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Uno dei principi fondanti dei microservizi è la coesione funzionale. In ambienti monolitici, l’accumulo progressivo di logiche eterogenee porta a un degrado architetturale che rende ogni modifica un rischio sistemico. Nei microservizi, invece, si costruiscono boundary espliciti attorno a funzioni ben delimitate, spesso modellate secondo i concetti del Domain-Driven Design. Questa decomposizione consente una governance più chiara del codice e delle dipendenze, riducendo l’accoppiamento tra componenti e favorendo il cognitive load ottimale per i team. Ma quanto deve essere "piccolo" un microservizio?


Negli ultimi anni, la progettazione dei sistemi software ha attraversato un’evoluzione significativa, guidata non solo dall’adozione di nuove tecnologie, ma soprattutto dalla maturazione di pratiche ingegneristiche incentrate sull’efficienza operativa, la resilienza e la scalabilità. In questo contesto si colloca l’architettura a microservizi: non una rivoluzione improvvisa, ma il risultato organico di decenni di esperienze sul campo.

La frammentazione dei sistemi in servizi piccoli, indipendenti e specializzati risponde a esigenze concrete: ridurre la complessità locale, favorire il deployment continuo, migliorare l’allineamento tra domini funzionali e domini tecnologici. Si tratta, in sostanza, di trasformare un sistema monolitico in un ecosistema distribuito, in cui ogni servizio incarna una singola responsabilità ben definita.

Uno dei principi fondanti dei microservizi è la coesione funzionale. In ambienti monolitici, l’accumulo progressivo di logiche eterogenee porta a un degrado architetturale che rende ogni modifica un rischio sistemico. Nei microservizi, invece, si costruiscono boundary espliciti attorno a funzioni ben delimitate, spesso modellate secondo i concetti del Domain-Driven Design. Questa decomposizione consente una governance più chiara del codice e delle dipendenze, riducendo l’accoppiamento tra componenti e favorendo il cognitive load ottimale per i team.

Ma quanto deve essere piccolo un microservizio? Non esiste una metrica univoca: dipende dalla complessità del dominio, dal linguaggio utilizzato, dai vincoli operativi. Un principio pragmatico suggerisce che un microservizio dovrebbe poter essere riscritto in pochi giorni da un team autonomo, o essere abbastanza isolato da non richiedere cambiamenti sincronizzati nel resto dell’ecosistema. Se un servizio non può essere rilasciato indipendentemente, allora non è veramente un microservizio.

L’autonomia operativa è il fondamento che consente a un’architettura distribuita di evolvere senza attriti. Ogni microservizio deve poter essere distribuito, scalato e aggiornato in modo indipendente. Questo richiede non solo un disaccoppiamento tecnico, ma anche organizzativo: team piccoli, cross-funzionali e responsabili del ciclo di vita completo del servizio, dal codice all’infrastruttura (you build it, you run it).

Il disaccoppiamento è garantito dall’uso sistematico di API ben progettate e tecnologicamente agnostiche. Le interfacce devono essere stabili, versionate e costruite per minimizzare la conoscenza condivisa. Il principio guida è semplice: se per modificare un servizio dobbiamo modificare anche altri, allora il disaccoppiamento è insufficiente. In ambienti ad alta frequenza di rilascio, questo tipo di fragilità rappresenta un ostacolo critico alla delivery continua.

Uno dei vantaggi più sottovalutati dei microservizi è la possibilità di scegliere la tecnologia giusta per ogni contesto. Invece di forzare scelte uniformi e spesso subottimali, possiamo impiegare linguaggi, framework e database diversi a seconda delle caratteristiche funzionali e prestazionali di ciascun servizio.

Questo approccio abilita una sperimentazione controllata: un nuovo framework o DB può essere introdotto in un servizio non critico, testato in produzione in condizioni reali, e adottato progressivamente. In termini DevOps, questo riduce il blast radius degli esperimenti e migliora la nostra capacità di assorbire innovazione, mitigando i rischi sistemici associati al cambiamento tecnologico.

L’architettura a microservizi non è una panacea, ma un insieme di scelte progettuali coerenti che richiedono disciplina, esperienza e una profonda comprensione dei compromessi ingegneristici. È un paradigma emergente da anni di evoluzione nell’ingegneria del software, radicato in principi ben consolidati e supportato da un ecosistema DevOps sempre più maturo.

Nei prossimi articoli esplorerò in dettaglio alcuni dei temi appena accennati: organizzazione dei team, gestione della complessità operativa, strumenti per l’osservabilità, pattern di orchestrazione vs. coreografia, antifragilità dei sistemi distribuiti.


Pubblicato il 16 aprile 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto