Introduzione
Charles Tilly e Sidney Tarrow rappresentano due figure centrali nello sviluppo degli studi sui movimenti sociali e sulla politica contesa. Tilly, storico e sociologo scomparso nel 2008, è stato pioniere nell'analisi storico-comparativa dei conflitti politici, mentre Tarrow ha contribuito in modo determinante alla teoria dei movimenti sociali e delle opportunità politiche. La politica del conflitto (edizione originale Contentious Politics, 2006) costituisce una sintesi matura del loro pensiero, frutto di decenni di ricerca empirica e riflessione teorica.
L'opera si propone di fornire un framework analitico unificato per comprendere le diverse forme di azione politica che si manifestano nella società, dalla protesta di piazza alle rivoluzioni, dalle campagne elettorali ai conflitti etnici, ecc.. La tesi centrale del libro è che, al di là della diversità empirica dei fenomeni conflittuali, esistano meccanismi causali e processi ricorrenti che possono essere identificati, analizzati e comparati attraverso contesti storici e geografici differenti. Questo approccio rappresenta un tentativo ambizioso di superare sia l'empirismo descrittivo, sia le grandi narrazioni teoriche omnicomprensive, proponendo una via intermedia fondata sull'identificazione di meccanismi specifici che producono effetti simili in contesti diversi.
Inquadramento teorico e metodologico
Il paradigma del conflitto politico o della politica conflittuale, elaborato da Tilly, Tarrow e McAdam, rappresenta un punto di svolta negli studi sui movimenti sociali. Emerso negli anni Novanta come sviluppo critico della teoria della mobilitazione delle risorse e della teoria del processo politico, questo approccio amplia significativamente il campo di indagine. Anziché limitarsi ai movimenti sociali in senso stretto, gli autori propongono di studiare tutte le forme di interazione politica conflittuale in cui attori collettivi avanzano rivendicazioni che, se realizzate, andrebbero a toccare gli interessi di altri attori, del potere e di chi lo detiene.
L'innovazione metodologica più significativa risiede nell'approccio basato sui meccanismi. Tilly e Tarrow rifiutano esplicitamente tanto le spiegazioni idiografiche (che cercano di descrivere e comprendere il singolare) , che trattano ogni evento come unico e irripetibile, quanto le leggi universali di tipo nomotetico (modo di impostare una ricerca conoscitiva che miri alla scoperta di un assetto normativo della realtà regolata quindi nel suo complesso da leggi universali). Propongono invece di identificare meccanismi causali che vengono definiti come classi delimitate di eventi che alterano le relazioni tra specifici elementi in modi identici o molto simili in una varietà di situazioni. Questi meccanismi (diffusione, certificazione, radicalizzazione, ecc.) si combinano in processi che producono gli episodi conflittuali osservabili empiricamente.
La distinzione analitica fondamentale è quella tra episodi, repertori e performances. Gli episodi sono sequenze continue di azione contesa, i repertori sono gli insiemi limitati di mezzi d'azione che gli attori hanno a disposizione e sanno utilizzare, mentre le performances sono le singole interazioni conflittuali (manifestazioni, petizioni, scioperi, ecc.). Questa articolazione concettuale permette di collegare le azioni individuali ai pattern storici di lungo periodo.
Il metodo comparativo storico impiegato dagli autori attinge a un vasto repertorio di casi empirici, spaziando dalla Francia rivoluzionaria ai movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti, dalle rivoluzioni colorate dell'Europa orientale ai conflitti etnici africani. Questa ampiezza empirica non è meramente illustrativa: serve a testare la portata esplicativa dei meccanismi identificati e a dimostrare come processi simili operino in contesti apparentemente molto diversi. La comparazione non è limitata ai movimenti sociali progressisti ma include nazionalismi, movimenti religiosi, rivolte e violenza collettiva, restituendo così una visione più completa della politica contesa.
I contenuti principali e i concetti chiave
Al centro dell'analisi di Tilly e Tarrow sta il concetto di repertorio di contesa/conflitto/confronto, forse il contributo più influente di Tilly alla sociologia politica. I repertori sono insiemi culturalmente codificati di forme d'azione che gli attori politici conoscono, condividono e utilizzano nelle loro interazioni conflittuali. Non sono semplicemente strumenti neutri ma incorporano significati condivisi e vengono appresi attraverso l'esperienza e la trasmissione culturale. Gli autori documentano la trasformazione storica dei repertori, dal conflitto specifico e particolare dell'età moderna ai repertori nazionali e modulari che sono emersi nel diciannovesimo secolo. Le forme contemporanee di azione, dalla manifestazione di massa allo sciopero organizzato, dalla petizione al sit-in, sono storicamente specifiche, legate all'emergere dello stato nazionale, alla pratica della cittadinanza e ai mass media.
