Nelle notti di Baghdad del IX secolo, mentre l'Occidente dormiva nel buio dei suoi secoli bui, gli astronomi della Casa della Saggezza non distinguevano tra osservazione celeste e governance terrestre. Al-Kindi scriveva che "la scienza delle stelle è la scienza dell'ordine universale", e Ibn al-Haytham dimostrava che ogni fenomeno celeste aveva una corrispondenza nei ritmi dell'organizzazione sociale. Non erano semplici tecnici che calcolavano orbite: erano i custodi di una sapienza sistemica che sapeva leggere nei movimenti cosmici le regole profonde dell'esistenza comunitaria.
Questa capacità di lettura dei pattern nascosti è precisamente ciò che abbiamo perduto nell'era dell'intelligenza artificiale, quando abbiamo delegato alle macchine la facoltà di riconoscere connessioni e di prendere decisioni. Le acute riflessioni sulla comunicazione perduta e sulla leadership organizzativa toccano il cuore di una questione che travalica il tecnico per diventare antropologica: siamo diventati stranieri ai nostri stessi ritmi, incapaci di distinguere tra chronos - il tempo meccanico delle macchine - e kairos - il tempo opportuno dell'azione umana.
La prima riflessione ci ricorda con precisione chirurgica come la comunicazione contemporanea abbia perduto ogni rapporto con la misura temporale. "Rispondiamo senza leggere. Scriviamo senza pensare": una condizione che va oltre la semplice distrazione: è la frantumazione di quella sincronizzazione cosmica che per millennii ha governato l'esperienza umana. Lo smartphone non è solo un dispositivo: è l'agente di una "collisione cosmologica" che ha sovrapposto tutti i tempi in un eterno presente nevrotico.
Come l'antica arte di leggere i segni del cielo può guidare la rivolta contro la tirannia della velocità digitale.
Ma c'è una follia più profonda in questa osservazione, una follia che ci riconnette all'antica saggezza astronomica: l'apparente insensatezza di chi, in un mondo che grida l'urgenza perpetua, sceglie di tacere e di attendere. Come gli astronomi antichi che sapevano distinguere i tempi dell'osservazione dai tempi dell'azione, oggi chi pratica la lentezza della comunicazione autentica viene percepito come un ostacolo all'efficienza. Eppure, come insegna il filosofo cinese Zhuangzi, "l'azione più efficace è quella che non forza i tempi naturali delle cose".
La seconda riflessione, dedicata alla leadership dei Project Management Office, rivela come questa stessa perdita di sensibilità temporale affligga l'organizzazione del lavoro. "La maggior parte delle decisioni operative non nasce da valutazioni puramente razionali, ma da abitudini organizzative profondamente radicate": un punto che l'epistemologia occidentale fatica ad ammettere: l'irriducibilità dell'organizzazione umana alla logica algoritmica.
Un PMO efficace è quello che sa "adattarsi al contesto, comprendere la cultura aziendale, sfruttarne i punti di forza e correggerne le debolezze senza forzare il cambiamento". Questa capacità di lettura contestuale riecheggia l'antica arte dell'orientamento astronomico: così come i costruttori di Samarkanda orientavano i loro osservatori secondo precise corrispondenze cosmiche, un leader organizzativo deve saper riconoscere i pattern nascosti della comunità lavorativa, rispettarne i ritmi profondi, intervenire nei momenti di kairos piuttosto che imporre chronos meccanici.
Ma qui emerge la dimensione più radicale della riflessione: in un'epoca che ha fatto dell'intelligenza artificiale il proprio oracolo, che delega agli algoritmi la capacità di riconoscere connessioni e di ottimizzare processi, scegliere di affidarsi all'intelligenza umana - con la sua lentezza, la sua fallibilità, la sua necessità di silenzio - diventa un atto di resistenza epistemologica. È la saggezza di chi, nell'epoca della razionalità efficientista, continua a navigare secondo stelle che le macchine non sanno vedere.
Il pensatore marocchino Mohammed Abed al-Jabri², nei suoi studi sulla ragione araba, mostrava come ogni cultura sviluppi forme specifiche di razionalità, irriducibili a modelli universali. Allo stesso modo, ogni organizzazione umana ha i suoi tempi di maturazione, le sue stagioni di creatività e di consolidamento, i suoi momenti di eclissi e di rinascita. Un PMO che ignora questa dimensione ciclica, che applica metodologie standardizzate senza considerare il contesto culturale, rischia di diventare "un ostacolo piuttosto che un supporto".
La comunicazione autentica e la leadership organizzativa efficace richiedono entrambe quella che il filosofo indiano Jiddu Krishnamurti³ chiamava "attenzione senza scelta": la capacità di osservare i fenomeni senza pregiudizi, di riconoscere i pattern emergenti senza forzarli dentro schemi precostituiti. È l'equivalente contemporaneo di quella "pazienza astronomica" che permetteva agli antichi osservatori di distinguere i movimenti regolari dei pianeti dalle apparizioni imprevedibili delle comete.
