Le vacanze dovrebbero essere, in apparenza, il regno dell’ozio, lo spazio in cui il tempo smette di essere misurato e si apre alla contemplazione. Tuttavia, nel tentativo di “vivere pienamente” ogni istante, ci affanniamo a riempire ogni spazio con gite programmate, selfie da condividere, checklist di luoghi da visitare e attività da completare. L’ozio diventa sospetto, quasi un errore, mentre la nostra agenda si trasforma in un piccolo tribunale che giudica ogni pausa come tempo perso. E così, mentre ci affanniamo, ci sfugge quel che resta dell’ozio.
mentre ci affanniamo, ci sfugge quel che resta dell’ozio.
L’idea che l’ozio sia spazio di vita e non semplice inattività non è affatto moderna.
Già Aristotele distingue tra il tempo dedicato all’azione e quello dedicato al pensiero, osservando che solo quest’ultimo permette di abitare pienamente la propria vita (Etica Nicomachea, libro X). La vita contemplativa, per lui, non era un lusso, ma il luogo in cui l’essere umano incontra davvero se stesso, lontano dall’agitazione pratica.
Cicerone, secoli dopo, nelle Tusculanae Disputationes (45 a.C.), difende il valore del tempo libero (otium) come momento indispensabile per la riflessione, lo studio e la coltivazione dell’anima, contrapponendolo al frenetico negotium della vita pubblica e degli affari. Seneca, pur da stoico, insiste sul fatto che l’ozio riflessivo è il presupposto di una vita razionale e consapevole, indispensabile all’autoesame e alla crescita interiore.
Agostino, molti secoli più tardi, osserva che l’anima si misura nel silenzio più che nel movimento (Le Confessioni, libro XI), e che il pensiero ha bisogno di spazio per emergere, altrimenti rischia di essere soffocato dalla continuità delle azioni.
Oggi, tra gite programmate, selfie obbligatori e checklist di cose da fare, rischiamo di dimenticare quella lezione: fare non equivale a pensare, e spesso non lascia spazio nemmeno per domandarsi cosa significhi vivere.
passiamo il tempo a fotografare ciò che ci circonda, a catalogare immagini di paesaggi, piatti e monumenti; fotografiamo tutto, ma non vediamo veramente nulla.
Spesso passiamo il tempo a fotografare ciò che ci circonda, a catalogare immagini di paesaggi, piatti e monumenti; fotografiamo tutto, ma non vediamo veramente nulla. Accumuliamo esperienze come monete in un salvadanaio, ma ci sfugge la moneta più preziosa, quella che non si può contare né fotografare, perché è fatta di riflessione, sospensione e tempo interiormente abitato. È un paradosso che assume forme ridicole quando, tra una performance e l’altra, ci sorprende la sensazione vaga che qualcosa sia mancato, senza riuscire a dire cosa, troppo impegnati a certificare ogni attimo come "vissuto".
Forse, alla fine, quel che resta dell’ozio non è un elenco di attività completate, non è la somma dei selfie accumulati, non è la lista dei luoghi "necessariamente" visitati. Quel che resta è uno spazio sottile, quasi invisibile, che possiamo abitare solo se smettiamo di fare per fare e permettiamo al pensiero di farsi largo tra un gesto e l’altro. È un vuoto che sembra insignificante, ma che, senza di esso, rischiamo di tornare alla vita quotidiana più affannati che mai, con la sensazione che qualcosa ci sia sfuggito, senza riuscire a capire esattamente cosa.