Bot everywhere, ChatGPT et similia sempre all’opera, usate da moltitudini di persone che gioiscono al solo vedere quanto intelligenti, creative, piacione e furbe esse siano.
Algoritmi continuamente aggiornati per favorire la resipiscenza e il ravvedimento di qualsiasi pensatore non allineato al wokismo (oggi molto di destra e attivo in nuove forme di cancel culture) dominante.
Comportamenti e post sempre più omologati, uguali a sé stessi, senza scintille, incapaci di provocare curiosità e interesse, partecipazione, confronto e dialogo, tanto sono culturalmente appiattiti, superficiali, ma soprattutto standardizzati e ripetitivi.
Tutto questo è aggravato dal grado elevato di tossicità (minore ma presente anche su Linkedin) raggiunto dalle piattaforme social, che si manifesta nella superficialità e brutalità del linguaggio, nella scarsa conoscenza (ignoranza?) e nell’elevata disinformazione, nella polarizzazione e soprattutto nell’accettazione passiva di tutto ciò che è conformisticamente trendy, meme, influencer, pop, storytelling, ecc.
Questa descrizione, sicuramente di parte, ma non lontana dalla realtà, percepita o meno che sia, spiega il crescente disincanto tecnologico, di cui parlo da tempo. Un disincanto che oggi si manifesta anche nella fuga, nell’abbandono, sicuramente nel minore uso delle piattaforme, nella scelta di quali utilizzare o nella scelta di modi diversi di abitarle.
Tutto questo va contestualizzato. Ad usare le piattaforme social sono cinque miliardi di persone che trovano nello stare online motivazioni forti a frequentarle, nonostante, o forse proprio per i tanti contenuti incendiari, polarizzanti e divisivi, e le fake news che le caratterizzano.
Io su Linkedin mi sono sempre trovato a mio agio, Ho usato tutte le funzionalità e gli strumenti disponibili per produrre e condividere post che potessero veicolare il mio pensiero ma soprattutto mi mettessero in contatto con persone da conoscere, con cui dialogare, collaborare e lavorare insieme, coltivando nel tempo una relazione.
Oggi questo, nell’era dell’algocrazia, è diventato un problema.
Essendo portatore di un pensiero non propriamente omologato, nella standardizzazione e omologazione forzata dallo storytelling dominante anche i miei post e quindi i miei pensieri sono a rischio standardizzazione. Continuo a pensare che sia difficile riuscire a “standardizzarmi” ma se vengono a mancare gli spunti, le scintille, le provocazioni costruttive, il confronto franco, gentile e intellettualmente preparato, il rischio è di appiattirsi, adattare sé stessi e il proprio pensiero a quello che gli altri, le moltitudini oggi vincenti, vogliono da me: un profilo (un agente) sostituibile perché uguale tra gli uguali.
Per molti portatori di un pensiero democratico, progressista, radicale, strumenti come Linkedin sono diventati, anche per la sparizione di altri luoghi sociali, veicoli social per condividere il proprio pensiero, alla ricerca di conferme o confronti. Una pia illusione, oggi resa più amara dalla rapidità con cui è possibile agire, e molti agiscono, utilizzando ChatGPT e strumenti IA vari. Il risultato è che invece di crescere culturalmente e intellettualmente si finisce nella mediocrità, per diventare mediocri, di essere valutati tali anche perché non si è usata la IA per dimostrare di non esserlo.
Questo ecosistema ancora dominante sta mostrando la corda. Non è un caso che stiano nascendo piattaforme alternative, federate, costruite sulla cura e sui cosiddetti “commons”, spazi da co-creare insieme, in forma comunitaria (basta reti, gruppi, pagine, ecc.) che vadano oltre la vendita di prodotti o servizi, che non abusino o estraggano dati e informazioni personali violando la privacy e la riservatezza delle persone. Sono piattaforme per chi non si accontenta più di una APP ma vuole contribuire a dare forma a un network di persone, di conoscenze, di saperi, di racconti e di esperienze. Piattaforme costruite da persone reali per persone reali.
Il termine con cui i nuovi spazi sono oggi denominati è “digital campfire” (falò digitali, un termine introdotto da Sara Wilson in un importante articolo pubblicato dalla Harvard Business Review)). Un termine che richiama le esperienze degli scout e i loro falò serali ma anche i falò sulla spiaggia tra amici. Falò come punto di aggregazione di amici, comunità di persone, caratterizzate da connessioni profonde tre le persone che le costituiscono, da interessi e valori comuni, da esperienze condivise e dallo stare bene insieme.