Nell'era dell'intelligenza artificiale, questa pazienza diventa ancora più preziosa. Le macchine sono capaci di processare enormi quantità di dati e di riconoscere correlazioni statistiche, ma mancano di quella sensibilità qualitativa che permette di cogliere il momento giusto per parlare o per tacere, per intervenire o per attendere, per strutturare o per lasciare spazio all'emergenza. Come osserva il pensatore senegalese Souleymane Bachir Diagne⁴, "la sapienza non si riduce all'informazione: è la capacità di tessere relazioni significative tra le cose".
Recuperare l'arte della lettura dei segni - tanto nella comunicazione quanto nell'organizzazione del lavoro - significa quindi rivendicare uno spazio di umanità irriducibile all'automazione. Non per nostalgia di un passato perduto, ma per necessità di futuro. Perché, come sapevano gli astronomi di Cordova e di Samarcanda, alcune connessioni possono essere colte solo da chi sa abitare il tempo con pazienza, da chi sa distinguere l'essenziale dall'urgente, da chi ha il coraggio di sembrare folle agli occhi di una razionalità che ha perso il contatto con i ritmi profondi della vita.
La vera rivoluzione, forse, non sta nell'accelerare ulteriormente i processi o nel perfezionare l'efficienza algoritmica, ma nel riapprendere quella "follia" della lentezza: "spegnere il dispositivo, scrivere parole intere e ponderate, ascoltare un silenzio". Nella gestione dei progetti come nella comunicazione quotidiana, si tratta di riscoprire che alcune decisioni richiedono tempi di sedimentazione che nessuna intelligenza artificiale può comprimere, che alcune relazioni maturano solo attraverso quella "presenza sincronizzata" che sfugge alla logica della connessione perpetua.
Il filosofo russo Pavel Florenskij⁵, nei suoi studi sulla "prospettiva rovesciata" dell'arte bizantina, mostrava come esistano forme di visione che richiedono tempi diversi da quelli della percezione ordinaria. Allo stesso modo, la comprensione profonda dei pattern organizzativi - tanto nella comunicazione quanto nella leadership - richiede una "prospettiva rovesciata" rispetto alla velocità contemporanea: momenti in cui non trasmettiamo ma riceviamo, non ottimizziamo ma contempliamo, non controlliamo ma ci lasciamo guidare dai segnali deboli che emergono dal sistema.
Sulla strada contemporanea dell'iperconnessione, dove viaggiano insieme manager iperconnessi e comunicatori compulsivi, la saggezza più necessaria è forse quella di chi mantiene lo sguardo rivolto alle stelle: non per evadere dalla realtà terrestre, ma per ricordare che esistono ritmi più profondi di quelli imposti dalle notifiche, pattern più saggi di quelli riconosciuti dagli algoritmi, tempi più fecondi di quelli scanditi dalla produttività digitale.
In fondo, come sapevano gli antichi astronomi, tutto nell'universo - anche quello aziendale, anche quello comunicativo - è questione di orientamento, di sincronizzazione, di capacità di leggere i segni. La vera competenza, oggi come allora, non sta nell'applicazione meccanica di procedure, ma nella sensibilità di chi sa quando è il momento di agire e quando è il momento di attendere, quando è necessario parlare e quando è più saggio tacere.
È questa la sapienza che dobbiamo riapprendere: non per diventare meno efficienti, ma per diventare più umani. Non per rallentare i processi, ma per renderli più fecondi. Non per nostalgia del passato, ma per salvaguardare la possibilità di un futuro in cui le macchine servano l'intelligenza umana, e non viceversa.
Il tempo della sapienza non si misura in millisecondi, ma in ere. Non in ottimizzazioni, ma in trasformazioni. È questo il vero lusso dell'era digitale: il coraggio di sembrare saggi per rimanere umani.
Note bibliografiche
- Zhuangzi (Chuang Tzu), a cura di Augusto Shantena Sabbadini, Feltrinelli, Milano, Universale economica. Oriente, 2012.
- Mohammed Abed al-Jabri, La ragione araba, Feltrinelli, Milano, 1996.
- Jiddu Krishnamurti: Per approfondire il concetto di "attenzione senza scelta", si vedano le sue opere principali tradotte in italiano, tra cui La libertà dal conosciuto e Il libro della vita.
- Souleymane Bachir Diagne: Filosofo senegalese, professore alla Columbia University, esperto di filosofia islamica e pensiero africano. Tra le sue opere principali: Islam and Open Society e African Art as Philosophy.
- Pavel Aleksandrovic Florenskij, La prospettiva rovesciata, Adelphi, Milano, Piccola biblioteca Adelphi, 2014.