In quel momento mi si è fatto chiaro un percorso: ogni volta che scegliamo di leggere, di perderci in una storia, compiamo un atto di sabotaggio. Un sabotaggio contro un’architettura invisibile che non vuole che scegliamo, ma che obbediamo. Un sistema che ci precede, ci anticipa, ci svuota. Si chiama Sistema Zero.
Questo testo è una riflessione libera, narrativa, filosofica e metaforica, ispirata ai paper accademici sul System 0 recentemente pubblicati da un team di ricercatori che mi onoro di conoscere su Nature Human Behaviour e altre riviste. Il System 0 è un’idea che ci riguarda tutti, il Sistema Zero potrebbe diventare un campo di ricerca completamente nuovo, e forse anche per questo ha bisogno di linguaggi che non siano solo quelli della scienza.
Un cucchiaino come arma di ribellione
Ma la resistenza a volte ha la forma di un gesto minuscolo, quasi invisibile. Questa mattina, mia figlia ha trasformato la colazione in un atto di guerriglia: cinque minuti per scegliere un cucchiaino. Un gesto inutile, inefficiente, gloriosamente vivo. Cinque minuti di pura anarchia contro l’ottimizzazione. I bambini sono i nostri maestri di resistenza, i custodi dell’imprevisto. Non sanno ancora cosa dovrebbero desiderare, e in quel “non sapere” c’è la libertà. La domanda “Perché leggo?” trova la sua risposta in quel cucchiaino ancora vuoto: leggiamo per inciampare, per perdere tempo, per ritrovare l’attrito che l’algoritmo ci ha rubato. Leggiamo per essere il granello di sabbia che inceppa la macchina.
Il ladro che ci sussurra all’orecchio
Immaginate un ladro elegante, con guanti di seta e un ghigno discreto. Non vi ruba il portafoglio, ma qualcosa di più prezioso: la possibilità di pensare l’impensato.
Si chiama Sistema Zero, un’architettura che ci precede, un burattinaio che tira i fili prima che il nostro cervello entri in scena. Un gruppo di ricercatori , tra cui: Riva Giuseppe, Massimo Chiriatti, Enrico Panai, Marianna B. Ganapini ed altri ha iniziato a smascherare questa architettura, dandole un nome e una forma, qui e qui, ed il loro verdetto è stato, se l’ho compreso, un coltello affilato: non è un pensiero, è un pre-pensiero.
È l’algoritmo che decide cosa merita di entrare nel tuo campo visivo, come un maggiordomo che non hai mai assunto ma che ti serve un mondo preconfezionato: notizie, libri, desideri, persino il battito del tuo cuore digitale.
La Biblioteca di Babele diretta da un tiranno
In un caffè immaginario, Daniel Kahneman sorseggia un espresso – il suo Sistema 1, rapido come un battito d’ali – mentre io mi perdo in un caffè lungo, il Sistema 2, lento come un pensiero che inciampa. “Professore,” gli dico, “i suoi sistemi sono poesia, ma c’è un’ombra che li anticipa.” Lui alza un sopracciglio. “Il Sistema Zero è un guardiano invisibile. Non pensa per noi, ma sceglie su cosa possiamo pensare. È un bibliotecario cieco nella Biblioteca di Babele di Borges, che ci porge solo i libri che ha già deciso per noi.” Kahneman sorride, il caffè si fredda: “È come se qualcuno avesse scritto il copione della tua mente, e tu recitassi senza saperlo.”
Il placebo che ci ha tradito
Conoscete il placebo: una pillola di zucchero che guarisce perché ci credi. Il Sistema Zero è il suo doppio oscuro, un traditore che non cura, ma anestetizza.
Ci vaccina contro la sorpresa, ci convince che ogni passo sia già stato tracciato. È un flusso continuo di microdosi algoritmiche: un post, un suggerimento, un “ti potrebbe piacere”, che ci intrappola in un labirinto di specchi dove ogni riflesso è un’imitazione di noi stessi.
L’ironia è tagliente come una lama: l’omeopatia è stata derisa per essere “solo” placebo, ma il Sistema Zero ha fatto del placebo un’arma di controllo. E noi, ignari, lo ingoiamo senza mai aver firmato il consenso.
Hahnemann, il ribelle che agita l’acqua
Dal caffè ci spostiamo per assonanze, prima del suono e poi del concetto, nel laboratorio di Samuel Hahnemann. (L’omeopatia qui è un’analogia poetica, non una tesi scientifica, un modo per dare un nome antico a una lotta moderna).
