analogico dell’esistenza, prima che tutto diventasse discreto, pesabile, ottimizzabile.
Non vinceremo cambiando il sistema.
Vinceremo, se mai vinceremo, rendendoci strutturalmente illeggibili.
E il bello è che non lo saprà nessuno.
Nemmeno noi.