I meccanismi causali costituiscono il cuore dell'apparato analitico proposto. Tilly e Tarrow ne identificano numerosi, raggruppandoli in categorie funzionali. I meccanismi ambientali modificano le condizioni esterne (ad esempio, la disponibilità di alleati potenti). I meccanismi cognitivi operano sulla percezione e sulla costruzione di significati (framing, costruzione di identità collettive). I meccanismi relazionali alterano le connessioni tra persone, gruppi e reti (formazione di coalizioni). L'intermediazione indica il processo attraverso cui nuove connessioni vengono stabilite tra ambiti e realtà sociali precedentemente sconnessi, permettendo la diffusione partecipata delle rivendicazioni e delle forme d'azione. La certificazione e la decertificazione descrivono il modo in cui attori esterni legittimano o delegittimano specifici attori o loro rivendicazioni. La radicalizzazione e la deradicalizzazione spiegano l'intensificarsi o il moderarsi delle forme d'azione e delle richieste.
Una distinzione analitica cruciale è quella tra forme di contenzione (fisica, chimica, o ambientale) che può essere esercitata in forma contenuta o trasgressiva. La prima si riferisce a forme di conflitto che avvengono entro procedure stabilite, coinvolgono attori politici riconosciuti utilizzzando mezzi d'azione legittimi. La seconda include azioni che oltrepassano i confini dell'azione convenzionale, coinvolgono nuovi attori non riconosciuti e/o impiegano mezzi innovativi o illegittimi. Le rivoluzioni, i movimenti di liberazione nazionale e le insurrezioni sono forme paradigmatiche di contenzione trasgressiva, ma anche movimenti apparentemente moderati possono includere fasi transgressive. La dinamica tra queste due forme è centrale per comprendere l'evoluzione dei conflitti politici.
Attraverso simboli, rituali, organizzazione di eventi di massa e atti di sacrificio, gli attori della contesa cercano di dimostrare di essere meritevoli di sostegno, compatti internamente, numericamente rilevanti e seriamente impegnati nella loro causa. Questi display pubblici non sono semplici epifenomeni ma costituiscono parte integrante della politica conflittuale, influenzando le reazioni di autorità, alleati potenziali e l'opinione pubblica.
La relazione tra stato, regime politico e forme di mobilitazione attraversa l'intera opera degli autori. Tilly e Tarrow mostrano come la struttura dello stato e il tipo di regime (democratico, autoritario, totalitario) condizionino profondamente le opportunità e i vincoli dell'azione collettiva. L'espansione storica della cittadinanza, la costruzione di istituzioni rappresentative e l'emergere di diritti politici hanno trasformato radicalmente gli ambiti del conflitto. Nei regimi democratici, la contenzione tende ad essere più contenuta, mentre i regimi autoritari favoriscono forme di conflitto più transgressive e spesso violente. Tuttavia, questa relazione non è meccanica: anche le democrazie sperimentano episodi di contenzione trasgressiva, e nei regimi autoritari esistono spazi per forme limitate di protesta contenuta.
Gli autori dedicano particolare attenzione ai processi di formazione e trasformazione degli attori collettivi. La mobilitazione non è mai automatica: richiede la costruzione di identità collettive, l'organizzazione di risorse, la creazione di reti di comunicazione e la formazione di leadership. Gruppi sociali preesistenti vengono mobilitati politicamente attraverso la costruzione di identità noi/loro. La polarizzazione descrive l'ampliamento delle distanze politiche e l'intensificazione delle identità contrapposte, un processo particolarmente rilevante nei conflitti etnici e nazionalistici.
Valutazione critica
La politica del conflitto presenta numerosi punti di forza che ne hanno assicurato una posizione centrale nella letteratura specialistica. In primo luogo, la ricchezza empirica è straordinaria: pochi lavori teorici possono vantare una base così ampia di casi studiati, che spaziano per secoli e continenti. Questa profondità empirica non è meramente illustrativa ma costituisce la base per la validazione dei meccanismi proposti. La capacità di Tilly e Tarrow di muoversi con padronanza tra rivoluzione francese, movimenti operai e ottocenteschi, lotte per i diritti civili e conflitti contemporanei dimostra la robustezza del framework analitico.
