"Non possiamo tralasciare di dire che il desiderio e la ricerca del bene degli altri e di tutta l’umanità implicano anche di adoperarsi per una maturazione delle persone e delle società nei diversi valori morali che conducono ad uno sviluppo umano integrale. Nel Nuovo Testamento si menziona un frutto dello Spirito Santo definito con il termine greco agathosyne. Indica l’attaccamento al bene, la ricerca del bene. Più ancora, è procurare ciò che vale di più, il meglio per gli altri: la loro maturazione, la loro crescita in una vita sana, l’esercizio dei valori e non solo il benessere materiale."
ANALISI MORFOLOGICA ED ETIMOLOGICA
Dal punto di vista morfologico, il termine agathosyne è composto da due elementi costitutivi: la radice aggettivale ἀγαθός (agathos) che significa buono, virtuoso, eccellente, e il suffisso -σύνη (-syne) che indica qualità astratta o stato d'essere. La combinazione di questi elementi genera un sostantivo femminile della prima declinazione che designa la qualità o lo stato dell'essere buono.
La radice agathos ha una storia semantica complessa nella lingua greca. Nella letteratura omerica, agathos indicava primariamente l'eccellenza aristocratica e militare, denotando qualità come il coraggio, la forza e l'abilità in battaglia.
Progressivamente, il termine acquisì connotazioni più ampie, estendendosi alla sfera morale ed etica, fino a designare la bontà in senso generale.
Nel Nuovo Testamento, agathosyne compare quattro volte, esclusivamente negli scritti Paolini ma pare si perda di significato quando viene tradotta e normalizzata per una comprensione di massa.
Cercando di andare più a fondo nel comprendere la potenza del suo significato, mi sono imbattuto negli studi che il teologo e arcivescovo Trench (1854) fa esplorando le sfumature del significato tra le parole greche chrestotes (χρηστότης) e agathosyne (ἀγαθωσύνη), parole che il Nuovo Testamento usa in maniera apparentemente intercambiabile, e che Trench evidenzia con una sostanziale distinzione, che per sua stessa ammissione tendeva a perdersi nelle traduzioni in lingua inglese.
Entrambe le parole si riferiscono alla "bontà", ma, secondo Trench, esprimono aspetti diversi del carattere virtuoso.
CHRESTOTES: LA BONTÀ GENTILE
Chrestotes è la bontà intesa come gentilezza, benevolenza e dolcezza. È una virtù che non giudica con severità, ma che si manifesta attraverso un atteggiamento affabile e premuroso. L'obiettivo principale è il sostegno, non la correzione severa, ed è espressa incoraggiando gli altri, creando un'atmosfera di grazie e gentilezza.
Trench cita a riguardo l'episodio di Gesù che mostra la sua benevolenza nei confronti della donna peccatrice che gli unge i piedi (Luca 7:36-50). In questo caso, Gesù non la rimprovera, ma le mostra compassione e perdono, un chiaro esempio di chrestotes.
AGATHOSYNE: LA BONTÀ ENERGICA
Agathosyne, al contrario, è intesa da Trench come la bontà in senso più ampio e completo, ma con un'accezione che include un elemento di zelo, forza e anche severità. È una virtù attiva e dinamica, pronta a rimproverare o a disciplinare per il bene superiore, senza lasciarsi influenzare da considerazioni sentimentali. Per raggiungere un fine giusto, agathosyne può manifestarsi in modo che non è necessariamente dolce e gradevole, ma che è moralmente necessario.
Trench fa l'esempio di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio (Matteo 21:12-13). Pur essendo un atto di "indignazione giusta", rifletteva un'azione zelante per ristabilire ciò che era retto, incarnando così l'idea di agathosyne.
PERCHÈ È IMPORTANTE LA DISTINZIONE?
La sottile differenza tra agathosyne e chrestotes aiuta a comprendere che la "bontà" cristiana non è un'unica qualità monolitica, ma può assumere forme diverse, a seconda delle circostanze e delle persone coinvolte.
A volte è necessaria una bontà gentile e compassionevole (chrestotes) per accogliere i peccatori e mostrare grazia, come nel caso di Gesù con la donna peccatrice. Altre volte è richiesta una bontà energica e risoluta (agathosyne) per affrontare il male e per stabilire la giustizia, come nel caso di Gesù nel tempio.