L’era che stiamo vivendo è stata definita come l’era della frammentazione di cui le piattaforme sono una delle massime espressioni. Il “falò digitale” può essere visto come l’emergere di una stanchezza verso le grandi aggregazioni che le piattaforme rappresentano e l’affermarsi di nuovi bisogni di autenticità, vicinanza, prossimità, complicità, creatività, collettività, ritorno alle radici, ecc., che suggeriscono nuovi modi di stare insieme: micro-aggregazioni, gruppi, reti di prossimità, comunità.
Il fenomeno non è nuovo, oggi sembra essere favorito e motivato proprio dall’essere il mondo diventato sempre più digitale e virtuale e per questo meno reale. Molti continuano a stare sulle piattaforme ma lo fanno in modo diverso, abitando nicchie (chat private, gruppi e reti a numero limitato, ecc.) ritagliate su misura sui propri gusti, bisogni, obiettivi e interessi, sulle proprie pratiche e sensibilità.
“i social network assomigliano a un affollato aeroporto dove tutti possono entrare, senza che nessuno sia particolarmente contento di trovarsi lì” (Sara Wilson)
Le forme con cui i falò digitali si manifestano sono numerose e diverse. Ci sono falò che si attivano all'interno delle piattaforme social esistenti come semplice modalità di abitarle usando in modi alternativi le loro funzionalità, o attivando realtà esterne, alternative alle piattaforme, marcando un ritorno, forse utopico, alla Internet di un tempo e al web degli inizi, come quello della blogosfera.
Chi accende i suoi falò digitali dentro le piattaforme fa uso delle piattaforme di messaggistica per creare gruppi che puntano all'uso dei messaggi piuttosto che sulla creazione di storie e di feed. Su Tik Tok questo si manifesta nel calo di interesse verso la pubblicazione di contenuti e nella crescita del semplice consumo. Un'altra forma di falò digitale dentro le piattaforme è la ricerca di micro-comunità, in forma di gruppi di persone tra loro omogenee per scelte e passioni politiche, per interessi, valori e motivazioni.
All'esterno delle piattaforme ci sono esperimenti come Discord, Mastodon, Friendica, Pixelfed, Bluesky e altre. Tutte offrono ai loro abitanti di abitare canali tematici per conversare, relazionarsi e fare amicizia. Poi ci sono realtà come Fortnite, Roblox e altri strumenti legati al Metaverso e alle sue molteplici espressioni oggi esistenti.
L'esperimento forse più interessante collegabile ai falò digitali si esprime attraverso quello che è oggi denominato FEDIVERSE o FEDIVERSO. Il termine fa riferimento a un concetto datato riferito alla. costruzione di mondi o universi tra loro federati in termini di protocolli di comunicazione (ActivityPub reso pubblico nel 2018 esviluppato dal World Wide Web Consortium)) e server decentralizzati utilizzati, di utilizzo di software open source. Il protocollo permette a utilizzatori di piattaforme diverse di comunicare tra loro attraverso i loro profili o istanze (nome usato da Mastodon).
Alla base del cosiddetto Fediverso ci sono idee antiche (per Internet), a molti oggi sconosciute, che richiamano ambienti di socializzazione come la posta elettronica e le chat di una volta, al di fuori dei mondi chiusi delle piattaforme ma come ambienti nei quali gli utenti ritornino in controllo delle loro azioni e attività. E' un'idea anticapitalistica, nel senso che si oppone attraverso approcci liberi, aperti, solidaristici, ai modelli capitalistici oggi imperanti e ben rappresentati dalle soluzioni tecnologiche delle Big Tech. L'anticapitalismo si evidenza nel disinteresse verso modelli di business remunerativi, pubblicitari o commerciali. A contare, a fare la differenza, è la scelta di puntare sulla interoperabilità, sulla partecipazione comunitaria, sulla autenticità e sulla condivisione, sulla gratuità e sulla generosità.
Al Fediverso si richiama anche il progetto della STULTIFERANAVIS dando al Fediverso un significato etico e di cittadinanza attiva, anche digitale.
Lo fa non per le tecnologie o i protocolli utilizzati ma per la condivisione valoriale dello spirito che ispira il Fediverso. La condivisione ha alimentato la scelta di nuove pratiche capaci di dare risposte concrete e operative al disincanto tecnologico da molti oggi sperimentato. La scelta comunitaria e partecipativa richiama valori intangibili, in parte alla base anche del Fediverso.
Valori come l'assenza di una qualsivoglia gerarchia all'interno della comunità e della decentralizzazione gestionale, come la pari dignità data a tutti i contenuti e alla pubblicazione semplicemente cronologica dei testi senza preferenze alcune rispetto ai loro autori, compresi i due co-fondatori del progetto.
Valori sono anche la completa gratuità, l'assenza totale di pubblicità, l'assenza di algoritmi finalizzati a modificare, manipolare o condizionare comportamenti, scelte e azioni.
