Alla fine di questo itinerario attraverso il pensiero di Peters, mi ritrovo con più domande che risposte. E forse è esattamente questo il punto. Tim Luke lo chiama "Perversity or Problems in The Rise of Peer Production" (Luke, 2020). Il suo contributo mappa alcuni problemi emergenti dalle contraddizioni storiche tra "knowledge socialism" e "knowledge capitalism".
Luke ci ricorda che ogni teoria emancipatoria porta dentro di sé il germe della propria perversione. Il knowledge socialism, per quanto radicale nelle sue possibilità, rischia di riprodurre esattamente le dinamiche che dichiara di voler superare. Serve vigilanza epistemologica, onestà intellettuale, capacità di guardare in faccia le proprie contraddizioni.
Il movimento per l'open access, l'open science, l'open education promette di democratizzare la conoscenza. Ma come nota Peters stesso nell'editoriale del 2019, "mentre il Piano S e l'open access alle riviste non esauriscono il concetto di 'digital socialism' o nemmeno si avvicinano a un sistema politico, forniscono uno spartiacque massiccio per l'editoria accademica che minaccia di destabilizzare il mercato e l'idea neoliberale dell'università" (Peters, 2019).
La parola chiave è "minaccia". L'apertura può destabilizzare, ma può anche essere cooptata. Le grandi piattaforme tecnologiche hanno costruito imperi proprio sulla retorica dell'apertura e della condivisione. Facebook prometteva di connettere il mondo. Google organizzava l'informazione mondiale. Amazon democratizzava il commercio. Tutte retoriche di apertura trasformate in concentrazione monopolistica di potere.
Il knowledge socialism rischia la stessa deriva. L'open access gestito da Elsevier o Springer rimane business model estrattivo mascherato da linguaggio progressista. Le piattaforme di peer production possono diventare meccanismi di lavoro gratuito per corporation che monetizzano i commons.
Steve Fuller per contro argomenta che "l'economia politica contemporanea del knowledge socialism deve seppellire la sua eredità marxista" e concentrarsi su varie teorie "socialiste utopiche" (Fuller, 2020). La sua critica colpisce un punto sensibile: il rischio di determinismo tecnologico nascosto dietro il linguaggio della possibilità.
Quando parliamo di "possibilità radicali aperte" contenute nelle tecnologie digitali, stiamo davvero descrivendo possibilità oppure stiamo proiettando desideri su substrati tecnici indifferenti? Negri e Rifkin, nota Caffeentzis (1999), occupano due estremi dello spettro retorico. Rifkin è empirico e pessimista nella sua valutazione della "fine del lavoro", mentre Negri è aprioristico e ottimista. Tuttavia, entrambi sembrano invocare il determinismo tecnologico affermando che esiste un solo modo per il capitalismo di svilupparsi.
Il postdigitale, come abbiamo visto, cerca di evitare questa trappola affermando che l'essenza della tecnologia non è tecnologica. Ma la teoria rischia costantemente di scivolare nella sua antitesi: celebrare le piattaforme digitali come se contenessero intrinsecamente potenziale emancipatorio.
Forse la perversità più inquietante riguarda chi partecipa al knowledge socialism. Peters e Besley sono espliciti: le knowledge cultures richiedono capacità, linguaggi, capitali culturali specifici. La "community of inquiry" presuppone membri capaci di indagare, dialogare, argomentare secondo convenzioni epistemiche condivise.
Ma queste capacità sono distribuite in modo profondamente ineguale. L'accesso all'educazione superiore, la padronanza dei linguaggi accademici, la familiarità con gli strumenti digitali di collaborazione - tutto questo segna confini di classe mascherati da merito. Il knowledge socialism rischia di essere il socialismo dei knowledge workers, una nuova aristocrazia cognitiva che condivide tra pari escludendo chi non possiede i requisiti di ingresso.
Peters lo riconosce quando discute le disuguaglianze educative che "diventano pronunciate sotto la finanziarizzazione dell'educazione, il trillion-dollar blow-out nei prestiti studenteschi USA e l'austerity capitalism dopo la Grande Recessione, specialmente nelle economie mediterranee" (Peters, 2019). Il knowledge socialism può facilmente diventare privilegio di chi può permettersi l'educazione necessaria per parteciparvi.
