1. La memoria come scelta
Per Aleida Assmann, ricordare non è mai un processo neutro, è una scelta culturale e politica. La memoria vive di due tensioni opposte, quella della memoria vivente (funzione) e quella della memoria accumulata (archivio). La prima è mobile, affettiva, fatta di esperienze condivise, la seconda è statica, istituzionale, costruita da archivi, musei e manuali. La memoria funzionale seleziona ciò che resta vivo nel presente, la memoria d’archivio conserva ciò che rischia di sparire. Ogni società, sostiene Assmann, vive della dialettica tra ciò che ricorda e ciò che dimentica.
Nel mondo digitale, questa distinzione svanisce. Le piattaforme hanno trasformato l’archivio da luogo della conservazione a spazio di accumulo continuo, nulla viene davvero selezionato, tutto viene registrato. Ma un archivio senza selezione non è una memoria, è un deposito senza intenzione, un progetto.
Qui si innesta la prospettiva di Lev Manovich, che osserva come l’archivio digitale non conservi, ma ricalcoli. Ogni volta che un algoritmo ordina i risultati di una ricerca, che una piattaforma suggerisce un video o un ricordo, la memoria collettiva viene riscritta. Non più secondo criteri storici o culturali, ma secondo logiche di visibilità, engagement e correlazione statistica. La memoria, in questo senso, diventa una funzione del calcolo, non della selezione umana.
Se per Assmann ricordare implica responsabilità, per Manovich la memoria è ormai un processo computazionale, un sistema che riorganizza il passato in base ai parametri del presente.
Chi decide oggi cosa merita di essere ricordato? Le istituzioni culturali o le piattaforme che amministrano i dati raccolti? Nel passaggio dalla memoria selettiva alla memoria automatica, rischiamo di perdere la capacità di scegliere che cosa salvare.
2. Dalla testimonianza al database
Per Aleida Assmann, la memoria ha sempre avuto bisogno di una forma narrativa, testimonianze, archivi, rituali, insegnamento. Ricordare significa mettere in relazione il passato con il presente, attribuire un significato, costruire un racconto condiviso. Senza racconto la memoria non unisce, non educa, non trasforma la società, diventa un materiale morto.
Nell’ecosistema digitale descritto da Lev Manovich, questo paradigma si capovolge. Il modello culturale dominante non è più la narrazione lineare ma il database, una struttura aperta, modificabile, infinita, in cui i contenuti non hanno un ordine intrinseco ma vengono organizzati di volta in volta da chi li interroga o dagli algoritmi che li filtrano. Il passato non viene più raccontato.
L’archivio - nella visione di Manovich - non rappresenta più un luogo della memoria, ma un campo di possibilità. Ogni informazione è un frammento che può essere estratto, associato, ricombinato, remixato. È un linguaggio costruito non per raccontare, ma per calcolare e correlare. In questo passaggio, la memoria perde la sua linearità e diventa un’interfaccia.
Assmann vede in questo un rischio culturale, quando la memoria non è più narrazione, smette di produrre identità, continuità, responsabilità storica. Se tutto è accessibile, nulla è condiviso. Manovich, invece, coglie il lato produttivo del nuovo scenario, il database apre un immaginario inedito, in cui il passato non è un’eredità fissa, ma un materiale sempre riattivabile, visualizzabile, combinabile.
Può l’archivio prendere il posto della storia? Di fronte a miliardi di dati che non diventano racconto, il rischio è quello di un archivio globale dove la memoria sopravvive, ma perde significato. Eppure, il database può anche aprire nuove forme di interpretazione del passato. Per questo oggi la domanda decisiva è: chi organizza il senso, chi ordina ciò che ricordiamo.
3. La memoria automatica
Nel mondo analogico, la memoria era legata a gesti umani: conservare, tramandare, insegnare, commemorare. Oggi, con l’intelligenza artificiale, questo ruolo viene trasferito a sistemi che imparano dal passato per predire il futuro. La memoria non serve più solo a ricordare, serve a calcolare.
Per Aleida Assmann, questa trasformazione è ambivalente. Da un lato, l’AI amplifica le capacità di archiviazione e di accesso; dall’altro, trasforma la memoria in anticipazione e controllo. Se ricordare diventa un modo per prevedere comportamenti, l’archivio smette di essere un patrimonio culturale e diventa un’infrastruttura di governo.
Lev Manovich osserva un altro lato della stessa trasformazione, i sistemi di machine learning non si limitano a conservare il passato, lo ricombinano. Generano immagini, testi e forme nuove attingendo a miliardi di frammenti archiviati. La memoria diventa così un motore di produzione, non più un deposito. Il passato non è solo ciò che è stato, ma ciò che può essere ricombinato.
La conseguenza è una memoria automatica, iterativa, predittiva. Non ricordiamo per capire ciò che è accaduto, ma per prevedere ciò che accadrà. Non cerchiamo più nel passato un senso, ma una direzione.
Quando la memoria viene delegata al calcolo, chi decide la direzione del futuro? L’essere umano che interpreta, o l’algoritmo che prevede? La memoria smette di essere un bene culturale e rischia di diventare una funzione tecnica.
4. Il valore dell’oblio
Per Aleida Assmann, una memoria senza oblio non è una memoria più forte, ma una memoria malata. Ogni comunità, per rimanere viva, deve poter selezionare, archiviare, ma anche rimuovere e trasformare. Dimenticare non è un cedimento, ma un atto politico e terapeutico. Ciò che si sceglie di lasciare andare permette alla società di fare spazio al futuro, di riscrivere i significati, di evitare che il passato diventi un peso paralizzante. La memoria culturale - sostiene Assmann - ha bisogno di canoni, riti, cornici e soglie, e quindi anche di esclusioni condivise.
Il digitale sovverte questo equilibrio, la rete tende alla permanenza assoluta, all’archiviazione infinita. Niente scompare davvero: dati, tracce, immagini, errori, eventi marginali, tutto resta senza contesto, senza gerarchia, senza tempo. Per Assmann, un archivio in cui ogni traccia vale quanto un’altra, e dove l’oblio, elemento essenziale della memoria umana, sembra escluso per principio, non può essere considerato vera memoria.
Lev Manovich rovescia la prospettiva, nel digitale l’oblio non scompare, cambia forma. In apparenza viviamo nel tempo della memoria totale, dove nulla viene cancellato. Ma in realtà la selezione non avviene più attraverso decisioni pubbliche e consapevoli, la fanno gli algoritmi. Sono i motori di ricerca, i ranking, le raccomandazioni a stabilire cosa resta visibile e cosa viene “dimenticato”.
Nel mondo digitale l’oblio non è più un gesto umano deliberato, ma un effetto tecnico. Non dimentichiamo perché scegliamo, ma perché non vediamo più. È un oblio invisibile, impersonale e automatico, prodotto da logiche non chiare e gestite da privati.
Siamo ancora noi a decidere cosa ricordare e cosa dimenticare, o è l’algoritmo che lo sta facendo al nostro posto?
5. L’immaginazione della memoria
Nel mondo analogico, la memoria era legata alla selezione, alla responsabilità collettiva. Nel mondo digitale, invece, la memoria si comporta come un flusso continuo, in cui tutto viene registrato, copiato, remixato, riattivato. Ed è proprio su questo punto che Assmann e Manovich, pur partendo da prospettive diverse, finiscono per convergere su un punto, la memoria digitale richiede una nuova coscienza della memoria. Perché Il problema non è più ricordare tutto, ma scegliere cosa salvare.
Per Aleida Assmann, archiviare non è mai abbastanza, conservare è un atto sterile se non è accompagnato da interpretazione e senso. Senza una cornice condivisa, senza istituzioni capaci di organizzare, contestualizzare, discutere, la memoria digitale rischia di diventare rumore puro, una massa indistinta che ci sottrae orientamento invece di restituircelo. La società deve imparare a scegliere cosa salvare, non a trattenere tutto.
Lev Manovich, osservando l’estetica e le pratiche dei media digitali, vede però anche un potenziale, gli archivi algoritmici non sono solo depositi, ma macchine dell’immaginazione, capaci di generare nuove forme a partire dal passato. La memoria diventa “materiale plastico” esplorabile, ricombinabile, visualizzabile. L’archivio diventa un laboratorio, non basta ricordare, bisogna chiedersi cosa siamo in grado di creare a partire da ciò che conserviamo.
Da questo confronto emerge un paradosso interessante: per Assmann, senza narrazione non c’è memoria; per Manovich, senza sperimentazione non c’è immaginazione. La memoria digitale sembra costringerci a tenere insieme queste due esigenze, dare senso al passato e, allo stesso tempo, reinventarlo.
Brevi biografie degli autori:
Aleida Assmann
Storica della cultura e tra le più influenti studiose viventi della memoria collettiva. Professoressa emerita all’Università di Costanza, ha rinnovato gli studi sulla memoria distinguendo tra memoria individuale, comunicativa e culturale, mostrando come le società costruiscano nel tempo archivi, riti e narrazioni per dare forma al passato. I suoi saggi - tra cui Cultural Memory and Western Civilization (2011) e Il tempo e la memoria (2020) - hanno inaugurato un vero paradigma internazionale, la memoria come atto politico di selezione, fondamento dell’identità e della responsabilità storica.
> https://en.wikipedia.org/wiki/Aleida_Assmann
Lev Manovich
Teorico dei media digitali e pioniere della cultural analytics, è tra le voci più autorevoli nello studio del rapporto tra cultura, software e immaginazione visiva. Professore al Graduate Center della CUNY e fondatore del Cultural Analytics Lab, ha esplorato come database, algoritmi e reti neurali trasformino il nostro modo di produrre immagini, racconti e memoria collettiva. Con testi come The Language of New Media (2001) e AI Aesthetics (2018), Manovich descrive il passaggio dalla cultura dell’interpretazione alla cultura del calcolo, dove l’archivio diventa processo dinamico e algoritmico.
POV nasce dall’idea di mettere a confronto due autori viventi, provenienti da ambiti diversi - filosofia, tecnologia, arte, politica - che esprimono posizioni divergenti o complementari su un tema specifico legato all’intelligenza artificiale.
Si tratta di autori che ho letto e approfondito, di cui ho caricato i testi in PDF su NotebookLM. A partire da queste fonti ho costruito una scaletta di argomenti e, con l’ausilio di GPT, ho sviluppato un confronto articolato in forma di articolo.
L’obiettivo non è giungere a una sintesi, ma realizzare una messa a fuoco tematica, far emergere i nodi conflittuali, perché è proprio nella differenza delle visioni che nascono nuove domande e strumenti utili a orientare la nostra ricerca di senso.