Le metafore de LA FUGA DEI CERVELLI e dei CERVELLI IN FUGA vengono usate per riferirsi al fenomeno dell’emigrazione di persone di talento o altamente specializzate che decidono di trasferirsi all’estero per trovare quel lavoro ben remunerato e adeguato alle proprie capacità che la madre patria—in cui esse si sono formate—non sa loro dare.
Queste metafore sono modellate su un’altra, più nota metafora, LA FUGA DEI CAPITALI, con la quale condividono la fondamentale apprensione per il destino di chi o di ciò che rimane, piuttosto che per il destino di chi o di ciò che fugge.
Non mi stupisce tanto che chi rimanga veda l’emigrazione delle persone di talento come una sorta di illegale FUGA DI CAPITALI. In fin dei conti, il CERVELLO che fugge si è formato in madre patria, la quale ha speso ingenti risorse per quel CERVELLO in termini di istruzione, strutture scolastiche, sanità, ecc. Dal punto di vista di chi rimane, sembra lecito percepire il CERVELLO come un bene che appartiene alla madre patria.
Quello che mi stupisce piuttosto è la capacità che hanno le metafore de LA FUGA DEI CERVELLI e dei CERVELLI IN FUGA di non farci pensare alla incapacità dei cervelli della madre patria che, pur potendo (se non addirittura, dovendo) TRATTENERE, ATTIRARE o CALAMITARE CERVELLI, se ne sono ben guardati dal farlo.
Molto spesso, una metafora serve per occultarne un’altra: quella dei CERVELLI (che, andandosene, sono) IN SALVO!