L'approccio basato sui meccanismi rappresenta un significativo progresso metodologico. Evitando tanto il particolarismo radicale quanto l'universalismo astratto, gli autori propongono un livello intermedio di generalizzazione che risulta empiricamente fecondo. L'identificazione di meccanismi ricorrenti permette comparazioni sistematiche senza sacrificare la sensibilità contestuale.
La concezione dinamica e relazionale della politica conflittuale supera efficacemente le limitazioni di approcci più statici. Tilly e Tarrow non trattano i movimenti sociali come entità isolate ma come parte di sistemi complessi di interazione che includono stati, contromosse, opinione pubblica, media e alleati potenziali. Questa prospettiva relazionale cattura meglio la fluidità e l'imprevedibilità dei processi politici reali.
L'opera non è priva di limiti e ha suscitato diverse critiche, in primo luogo per il suo eurocentrismo di fondo. Sebbene gli autori includano casi extraeuropei, il modello evolutivo degli ambiti conflittuali presi in considerazione è esplicitamente basato sull'esperienza europea e nordamericana. Applicare questo schema a contesti postcoloniali, asiatici o africani solleva questioni su quanto il framework adottato possa catturare adeguatamente dinamiche politiche radicate in storie e culture diverse.
Un secondo limite riguarda l'enfasi sulla dimensione politico-istituzionale a scapito di fattori culturali, economici e sociali più profondi. Tilly e Tarrow privilegiano meccanismi che operano nel dominio politico in senso stretto. Questo lascia in ombra i processi attraverso cui i significati vengono costruiti, contestati e trasformati. La dimensione simbolica ed espressiva dell'azione collettiva rischia di essere ridotta a strumento tattico, piuttosto che essere riconosciuta come componente costitutiva della politica.
La questione dell'agency individuale e collettiva rappresenta un altro punto delicato. L'enfasi sui meccanismi e sui processi può dare l'impressione di un determinismo strutturale in cui gli attori sono più agiti che agenti.
Alcune conclusioni
Nonostante i limiti evidenziati, La politica del conflitto rimane un contributo fondamentale agli studi contemporanei sui movimenti sociali e sulla politica contesa. L'approccio basato sui meccanismi ha ispirato un'intera generazione di studiosi e continua a produrre ricerche empiriche rigorose. Il vocabolario concettuale elaborato da Tilly e Tarrow è ormai parte integrante del linguaggio disciplinare.
L'applicabilità del framework ai conflitti attuali resta notevole. Le mobilitazioni contemporanee, dalle primavere arabe a Occupy Wall Street, dai movimenti ambientalisti a Black Lives Matter, possono essere efficacemente analizzate attraverso le categorie proposte dagli autori. La diffusione transnazionale dei repertori d'azione, il ruolo dei social media, le dinamiche di radicalizzazione e deradicalizzazione, la costruzione di coalizioni tra attori diversi sono tutti fenomeni che trovano negli strumenti analitici di Tilly e Tarrow una chiave interpretativa potente.
Particolarmente rilevante risulta la capacità del framework di attraversare i confini tradizionali tra diverse forme di conflitto politico. In un'epoca in cui i movimenti sociali si internazionalizzano, in cui proteste democratiche e autoritarismi si confrontano globalmente, in cui la linea tra contenzione contained e transgressive si fa più fluida, l'approccio olistico di Tilly e Tarrow offre strumenti concettuali preziosi.
L'opera mantiene inoltre una rilevanza metodologica come modello di integrazione tra teoria e ricerca empirica. Il lavoro di Tilly e Tarrow drappresenta un esempio di sociologia storica comparativa al suo meglio, capace di combinare rigore analitico, profondità storica e sensibilità contestuale.
In conclusione, La politica del conflitto costituisce una sintesi matura e sistematica di decenni di ricerca sulla conflittualità politica. L'opera offre un framework analitico robusto, empiricamente fondato e concettualmente sofisticato. Per chiunque si occupi di movimenti sociali, conflitti politici, democrazia e partecipazione, rimane un punto di riferimento imprescindibile e una fonte continua di intuizioni teoriche ed empiriche. Il fatto che, a distanza di anni dalla pubblicazione, il dibattito accademico continui a confrontarsi criticamente con le tesi di Tilly e Tarrow testimonia la vitalità e la rilevanza duratura di questo lavoro fondamentale.