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Che senso ha dire "la tecnologia è un acceleratore di probabilità, che ci può aiutare ma non guidare"?

Il concetto di 'bias', per il semplice motivo del suo essere applicato sia a noi umani sia a macchine informatiche, ci costringe alla comparazione con macchine. Ed anzi, il 'bias' presuppone che noi umani siamo macchine: macchine che compiono errori 'gravi e sistematici'.

Si stabiliscono così liste di errori dell'agire umano.

Si può, una volta per tutte, definire quali sono gli schemi automatici che ingannano le nostre percezioni?
Quali sarebbero, e dove stanno, i 'dati oggettivi' in base ai quali dovremmo prendere decisioni?
E nel confrontare l'atteggiamento di ognuno con un unico schema, dove finisce la differenza tra un essere umano e un altro?
Ma chi ha l'autorità di stabilire quali sono gli 'errori di giudizio', il 'pensare distorto'?

Dovremmo invece mettere in discussione il potere di coloro la cui autorità si basa esclusivamente sulla definizione di schemi cui occorre attenersi per 'stare nel giusto', per essere giudicati 'razionali', Schemi che ci costringono in una l'identità di gruppo. Schemi che ci costringono a filtrare le esperienze e ad inscatolare la conoscenza.

La percezione della soglia della paura non è deducibile da uno schema, è frutto di irripetibili esperienze e conoscenze.

La capacità di 'vivere l'incertezza' è il frutto della storia personale, del lavoro su di sé.

Che senso ha dire, come leggo nella conclusione dell'articolo, che a causa di 'bias' non "vediamo la tecnologia per quella che è"? Quale essere umano può dire ad altro "non sai vedere"? Esiste forse un solo modo di "vedere"?

Che senso ha dire "la tecnologia è un acceleratore di probabilità, che ci può aiutare ma non guidare"?

Non ci guidano forse nelle scelte e nei comportamenti gli algoritmi che regolano il funzionamento del motore di di ricerca o di un social network?

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - STULTIFERA NAVIS co-founder

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