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Continuiamo a ripeterci che dobbiamo mettere in discussione la posizione privilegiata dell'essere umano, l'illusione di una supremazia umana, ogni forma di antropocentrismo, le nostre ristrette categorie morali, il pensiero moderno, l'ontologia occidentale, la tendenza a contentarsi di comode opposizioni binarie, l'umanesimo giuridico europeo cristiano. Il problema sta nel fatto che cerchiamo il superamento di questa posizione non in un recupero di valori ma in un affidamento a macchine.


Condivido una preoccupazione che credo inquieti molti di noi.

Di fronte al mondo guasto nel quale ci troviamo a vivere, in cerca di un nuovo modo di pensare e di agire incisivamente, ci stiamo facendo le domande giuste? Sappiamo quale strada prendere?

Non so quale strada prendere.

Ma ho la percezione di come, mi pare, troppo spesso ci muoviamo a vuoto.

Ci muoviamo a vuoto quando continuiamo a ripeterci che dobbiamo mettere in discussione la posizione privilegiata dell'essere umano, l'illusione di una supremazia umana, ogni forma di antropocentrismo, le nostre ristrette categorie morali, il pensiero moderno, l'ontologia occidentale, la tendenza a contentarsi di comode opposizioni binarie, l'umanesimo giuridico europeo cristiano.

Sappiamo di avere tutti questi limiti. Ma smettiamola di fustigaci.

Ma decostruito il nostro vecchio pensiero, quale nuovo pensiero stiamo costruendo?

Ci muoviamo a vuoto quando instiamo a cercare noi stessi confrontandoci con intelligenze artificiali e con robot.

Conviene prima cercare noi stessi guardando in faccia altri esseri umani, considerandoci vicini ad un qualsiasi animale, ad un fiore, ad un albero, ad un fiume.

Ieri Carlo Mazzuchelli ha pubblicato qui su Stultifera Navis un mio colloquio con ChatGPT, dove ho interagito con la macchina proprio parlando del nostro progetto Stultifera Navis.

Carlo mi ha detto che, a leggerlo, il testo del colloquio appare impressionante. Non so.

Non lo trovo tanto impressionante.

Di uno degli aspetti del colloquio che possono apparire impressionanti si trova traccia verso la fine, dove chiedo alla macchina quale differenza vede tra Carlo e me.

Non lo trovo tanto impressionante. Peno che qualsiasi essere umano attento, sensibile, curioso, secondo me, avrebbe colto le differenze tra Carlo e me enormemente meglio di quanto sappia fare la macchina.

Il problema è che stiamo perdendo l'educazione che ci rende attenti, sensibili, curiosi. E più accettiamo di conversare con macchine, più perdiamo questa educazione.

Del colloquio, mi resta comunque una sensazione. La sensazione di aver sempre governato e indirizzato l'interazione. Se mi diceste che questa mia sensazione è illusoria, credo che fatichereste a convincermi.

Il fatto di aver accettato il gioco di un apparente dialogo alla pari era una mia scelta: avrei potuto in alternativa trattare la macchina da mera macchina.

Proponevo io gli argomenti; resistevo ai tentativi della macchina di ributtare la palla nel mio campo attraverso il dire: cosa ne pensi tu; decidevo fin quanto scavare; mi spostavo a mio piacimento di argomento in argomento.

“L'aver accettato il gioco di un apparente dialogo alla pari con la macchina è sta una mia scelta”, ho dunque scritto su Linkedin commentando la mia interazione con la macchina.

Subito un amico mi ha chiesto: “ma perché, esistono dialoghi alla pari, tra umani?”.

La mia risposta spontanea a questa domanda è “Ma cosa c'entra?”.

C'è un problema: rieducati dai teorici dei diritti delle cose, spinti dalla propaganda a considerare una intelligenza artificiale pari a noi, siamo portati ad applicare a noi stessi ragionamenti e giudizi che riguardano le macchine.

Ho provato a rispondere in modo meno affrettato. In base alla mia esperienza.

Quando stavo nei villaggi lungo i fiumi, in Ecuador, notavo -abbastanza bene, spero- le differenze tra gli umani nativi del posto e me stesso. Appartenevamo a culture diverse, i nativi erano afroamericani e io invece ero bianco , ecc.

A partire da queste differenze, dialogavamo in un modo fertile e costruttivo. Ho ancora nostalgia al ricordarlo.

Eppure esisteva un piano sul quale eravamo alla pari: eravamo tutti umani.

Appartenevamo insieme, alla pari, ad un 'noi' che ci portava a sentirci differenti da altri attori presenti sulla scena: il fiume con i suoi caños, le sue anse, le sue rapide; animali domestici o selovatici: la gallina, il chancho, il perezoso, la scimmia, la guanta, il ratón de monte, il tigrillo, il pipistrello; piante: il cocco, il chontaduro, il cade, l'aguacate e chocolate, il quebracho...

E apprendevo allo stesso tempo dagli abitanti del villaggio che esisteva una stretta contiguità tra noi umani e gli animali e le piante. Si apprende vicendevolmente a vivere.

Provo un senso di schiacciamento, di privazione, di perdita, quando si dimentica il calore della relazione tra umani; quando si salta subito a parlare genericamente di 'cose'; quando si equiparano quegli animali e quelle piante che ho appena ricordato alle macchine.

Pubblicato il 04 luglio 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

fvaranini@gmail.com https://www.stultiferanavis.it/gli-autori/francesco