In medio stat virtus
Quando la Scrum Guide insiste sul fatto che un team debba "fornire valore" senza definire cosa sia il valore, non siamo di fronte a una semplice lacuna documentale. Siamo di fronte a un sintomo: l'invisibilità strutturale del valore nelle organizzazioni digitali contemporanee. Come il rumore di fondo cosmico in radioastronomia — quella radiazione residua del Big Bang che permea uniformemente l'universo — il valore aziendale è ovunque e da nessuna parte, misurabile solo indirettamente attraverso i suoi effetti, mai nella sua essenza.
Questo saggio nasce da una domanda apparentemente semplice che mi accompagna da anni di lavoro sulla governance e sulla trasformazione digitale: se il Product Owner è responsabile di massimizzare il valore del prodotto, come può farlo senza una definizione condivisa di cosa costituisca valore? E più radicalmente: è possibile che l'assenza di questa definizione non sia un'omissione, ma una caratteristica fondamentale delle metodologie agili?
Absentia praesens: il paradosso metodologico
La Scrum Guide, testo canonico per milioni di praticanti dell'agilità, dedica decine di pagine a definire ruoli, artefatti, eventi e regole. Prescrive con precisione chirurgica la durata degli sprint, la composizione dei team, le responsabilità di ciascun ruolo. Eppure, quando arriva al concetto centrale — il valore — tace. Insiste, certamente: il valore deve essere massimizzato, il Product Backlog deve essere ordinato per valore, il Product Owner è il custode del valore. Ma cosa sia questo valore rimane non detto.
Possiamo facilmente immaginare un team Scrum che funziona alla perfezione secondo tutti i parametri metodologici: sprint regolari come un metronomo, velocity stabile, definizione di done rispettata, retrospettive produttive. Un team che produce funzionalità di alta qualità con ritmo costante, che rispetta tutte le cerimonie, che incarna lo spirito dell'agilità. Eppure questo stesso team potrebbe non fornire alcun valore reale all'organizzazione. Anzi, potrebbe addirittura distruggere valore, consumando risorse per costruire con efficienza cristallina la cosa sbagliata al momento sbagliato.
Questo paradosso non è marginale. Rivela qualcosa di profondo sulla natura stessa delle metodologie agili e, più in generale, sulla razionalità organizzativa contemporanea. Come ha osservato Foucault analizzando le tecnologie di governo, spesso le tecniche di ottimizzazione presuppongono ciò che dovrebbero produrre. Nel nostro caso, Scrum ottimizza la produzione di valore assumendo che il valore sia già identificabile, già presente, già evidente. Ma se così non fosse?
Rumor in silentio: il valore come rumore di fondo organizzativo
Qui entra in gioco quello che chiamo il principio del "rumore di fondo organizzativo". In radioastronomia, la scoperta della radiazione cosmica di fondo da parte di Penzias e Wilson nel 1964 fu inizialmente percepita come un disturbo, un rumore indesiderato che interferiva con le loro misurazioni. Solo successivamente si comprese che quel "rumore" era il segnale più importante: la prova fossile del Big Bang, l'informazione più preziosa sulla struttura profonda dell'universo.
Nelle organizzazioni accade qualcosa di simile. Ciò che consideriamo valore "primario" — il fatturato immediato, il ritorno sull'investimento trimestrale, la riduzione dei costi operativi — è spesso il segnale forte, evidente, misurabile. Ma esistono forme di valore che operano come rumore di fondo: emergenti, distribuite, non immediatamente quantificabili. Il miglioramento della qualità del codice che faciliterà manutenzioni future, la conoscenza tacita che si accumula nel team, la fiducia che si costruisce con gli utenti, la capacità organizzativa di apprendere e adattarsi.
Queste forme di valore sono strutturalmente invisibili ai sistemi di misurazione tradizionali, eppure determinano la resilienza a lungo termine dell'organizzazione. Non sono misurabili nel momento in cui vengono generate, ma si manifestano solo retrospettivamente, quando la loro assenza diventa catastrofica o la loro presenza permette salti qualitativi imprevisti.
Mensura facit rem: le tassonomie del valore come costruzioni ontologiche
Proviamo ora a interrogare le categorie con cui abitualmente pensiamo il valore aziendale. Non per fornire un manuale operativo, ma per comprendere come queste categorie costruiscano — e limitino — il nostro campo di possibilità.
Il valore di business ci chiede: quanto fatturato o profitto genera questo lavoro? È la forma più evidente, quella che si traduce direttamente in entrate: una nuova versione del software che i clienti pagano, funzionalità premium, ottimizzazioni che riducono i costi operativi. Ma questa categoria porta con sé un'assunzione implicita: che il valore sia estraibile, quantificabile, appropriabile. Presuppone un modello estrattivo del valore in cui l'organizzazione estrae risorse dall'ambiente (clienti, mercato) attraverso il prodotto.
Il valore di mercato sposta l'attenzione: quanti nuovi clienti possiamo servire? Qui il valore non è nell'estrazione immediata ma nell'espansione del bacino di estrazione futura. La trasposizione di un'applicazione da iOS ad Android, l'aggiunta di funzionalità che attraggono nuovi segmenti. È una proiezione temporale del valore di business, un investimento nella capacità futura di estrarre valore.
Il valore di efficienza interroga i processi interni: quanto tempo o denaro risparmiamo? L'automazione di processi manuali, il miglioramento dell'usabilità che riduce il carico sul servizio clienti, l'accelerazione del time-to-market. Qui il valore si manifesta come riduzione dell'attrito, come ottimizzazione dei flussi. Ma efficienza rispetto a cosa? L'efficienza è sempre relativa a uno scopo dato, mai neutra. Possiamo essere efficienti nel fare la cosa sbagliata.