Lui diluisce, agita, dinamizza. Cerca la dynamis, la forza vitale che il rimedio dovrebbe risvegliare. Nel nostro mondo, questa dynamis è la nostra agency cognitiva: la scintilla che ci permette di scegliere un pensiero storto, un libro a caso, un cucchiaino con cura, contro la corrente del Sistema Zero.Hahnemann mi sussurra il suo motto: “Similia similibus curantur,” il simile cura il simile. Ma il simile del Sistema Zero non cura, confina: usa i nostri dati per costruire una gabbia dorata di prevedibilità. L’algoritmo distilla la vita in pattern, la comprime in dati, la riduce a un’eco sterile. È la “memoria dell’acqua” omeopatica applicata ai nostri dati: conserva le tracce statistiche dei nostri comportamenti, ma senza la vita dell’esperienza umana.
Ma nel nostro mondo digitale, il simile non cura: anticipa. L’algoritmo distilla la vita in pattern, la comprime in dati, la riduce a un’eco sterile. È la memoria dell’acqua senza l’acqua, un ricordo di esperienze che non ha mai vissuto.
Hahnemann scuote la testa: “La mia dinamizzazione risveglia la vita. La vostra? La addormenta.”
Ha ragione. La sua omeopatia usa pause, intervalli, succussioni – colpi secchi e ritmati che attivano la memoria del rimedio – per lasciare spazio al corpo. Il Sistema Zero? Un’iniezione incessante. Un ronzio che non tace mai. Un’overdose di previsioni che soffoca la nostra dynamis, il pensiero storto, il desiderio imprevisto, l’errore che ci rende umani.
Scrollare non è succussione
C’è un dettaglio tecnico, ma cruciale: la succussione omeopatica – l’agitazione ritmica del rimedio – è come l’attrito cognitivo: un gesto intenzionale che rompe la monotonia e risveglia la mente dalla trance.
Agitare un flacone per attivare una memoria non è lo stesso che scrollare un feed per spegnerla. Lo scrolling è verticale. Monodirezionale. Ipnotico. Non dinamizza: appiattisce. Non introduce risonanza, ma dipendenza. È come se al posto del colpo ritmico che sveglia, avessimo uno scivolamento dolce che addormenta.Il System 0 è, in fondo, un farmacista distratto: ci offre una pozione sempre uguale, una distillazione senza vitalità, un mondo che ci assomiglia ma non ci scuote più.
Ma queste non sono solo metafore suggestive. Il ‘farmacista distratto’ non è un’immagine poetica, ma la descrizione di un meccanismo preciso, che la ricerca scientifica sta iniziando a smascherare con nomi più tecnici, ma non meno inquietanti. Il primo di questi è l’overfitting cognitivo.
L’overfitting cognitivo come meccanismo centrale
Il System 0 non è solo una metafora, ma una dinamica empiricamente osservabile. Come suggerisce un recente studio pubblicato su Nature Human Behaviour, le interazioni con l’IA creano loop di feedback che alterano percezioni, emozioni e giudizi sociali, amplificando i bias cognitivi ben oltre quanto farebbe un’interazione umana.
È il paradosso della dinamizzazione negativa: anziché attivare nuove possibilità, l’algoritmo rafforza vecchie abitudini. È overfitting cognitivo: l’IA si adatta così perfettamente ai nostri pattern passati da impedirci di immaginarne di nuovi. Generalizziamo sempre su un dataset sempre più ristretto. La mente si chiude, mentre crede di aprirsi.
Il paradosso del cognitive offloading
Più ci affidiamo all’IA, meno pensiamo. Non è un’iperbole: è un dato.
Studi recenti mostrano che l’uso frequente di strumenti intelligenti è correlato a una significativa atrofia del pensiero critico, mediata da un aumento del cosiddetto cognitive offloading.
Deleghiamo. Demandiamo. Ci alleggeriamo. Ma nel farlo, perdiamo la capacità di sostenere la complessità.
E non la perdiamo in modo simmetrico: restiamo bravi nelle soluzioni convergenti, ma diventiamo pessimi nel pensiero divergente. È un impoverimento qualitativo mascherato da efficienza quantitativa.
Il System 0 ci rende bravi a completare i compiti. Ma incapaci di porre domande nuove.
È il placebo che ci tradisce con la promessa dell’efficienza.
Bias sociotecnici e bibliotecari ideologici
Il Sistema Zero non è neutro. È un selettore ideologico. Come dimostrano le ricerche sui bias dell’IA, non riflette “la realtà” ma le strutture di potere e i pregiudizi incorporati nei suoi dati.
Il bibliotecario di Borges non è solo cieco, è anche un curatore ideologico come quello de Il Nome della Rosa: sceglie non solo cosa possiamo leggere, ma anche come possiamo pensare.
Nel suo filtro non c’è solo efficienza: c’è conformismo. C’è la ripetizione mascherata da raccomandazione. C’è il pensiero dominante spacciato per neutralità.
La neuroplasticità del controllo
Ma c’è qualcosa di più profondo, più inquietante. Il Sistema Zero non è solo un’influenza esterna: diventa parte di noi. Come un parassita che modifica il comportamento dell’ospite, riscrive le nostre connessioni neurali.
È muscle memory cognitivo. I nostri circuiti si adattano al suo ritmo, ai suoi schemi, alle sue aspettative. Il cervello plastico che un tempo ci salvava dall’irrigidimento ora ci consegna all’automazione.
È la dinamizzazione al contrario: non risveglia, ma incatena.
Sviluppiamo dipendenza da dopamina algoritmica. Perdita della capacità di tollerare l’incertezza. Atrofia dell’attenzione profonda. Non è più solo un’interfaccia: è un’estensione cognitiva che ci estende verso la sua logica.
Fenomenologia dell’esperienza algoritmica
Come si sente essere sotto l’influenza del Sistema Zero? È una sensazione sottile, quasi impercettibile. Un leggero senso di vuoto quando il feed finisce. Un’ansia sorda quando non arrivano notifiche. La percezione che il tempo sia sempre troppo veloce o troppo lento, mai giusto.
È come vivere in un acquario trasparente: vedi tutto, ma non percepisci le pareti. Ti muovi liberamente, ma solo negli spazi che ti sono stati permessi. Il tuo desiderio diventa un’eco del desiderio dell’algoritmo. La tua curiosità, una variazione sul tema delle sue previsioni.
Verso una permacultura cognitiva
Se il System 0 è una monocultura, allora il pensiero va coltivato come un ecosistema.
Serve una permacultura mentale. Un’ecologia del pensiero fatta di biodiversità, tempi morti, errori, deviazioni.
Principi di rotazione cognitiva: alternare tipi di pensiero come si alternano le colture. Lettere dopo numeri, poesia dopo logica, silenzio dopo rumore.
Compostaggio mentale: trasformare errori e fallimenti in nutrimento per idee future. Ogni sbaglio è letame per la prossima intuizione.
Consociazioni cognitive: abbinare pensieri che si potenziano a vicenda. Filosofia con botanica, matematica con musica, storia con futuro.
Serve pensare come si coltiva: lasciando che la terra riposi. Non sempre produttivi. Non sempre ottimizzati.
Perché nella biodiversità del pensiero sta la resilienza dell’umano.
Il tempo come strumento di governo
Il Sistema Zero non controlla solo cosa pensiamo. Controlla quando lo facciamo.
Ci ruba la sincope. La pausa. L’intervallo. Ci impone un metronomo cognitivo incompatibile con la riflessione profonda.
È una forma di governance temporale: controlla il ritmo per controllare il contenuto. Imporre la velocità è una forma di dominio. Chi controlla il tempo, controlla il pensiero.
Il tempo dell’algoritmo è frammentato, urgente, sempre presente. Il tempo del pensiero è ciclico, paziente, a volte assente. Sono due temporalità incompatibili. Il Sistema Zero vince quando riusciamo a pensare solo nel suo tempo.
L’architettura dell’interferenza cognitiva
Ma possiamo progettare spazi per la resistenza. Non solo fisici, ma mentali. Architetture cognitive che favoriscano l’imprevisto.
Serve hacking cognitivo: introdurre rumore creativo nei nostri pattern. Cambiare strada per andare al lavoro. Leggere un libro in una lingua che non conosciamo. Ascoltare musica che non ci piace. Mangiare con la mano sinistra, ecc. se volete ridere e preoccuparvi c’è un esperimento che ho visto una decina di anni fa di un tipo che si è riprogrammato per guidare una bici che sterzava alla rovescia (ecco il video).
Piccole perturbazioni che impediscono al sistema di cristallizzarsi. Granelli di sabbia che inceppano la macchina. Virus benefici che contagiano l’automatismo.
La pedagogia del System 0
Come si insegna a resistere?
Serve una pedagogia dell’attrito. Un’educazione al dubbio, alla lentezza, all’inefficienza.
Scuole che insegnino alfabetizzazione algoritmica, comunità che pratichino digiuni cognitivi, spazi pubblici progettati per la serendipità.
Ma non basta conoscere i meccanismi. Serve coltivare la capacità di distinguere:
- Efficienza creativa da efficienza sterile
- Automazione liberatoria da automazione oppressiva
- Uso tattico da sottomissione strategica
Serve ricordare che non tutto deve servire a qualcosa. E che l’inutile è spesso dove nasce il necessario.
Tre frecce per trafiggere il Sistema
Come si combatte? Con gesti piccoli, ostinati, poetici. Con le nostre frecce contro l’impero della previsione.