Bernard Stiegler (2010) offre una critica particolarmente tagliente quando argomenta che le macchine hanno confiscato la conoscenza e le memorie dei knowledge workers al punto che la proletarizzazione ora comprende il sistema muscolare (Marx) e anche il sistema nervoso dei cosiddetti creative workers nell'economia della conoscenza.
L'automazione algoritmica non libera il general intellect. Lo cattura, lo parcellizza, lo incorpora in sistemi proprietari. Wheeler (2016) parla di "Thinking Beyond the Brain: Educating and Building from the Standpoint of Extended Cognition". Ma cosa succede quando la cognizione estesa viene mediata interamente da piattaforme proprietarie? Quando i nostri strumenti di pensiero appartengono a corporation che estraggono valore da ogni nostro processo cognitivo?
La peer production promette strutture orizzontali, governance distribuita, decisioni collettive. Ma osservando i progetti open source su larga scala emerge una realtà più complessa. Esistono gerarchie informali, meccanismi di potere non dichiarati, figure di autorità che emergono e si consolidano.
GitHub può essere formalmente una piattaforma di collaborazione paritaria. Ma nei fatti riproduce dinamiche di potere basate su reputazione, network effects, controllo dei repository centrali. La governance "aperta" maschera concentrazioni di influenza che determinano direzioni tecniche, standard accettati, contributi valorizzati.
Cosa ci resta dopo aver mappato queste perversità? Peters offre una risposta nella sua stessa pratica intellettuale: la vigilanza critica continua. Essere "più cauti e più scettici" riguardo alle opportunità non significa abbandonare il progetto. Significa riconoscere che ogni tentativo di costruire alternative porta dentro di sé contraddizioni da monitorare costantemente.
Il knowledge socialism rimane uno strumento concettuale prezioso. Un disruptor del discorso dominante, come Peters lo definisce all'inizio. Ma funziona solo se manteniamo viva la capacità di criticarlo, di vederne i limiti, di identificare dove tradisce le proprie promesse.
Le knowledge cultures esistono e producono valore reale. Il postdigitale offre un framework per pensare la complessità senza riduzionismi. La peer production crea commons concreti. Ma tutto questo richiede lavoro politico continuo, vigilanza epistemologica, onestà intellettuale sulle contraddizioni.
Chiudo questo itinerario con la consapevolezza che ogni tappa ha aperto più questioni di quante ne abbia risolte. E forse è esattamente così che dovrebbe essere un vero itinerario intellettuale: un percorso che trasforma le certezze in domande produttive.
Bibliografia
Caffeentzis, G. (1999). The End of Work or the Renaissance of Slavery? A Critique of Rifkin and Negri. Common Sense, 24, 20-38.
Fuller, S. (2020). Knowledge Socialism Purged of Marx: The Return of Organized Capitalism. In M. A. Peters et al. (Eds.), Knowledge Socialism (pp. 185-204). Singapore: Springer.
Luke, T. W. (2020). Perversity or Problems in The Rise of Peer Production: Collegiality, Collaboration, and Collective Intelligence. In M. A. Peters et al. (Eds.), Knowledge Socialism (pp. 69-84). Singapore: Springer.
Peters, M. A. (2019). Knowledge Socialism: The Rise of Peer Production—Collegiality, Collaboration, and Collective Intelligence. Educational Philosophy and Theory. https://doi.org/10.1080/00131857.2019.1654375
Peters, M. A., & Besley, T. (2006). Building Knowledge Cultures: Education and Development in the Age of Knowledge Capitalism. Lanham, MD: Rowman & Littlefield.
Peters, M. A., Besley, T., Jandrić, P., & Zhu, X. (Eds.). (2020). Knowledge Socialism: The Rise of Peer Production: Collegiality, Collaboration, and Collective Intelligence. Singapore: Springer. https://doi.org/10.1007/978-981-13-8126-3
Stiegler, B. (2010). For a New Critique of Political Economy. Malden, MA: Polity Press.
Wheeler, M. (2016). Thinking Beyond the Brain: Educating and Building from the Standpoint of Extended Cognition. In S. Springer, K. Birch, & J. MacLeavy (Eds.), The Handbook of Neoliberalism (pp. 297-306). New York & London: Routledge.