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Il presente saggio propone un’integrazione tra neuroscienze cognitive e project management, con particolare riferimento ai progetti di sviluppo software. Superando i modelli lineari e ottimizzatori della decisione, si introduce la nozione di mappa cognitiva come strumento operativo per interpretare contesti complessi e ambigui. Attraverso l’analisi del ruolo delle cortecce prefrontali e dei sistemi dopaminergici, si ridefiniscono le categorie di valore, attenzione e apprendimento in chiave rappresentazionale e dialettica. L’obiettivo è fornire ai project manager un paradigma teorico alternativo, fondato su inferenza situata, plasticità cognitiva e costruzione condivisa del senso.


Nella prassi corrente del project management, soprattutto in ambito software, la decisione è spesso trattata come un atto razionale, fondato su criteri di ottimizzazione delle risorse, delle priorità e del valore atteso. Tuttavia, l’esperienza concreta dei progetti mostra come la maggior parte delle decisioni venga presa in condizioni di incertezza, pressione temporale, ambiguità informativa e dinamiche interpersonali.

Questo scarto tra modello e realtà richiede un ripensamento. Le neuroscienze cognitive, negli ultimi due decenni, hanno fornito strumenti teorici e sperimentali per comprendere meglio la natura effettiva del processo decisionale. In particolare, l’attività delle cortecce orbitofrontale (OFC) e prefrontale ventromediale (vmPFC) suggerisce una concezione rappresentazionale della mente, nella quale le scelte emergono da mappe cognitive dinamiche, influenzate dal contesto, dalla memoria e dagli stati interni.

Nella gestione dei progetti, ogni team costruisce — implicitamente o esplicitamente — una rappresentazione mentale dello stato del lavoro, delle alternative disponibili, dei rischi, delle aspettative degli stakeholder. Questa mappa non è un artefatto oggettivo, ma una struttura cognitiva in continua evoluzione.

Le neuroscienze mostrano che l’OFC e la vmPFC non si limitano a computare l’utilità di un’opzione, ma inferiscono lo “stato del compito”: una configurazione mentale che guida l’interpretazione della situazione. Analogamente, nel project management, il valore di una decisione dipende da come il contesto viene rappresentato internamente, più che da una valutazione neutra e assoluta dei costi-benefici.

Il concetto di valore, centrale in ogni approccio decisionale, viene riformulato. Nella prospettiva cognitiva, il valore di un oggetto o di un’azione non è intrinseco, ma relazionale: emerge dalla sua funzione rispetto al contesto percepito. Questo implica che, anche nei progetti software, il valore di una feature o di una milestone non è stabile, ma varia con la riconfigurazione degli obiettivi, dei vincoli e degli stati interni del team.

La decisione progettuale efficace non è quindi quella che “massimizza” un valore predefinito, ma quella che riconfigura continuamente la mappa delle priorità in funzione dell’apprendimento continuo.

La dopamina, spesso banalizzata come “neurotrasmettitore del piacere”, gioca in realtà un ruolo chiave nel segnalare la salienza: ciò che, in un dato momento, deve essere notato, aggiornato, integrato. In termini organizzativi, la salienza si traduce nella capacità di individuare ciò che conta davvero in un progetto, distinguendo il rumore dal segnale.

Un project manager efficace non gestisce solo deliverable, ma attenzione collettiva. Coordina l’allocazione delle risorse cognitive del team, orienta il focus sugli elementi ad alta rilevanza strategica, protegge lo spazio mentale dagli inquinamenti della reattività.

Un altro contributo delle neuroscienze riguarda la gestione dell’errore e del fallimento. Non tutte le informazioni utili derivano da ciò che accade; spesso, è l’assenza di un evento atteso a generare apprendimento. Il cervello apprende non solo dal segnale, ma anche dalla sua mancanza: un pericolo evitato, un blocco che non si verifica, una calma inattesa.

Nel project management, questa intuizione suggerisce una valorizzazione del feedback implicito. L’assenza di problemi può indicare stabilità, resilienza o maturazione di un processo. Apprendere da ciò che non accade diventa, così, una competenza strategica.

L’efficacia di un progetto non si misura solo in termini di output, ma nella capacità del team di ristrutturare la propria rappresentazione della realtà. Le neuroscienze evidenziano come i circuiti decisionali siano caratterizzati da selettività mista: i neuroni non codificano singole variabili, ma insiemi di significati situati. Questo permette la generazione di mappe flessibili, adattive, riutilizzabili.

Nel dominio software, strumenti come backlog, roadmap, board kanban o modelli Gantt non sono solo meccanismi di controllo, ma supporti cognitivi esterni. Rappresentano la mappa condivisa dello stato del progetto, e la loro efficacia dipende dalla qualità della risonanza con le mappe interne dei membri del team.

Il project management del software, soprattutto in contesti agili o ibridi, richiede un paradigma epistemologico rinnovato. Le decisioni non possono essere interpretate solo come scelte ottimali tra opzioni fisse, ma come atti interpretativi all’interno di un ambiente mutevole. Il project manager non è un controllore, ma un interprete: costruisce senso, media tra rappresentazioni, guida l’evoluzione della mappa collettiva.

Adottare una prospettiva cognitiva significa accettare che il valore non è stabile, che la salienza è mobile, che l’apprendimento è continuo. In questa direzione, la mente non è un algoritmo, ma un sistema dinamico di rappresentazione. E il progetto non è un piano da eseguire, ma un territorio da esplorare.

Pubblicato il 02 maggio 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto