In Italia il dibattito su sesso e genere resta imprigionato fra due estremi: il biologismo e il costruttivismo. Partendo dal saggio di Ronald Boothe e dalla voce di Antonia Monopoli, questo articolo esplora la complessità del corpo e dell’identità come intreccio di biologia, linguaggio e società. Il sesso è un processo, il genere una dimensione vissuta. Per comprenderli servono parole precise, protocolli chiari e politiche concrete. La conoscenza, non l’ideologia, è la via per una libertà responsabile e per una convivenza civile che riconosca la diversità come parte dell’umano.
Nel saggio di Ronald Boothe, How Does Biology Create Gender/Sex, il sesso emerge come catena causale: contano i geni, ma anche il timing ormonale, i recettori, la risposta dei tessuti e la successiva organizzazione cerebrale. il modello XX/XY funziona come la fisica di Newton – utile nella vita quotidiana – ma non basta quando la realtà si fa fine-grana. Le condizioni intersessuali, come la AIS (insensibilità agli androgeni) o la CAH (iperplasia surrenalica congenita), mostrano che i confini biologici tra “maschio” e “femmina” sono porosi.
Riconoscere questa complessità non significa negare la maggioranza dei casi prototipici: significa evitare che una minoranza venga spinta nell’ombra o trattata come un errore da correggere.
C’è anche una lezione storica da ricordare. Il caso Money–Reimer, spesso citato come esperimento fallito di “riprogrammazione di genere”, è un monito permanente: quando un’ideologia impone alla clinica la propria griglia, a pagare sono le persone. Il risultato non è conoscenza, ma dolore. Da qui discende un principio elementare e imprescindibile: prudenza, consenso informato, percorsi personalizzati.
Su queste basi scientifiche si innesta la voce di Antonia Monopoli, attivista, formatrice e autrice di "La forza di Antonia. Storia di una persona transgender". Le sue risposte alla mia intervista delineano un pensiero lucido, pratico e profondamente etico.
«Il fraintendimento più dannoso è ridurre sesso e genere a categorie rigide e opposte, come se bastasse guardare i cromosomi o l’aspetto esteriore per definire una persona. Questo approccio ignora la complessità biologica, psicologica e sociale e produce discriminazione, generando ostacoli concreti nella sanità, nella scuola e nel lavoro.»
La prima urgenza che Antonia Monopoli individua è operativa, non ideologica. Serve una sanità capace di riconoscere la realtà delle persone transgender come parte del sistema, non come un’anomalia da gestire.
«Occorrono percorsi chiari, rapidi e multidisciplinari, con équipe formate, consulenze psicologiche e mediche integrate, e accesso facilitato a terapie ormonali e interventi quando necessari.»
Sul fronte educativo, l’obiettivo è trasformare la scuola in un luogo sicuro, dove la diversità non sia un tema di emergenza ma di formazione civica.
«Servono educazione civica e linguistica inclusiva, formazione degli insegnanti e prevenzione dello stigma.»
Infine, il nodo del lavoro e dell’informazione, dove le discriminazioni più sottili si nascondono dietro procedure apparentemente neutre. «Politiche antidiscriminatorie concrete e controllabili, campagne basate su dati e storie reali, lontane da moralismi o sensazionalismi.»
La sua prospettiva è quella di chi ha vissuto in prima persona la distanza tra principi e pratiche. «I margini più immediati riguardano la formazione degli operatori e la chiarezza dei protocolli sanitari: piccoli interventi organizzativi possono migliorare significativamente la vita quotidiana delle persone transgender.»
C’è poi il capitolo del linguaggio.
«Bisogna usare parole precise e concrete, raccontando esempi e percorsi reali senza ridurre tutto a categorie semplificate. La divulgazione può essere supportata da schemi visivi chiari e metafore intelligibili ma corrette. Fondamentale è distinguere ciò che è maggioritario da ciò che è minoritario, senza cancellare le eccezioni.»
È una lezione epistemologica: i modelli servono a orientarsi, non a cancellare le variazioni. L’eccezione non invalida la regola; ne definisce i limiti di validità. Tradotto nel dibattito pubblico: smettere di usare categorie politiche come se fossero verità naturali e smettere di usare dati biologici come randelli ideologici.
«Libertà e responsabilità sono due facce della stessa medaglia. La libertà di autodeterminazione significa avere il diritto di vivere pienamente la propria identità, ma richiede anche consapevolezza delle implicazioni sociali, dei diritti altrui e dei limiti istituzionali. L’equilibrio si costruisce con trasparenza, rispetto reciproco e politiche che riconoscano la diversità senza imporre uniformità.»
È una visione che restituisce alla conoscenza la sua funzione più alta: non dividere, ma rischiarare. Il sapere, quando è onesto, non stabilisce gerarchie — costruisce ponti.
Antonia Monopoli lo sintetizza nel consiglio di una lettura che colloca le vite individuali dentro la storia collettiva: Storia transgender. Radici di una rivoluzione di Susan Stryker. Un testo che unisce ricerca, testimonianza e analisi delle istituzioni: «Aiuta a capire che la pluralità dei percorsi identitari non è un’eccezione ma una costante umana.»
Il punto d’arrivo è insieme politico e conoscitivo. Dire “il sesso non è binario” non significa negare differenze, ma riconoscere che le differenze non si esauriscono nei nostri modelli.
È un atto di onestà intellettuale, non un vezzo ideologico. E come ricorda Antonia Monopoli, la libertà autentica consiste nel diventare se stessi senza dover pagare pedaggi all’ignoranza o alla paura. La scienza serve a questo: a illuminare i fatti. Il resto lo fanno la lingua, la cura e le scelte.