Go down

In un’epoca in cui la complessità organizzativa paralizza l’azione, il metodo GE Work-Out si impone come strumento radicale e pragmatico per liberare energie e competenze. Nato all’interno di General Electric sotto la spinta di Jack Welch, questo approccio ha dimostrato come si possano abbattere burocrazie, accelerare le decisioni e valorizzare chi lavora “sul campo”. Il libro *The GE Work-Out*, scritto da tre dei suoi ideatori, racconta l’esperienza concreta di un cambiamento guidato dal basso, dove le persone propongono soluzioni e i manager decidono sul momento. Un modello ancora attuale per chi vuole rimettere al centro il sapere operativo e trasformare l’organizzazione in un organismo capace di agire, non solo di pianificare.


Ci sono ancora luoghi dove le cose funzionano.

Non sempre. Non per caso. Ma perché qualcuno, nel momento giusto, sa cosa fare. Non apre un ticket. Non interpella un comitato. Non invoca una metodologia. Agisce.
Ha memoria, contesto, esperienza. Sa. E fa.

Ma in molte organizzazioni di oggi — soprattutto in quelle che dichiarano di voler crescere, innovare, digitalizzarsi — questo tipo di sapere non ha più cittadinanza.
Non serve. Anzi, disturba.

Il sapere operativo trasversale, quello che non ha bisogno di ruoli perché ha già conosciuto gli effetti delle scelte, viene neutralizzato con eleganza. Si dice: “non è più il tuo ambito”, “non sei su quel progetto”, “ormai abbiamo processi dedicati”.
Tradotto: non intervenire.
Tradotto meglio: non pensarci nemmeno.

La forma sostituisce la sostanza. Il processo prevale sulla soluzione.
Così, quando un problema emerge, si preferisce la via lunga: analisi, validazione, escalation, service desk, supporto esterno.
Meglio un errore tracciabile che una correzione informale.
Meglio una lentezza documentata che una competenza non autorizzata.

Il punto non sono i silos. Quelli, almeno, hanno una funzione: organizzano, specializzano, mettono a fuoco.
Il vero problema è l’isolamento deliberato.
La separazione irrigidita. La sordità progettata.
Ogni reparto è diventato un perimetro, ogni perimetro un confine, ogni confine un muro.
E ogni muro, una difesa contro chi sa fare.

Allora mi chiedo:
è davvero sbagliato che chi non è più “responsabile di funzione” dica la sua, se vede un rischio o un errore?
È giusto che la conoscenza tacita venga ridotta a disturbo?

Forse non ci fidiamo più della competenza.
Ci fidiamo della governance, delle board, dei workflow.
Ma non di chi ha imparato sulla pelle, di chi conosce gli attriti, di chi riconosce gli inganni della procedura.
E allora lo si mette da parte. Lo si invita al silenzio. Lo si lascia lì, senza conflitto ma senza ascolto.

Eppure, i problemi veri non rispettano i confini funzionali.
Non passano per il marketing o per l’IT: li attraversano.
Sono ibridi, sfuggenti, transdisciplinari. Come le competenze che servirebbero per affrontarli.

Il sapere, quello vero, quello che si è fatto esperienza, non scompare.
Ma può venire sepolto.
E in molte imprese è già successo.

La domanda è aperta, e vale più del giudizio:
è giusto pretendere che chi sa taccia, in nome della coerenza dei ruoli?
Oppure stiamo sacrificando intelligenza per mantenere in piedi l’illusione dell’ordine?

Io non ho risposte.
Ma so riconoscere una voce esclusa.
E oggi, più che mai, ce ne sono troppe.

StultiferaBiblio

  • Ron Ashkenas, Steve Kerr, David Ulrich, The GE Work-Out McGraw Hill, 2002,

Pubblicato il 15 agosto 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto