Jung ci ricorda che se la nostra personale vita non è pienamente vissuta accumuliamo rancore verso di noi, dentro di noi: moltiplichiamo le presenze ostili.
Se ci è così difficile vivere, ci dice Jung, è perché non conosciamo noi stessi. Nessun uomo è al sicuro da sé stesso - se non si fa carico di esplorare il proprio mondo interiore.
Certo è difficile. Eppure il compito che ogni essere umano è chiamato ad accettare è proprio questo: cercare quel significato che ci permetta di continuare a vivere; di riprendere, dopo ogni inciampo, il nostro cammino.
Cosa accade nei tempi digitali? Questo lavoro su di sé diventa più difficile e allo stesso tempo sembra meno necessario. Perché siamo continuamente lusingati da una abbondante offerta di esperienze di cartapesta: comodi surrogati delle nostre esperienze interiori. Perché al posto del faticoso lavoro su di sé, ci viene proposta la agevolissima soluzione già pronta fornita da una qualche app, da una intelligenza artificiale.
Vie di fuga che ci esimano dall'esserci, noi umani le abbiamo sempre cercate. Ma mai come nei tempi digitali la via di fuga è stata così facile. Mai la via di fuga è stata proposta in modo così accattivante.
Infatti, al posto della psicologia del profondo trionfano comportamentismo e psicologia cognitiva. Al posto della ricerca di consapevolezza, l'invito a prendere per buone spinte gentili. Al posto della analisi e dell'autoanalisi, dello scavo alla ricerca di motivazioni inconsce, la ricerca, nell'agire umano, di bias: errori ricorrenti e sistematici.
Ma non c'è niente di erroneo in noi.
Non siamo macchine che eseguono un programma. Siamo esseri umani che accettano di rivolgere lo sguardo alle ombre, che sondano le zone oscure.