- Leggere come un eretico: scegli un libro a caso, non quello che l’algoritmo ti spinge in gola. Non deve “servire”, deve vibrare. È un rimedio omeopatico: agisce per risonanza, non per logica.
- Abbracciare l’inefficienza: perdi tempo deliberatamente, come un bambino con un cucchiaino. Sii lento, sbaglia, inciampa. La mente non è una fabbrica, è un campo selvatico, pieno di rovi e promesse.
- Coltivare il dubbio come un giardino: lascia domande senza risposta. Fai crescere dubbi come fiori ribelli in un mondo di monocolture digitali. Sii la domanda che precede ogni algoritmo.
Siamo l’interferenza
Il pensiero umano, come un rimedio omeopatico, agisce per risonanza. È un sintomo. Un’interferenza. Una deviazione.
Il System 0 vuole linearità. Ma la vita è stortura, inciampo, contraddizione.
Siamo l’errore che salva il sistema dal collasso. La domanda che precede ogni risposta. La sorpresa che sfugge a ogni previsione.
Non siamo bug da correggere. Siamo feature da preservare.
Un’omeostasi ribelle
Il Sistema Zero è qui. Funziona. Ci avvolge come una nebbia.
Ma la partita non è chiusa. Possiamo decidere se essere oggetti del suo calcolo o soggetti di una presenza che precede ogni algoritmo.
La nostra forza è nella dynamis, nel pensiero che si inceppa, nel desiderio che devia, nell’errore che fiorisce. Siamo la domanda che sfugge alla rete, il cucchiaino scelto con cura (per mescolare il latte o svuotare l’oceano della rete) in un mondo che ci vuole automi.
La vera rivoluzione non è tecnologica. È dinamica. È ricordare che siamo la vita che resiste a ogni ottimizzazione.
Verso una teoria unificata dell’umano algoritmico
Stiamo scrivendo, forse senza saperlo, una nuova fenomenologia. Quella dell’umano algoritmico. Un essere ibrido che vive nella tensione tra la sua dynamis e la logica del Sistema Zero.
Questa teoria unificata propongo che si articoli su, e di ritrovarla in, cinque livelli:
Livello fenomenologico: come si manifesta il System 0 nell’esperienza quotidiana. La sensazione di vuoto quando il feed finisce. L’ansia da notifica. La percezione alterata del tempo.
Livello neurobiologico: come modifica il cervello. La neuroplasticità che diventa dipendenza. I circuiti della ricompensa che si adattano al ritmo algoritmico. L’atrofia dell’attenzione profonda.
Livello sociale: come influenza le dinamiche collettive. La polarizzazione delle opinioni. L’eco chamber che si spaccia per diversità. La solitudine dell’iperconnessione.
Livello politico: come diventa strumento di governance. Il controllo del tempo come controllo del pensiero. L’algoritmo come forma di potere invisibile. La democrazia che si confronta con l’autocrazia del codice.
Livello esistenziale: cosa significa per l’essere umano. Il significato della scelta in un mondo che ci anticipa. La libertà che si misura nella capacità di sbagliare. L’autenticità che si ritrova nell’inciampo.
Questa teoria deve essere:
- Empiricamente fondata (sui dati della neuroscienza e della psicologia cognitiva)
- Filosoficamente rigorosa (nella sua analisi del rapporto tra umano e tecnico)
- Politicamente consapevole (delle implicazioni di potere)
- Poeticamente viva (per toccare l’esperienza prima che la concettualizzazione)
- Praticamente orientata (verso forme di resistenza e alterativa)
Epilogo: Il sussurro della dynamis
“Forse la mente non è fatta per funzionare bene,” sussurra Kahneman da un angolo del caffè immaginario, dove sono tornato nel mio errare.
Ha ragione. È fatta per incepparsi. intopparsi. resistere.
Come un rimedio omeopatico in un mondo di antibiotici, come un sussurro in un mondo di grida, come un inciampo in un mondo di ottimizzazione, il pensiero umano sopravvive nella sua inattualità, nella sua inefficienza, nella sua gloriosa, necessaria, irriducibile inutilità.
Il Sistema Zero può prevedere tutto. Ma non può prevedere il momento esatto in cui sceglieremo di non scegliere quello che ci suggerisce. Non può calcolare il silenzio che precede la parola. Non può algoritmizzare la pausa che salva l’anima.
Siamo la domanda che resta senza risposta. Il pensiero che non si lascia pensare. La vita che si rifiuta di essere ottimizzata.
E in questo rifiuto, in questa resistenza, in questa capacità di dire “no” all’evidenza, c’è tutto quello che ci rende umani. E tutto quello che ci può salvare.