Il valore per il cliente cerca di misurare la fedeltà: quanto diminuisce la probabilità di abbandono? Il miglioramento dell'usabilità, l'aggiunta di funzionalità richieste. È interessante notare come questa categoria riveli l'ansia di fondo delle organizzazioni digitali contemporanee: in mercati saturi e competitivi, il valore non sta tanto nell'acquisire quanto nel trattenere. Il valore diventa difensivo, una muraglia contro l'erosione costante della base clienti.
Il valore futuro, infine, ci proietta oltre l'orizzonte immediato: quanto faciliterà il lavoro domani? L'adozione di nuovi framework, la riduzione del debito tecnico, l'investimento in innovazione. Qui emerge chiaramente la dimensione temporale del valore: ciò che oggi appare come costo potrebbe rivelarsi essenziale domani. Ma questa categoria porta con sé un rischio speculativo: ogni investimento attuale può giustificarsi invocando benefici futuri incerti.
Quid latebat: oltre la misurazione
Queste cinque categorie — e le tassonomie del valore aziendale ne propongono molte altre — non sono descrizioni neutre della realtà. Sono costruzioni ontologiche: modellano ciò che possiamo vedere, nominare, perseguire. Come ha mostrato Heidegger nella sua analisi della tecnica moderna, i sistemi di misurazione non si limitano a misurare ciò che esiste, ma fanno esistere ciò che è misurabile.
Quando un Product Owner valuta gli item del backlog attraverso queste categorie, non sta semplicemente "scoprendo" il loro valore intrinseco. Sta costruendo valore attraverso l'atto stesso della valutazione. Sta decidendo quale tipo di valore conta, quale è rilevante, quale merita attenzione. E in questo processo, inevitabilmente, altre forme di valore rimangono nell'ombra.
Pensiamo al valore etico: un software che rispetta davvero la privacy degli utenti, che non manipola, che non estrae attenzione. Pensiamo al valore ecologico: codice efficiente che consuma meno energia, architetture che riducono l'impronta digitale. Pensiamo al valore politico: strumenti che aumentano l'autonomia degli utenti invece di vincolarli a piattaforme proprietarie. Queste dimensioni del valore esistono, operano, hanno conseguenze. Ma raramente entrano nelle valutazioni formali perché non si adattano alle categorie dominanti.
Virtus in medio: verso un'etica del valore emergente
Se accettiamo che il valore non è una proprietà intrinseca ma una costruzione sociale, se riconosciamo che le nostre tassonomie sono incomplete e situate, quale postura dovremmo assumere?
Non possiamo semplicemente abbandonare le categorie esistenti — sono strumenti necessari per coordinare l'azione collettiva, per prendere decisioni, per allocare risorse. Ma possiamo coltivare una consapevolezza critica dei loro limiti. Possiamo rimanere aperti al valore che si manifesta come rumore di fondo, che emerge ai margini, che non si lascia catturare dalle nostre griglie di misurazione.
Il Product Owner, in questa prospettiva, non è solo un ottimizzatore del valore conosciuto. È anche, e forse soprattutto, un ascoltatore del valore latente. Come un radioastronomo che deve distinguere il segnale cosmico dal rumore strumentale, deve sviluppare la sensibilità per percepire forme di valore che non si manifestano immediatamente nei dashboard, nei report, nelle metriche.
Il team, a sua volta, non può limitarsi a "dimostrare che sta facendo la cosa giusta al momento giusto" secondo le categorie esistenti. Deve anche coltivare la capacità di mettere in discussione quelle categorie, di proporre dimensioni alternative del valore, di resistere alla pressione verso la misurabilità immediata quando questa sacrifica forme più profonde e durature di creazione di valore.
Post scriptum: la domanda che rimane
Torniamo alla domanda iniziale: perché la Scrum Guide non definisce il valore? Forse perché ogni definizione sarebbe già una limitazione. Forse perché il valore, nelle organizzazioni complesse, non può essere definito a priori ma deve emergere dal dialogo continuo tra chi costruisce, chi usa e chi governa il prodotto.
O forse — e questa è l'ipotesi più inquietante — perché definire il valore richiederebbe di esplicitare le scelte politiche ed etiche che ogni organizzazione compie implicitamente. Richiederebbe di ammettere che non esiste un valore neutro, universale, oggettivo. Che ogni volta che scegliamo cosa ha valore e cosa no, stiamo anche scegliendo che tipo di mondo vogliamo costruire.
La domanda "quid est pretium?" — cos'è il valore? — non ammette una risposta definitiva. Ma forse la sua fertilità sta proprio in questo: nel costringerci a interrogare continuamente non solo cosa facciamo, ma perché lo facciamo, per chi lo facciamo, e quale mondo emerge dalle nostre scelte quotidiane.
Riferimenti bibliografici
Clark, T., Hazen, B. (2017). Business Models for Teams: See How Your Organization Really Works and How Each Person Fits In. Portfolio, Penguin Random House. ISBN: 978-0735213357
Foucault, M. (2004). Naissance de la biopolitique: Cours au Collège de France (1978-1979). Seuil/Gallimard.
Heidegger, M. (1954). Die Frage nach der Technik. In Vorträge und Aufsätze. Neske.
Schwaber, K., Sutherland, J. (2020). The Scrum Guide: The Definitive Guide to Scrum. Scrum.org.