Valori sono considerate anche le connessioni autentiche che nascono dal semplice stare insieme essendo saliti a bordo di una nave che non ha destinazioni predefinite ma si muove sulla base di connessioni, dialoghi e relazioni autentici.
Un valore è la protezione della privay e della riservatezza dei dati, l'assenza di ogni strumento estrattivo di dati e informazioni, o di meccanismi di controllo e sorveglianza, tutto sulla nave è trasparente ma all'interno della comunità, non all'esterno.
Un valore è anche il sentirsi a casa propria, il senso di appartenenza, la certezza di non essere sottoposti a meccanismi subdoli di engagement come quelli attivi sulle piattaforme tecnologiche.
Consideriamo un valore anche la scelta di motori di ricerca trasparenti, che lavorano sui testi, privi di ogni meccanismi pensati per privilegiare un testo o un autore su un altro. La nave privilegia il dialogo e il confronto ma non coltiva o alimenta camere dell'eco, per questo sono banditi MiPIace, numeri e informazioni sulle visualizzazioni o sulla poplarità di un testo o di un autore.
ADDENDUM
Il disincanto tecnologico – Technological disenchantment
Il disincanto tecnologico si manifesta come disagio, la sensazione che qualcosa nella nostra relazione con i dispositivi e le piattaforme tecnologiche non funzioni più, esprime il bisogno di cambiamento nei rapporti con la tecnologia. Racconta la fine di un amore e la sparizione di una meraviglia, il venire meno dell’entusiasmo, la sparizione della scintilla iniziale che ci aveva spinto in uno dei tanti metaversi online, l’emergere di una stanchezza crescente legata alla insoddisfazione sperimentata nelle tante interazioni digitali che caratterizzano la nostra vita online.
Il disincanto è una manifestazione del sentirsi sopraffatti, manipolati, ingannati, resi complici e traditi, trasformati in semplici utenti e consumatori, produttori di dati e di informazioni rubate, in una parola sempre più annoiati e stanchi. La fatica deriva dalle tante ore passate online, dalla elevata connettività, dal surplus cognitivo e informativo e dall’ansia che ne deriva, dalla crescente disillusione verso le piattaforme dei social media e le loro promesse, dalla dipendenza crescente dai dispositivi digitali che rubano tempo, attenzione, relazioni.
Il disincanto è studiato e ha trovato spazio in innumerevoli lavori scientifici, ma si manifesta come esperienza vissuta interagendo con una tecnologia che sta plasmando le giornate di tutti, le menti delle persone e il proprio senso del Sé.
Il disincanto non è solo espressione di una stanchezza fisica individuale e personale, diventa fenomeno psicologico e sociale, complesso, racconta di un cambiamento fondamentale non solo nel modo con cui interagiamo con la tecnologia ma anche con la “ideologia” che l’accompagna, in termini di connessione (siamo connessi ma sempre più soli), progresso, benessere (che dire di quello mentale oggi messo a rischio dalla diffusione di malattie psichiche legate alla tecnologia?), socialità (relazioni sempre meno autentiche e dirette), libertà e controllo (una grande illusione visto che il controllo è tecnologico), soluzioni.
Internet si sta polarizzando: da un lato le piattaforme social, dall’altra comunità piccole e private, intime, luoghi intimi dov’è possibile incontrarsi in piccoli gruppi caratterizzati da amicizie profonde, interessi comuni o esperienze condivise.
Il disincanto nasce dalla percezione che la tecnologia non abbia mantenuto le sue promesse e abbia creato problemi (erosione della capacità di attenzione, ascesa della vita algoritmica, ibridazione cognitiva, relazione squilibrata tra umani e macchine, ecc.) oggi difficili da comprendere, affrontare e risolvere. Il disincanto nasce soprattutto dal dubbio che la narrazione del progresso tecnologico dominante non sia veritiera, sia manipolatoria, edulcorate e accomodante.
Il disincanto non comporta l’abbandono delle piattaforme e la pratica della disconnessione, è un segnale ad abbandonare un approccio acritico e ad affrontare in modo critico, consapevole e responsabile le nostre interazioni con la tecnologia, rivendicando il nostro ruolo di individui, di cittadini, di persone, di esseri umani.
Le pratiche che derivano da una maggiore conspaevolezza possono portare a un approccio minimalistico e limitato all’eserienza digitale, a un uso (tecno)consapevole della tecnologia, a dare maggiore priorità alle esperienze analogiche, ad abbandonare le narazioni per i racconti, il vissuto, lo scambio di esperienze personali, a fornirsi degli strumenti adeguati per una alfabetizzazione digitale e tecnologica critica e consapevole.
"I social media sono uno strumento che ci dà l'illusione di comprendere facilmente gli altri. Quindi ci sentiamo liberi di insultare, oppure crediamo di essere diventati subito amici. Questo mi terrorizza." (UKETSU)