Per i cristiani, l'equilibrio tra queste due forme di bontà è fondamentale, perchè combina la gentilezza compassionevole con la fermezza morale.
AGATHOSYNE-BY-DESIGN
Ed è proprio questa distinzione che mi ha folgorato quando ho iniziato a riflettere sul momento che stiamo vivendo con l'intelligenza artificiale. Perché quello che vedo intorno a me, nel dibattito pubblico sull'AI, è una prevalenza quasi totale di chrestotes: un entusiasmo gentile, accomodante, che evita il conflitto. Si parla di "opportunità", di "potenziale", di "automazione", si certo, anche di "etica" e di "come rendere l'AI più accessibile e inclusiva".
Tutto giusto, per carità. Ma c'è qualcosa che manca.
Manca il coraggio di dire che alcune strade non vanno percorse, che alcuni utilizzi non sono negoziabili, che certe logiche vanno interrotte. Anche quando è scomodo, anche quando tutto questo disturba.
L'intelligenza artificiale non ha bisogno di gentilezza compassionevole. Ha bisogno di un approccio che a me piace chiamare agathosyne-by-design: e cioè di un linguaggio che sa quando è necessario rovesciare i tavoli dei mercanti, quando è tempo di dire "no" con forza, quando il bene superiore richiede un'azione concreta che non sarà accolta con applausi.
Serve chi sia disposto a progettare più lentamente pur di progettare meglio. Chi sappia rinunciare a opportunità di business se queste vanno contro il bene comune. Chi abbia il coraggio di essere impopolare.
RIFLESSIONE PERSONALE
In questi giorni ho aggiornato il mio profilo per renderlo più allineato al percorso che ormai da svariati anni ho deciso di intraprendere. È vero, nel mio piccolo, mi occupo di tecnologia da tempo, e spesso e volentieri mi espongo in maniera diretta e disturbante su come questa stessa tecnologia influenzi le capacità cognitive dell'essere umano (e su questo, a ben vedere, ci metto le mani in pasta ogni giorno, nonostante tutto e tutti). Ma probabilmente non mi ero mai sentito così in sintonia con l'urgenza di ciò che sta accadendo là fuori, da voler insistere nel cercare qualche anima gentile che voglia condividere insieme a me una migliore visione di futuro: ambiziosa, certo, ma per quel che mi riguarda, non negoziabile.
Il mondo che vorrei io, non è quello che si intravede all'orizzonte. So che sotto sotto qualcun'altro qui su LinkedIn condivide questa mia visione, e spero un giorno di incontrarlo lungo la mia strada. Nel frattempo, con i pochi mezzi che mi ritrovo, di sicuro proverò a fare un pezzo di strada, cercando di trovare qualche moneta lungo il cammino da spendere in buona compagnia.
Perché quello che vedo in quell'orizzonte è un'adozione acritica dell'intelligenza artificiale che procede con il pilota automatico, senza che nessuno si chieda davvero dove stiamo andando.
Il mondo che vorrei io, non è quello che si intravede all'orizzonte.
Ed è proprio di fronte a questo pilota automatico che trovo ancora più urgente l'appello che proprio Papa Francesco lanciò al G7 di Borgo Egnazia sull'intelligenza artificiale. Si, certo, un appello politico, ma che io, da professionista che progetta strumenti digitali da svariati anni, sento di dover sostenere in prima persona:
Tuttavia, l’uso dei nostri utensili non sempre è univocamente rivolto al bene. Anche se l’essere umano sente dentro di sé una vocazione all’oltre e alla conoscenza vissuta come strumento di bene al servizio dei fratelli e delle sorelle e della casa comune, non sempre questo accade. Anzi, non di rado, proprio grazie alla sua radicale libertà, l’umanità ha pervertito i fini del suo essere trasformandosi in nemica di sé stessa e del pianeta. Stessa sorte possono avere gli strumenti tecnologici. Solo se sarà garantita la loro vocazione al servizio dell’umano, gli strumenti tecnologici riveleranno non solo la grandezza e la dignità unica dell’essere umano, ma anche il mandato che quest’ultimo ha ricevuto di “coltivare e custodire” il pianeta e tutti i suoi abitanti. Parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani e quindi di quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità, cioè vuol dire parlare di etica. Il fatto è proprio questo: figure professionali come la mia, che sono in prima linea con la progettazione e lo sviluppo di questi strumenti tecnologici, sono i primi che dovrebbero sentirsi responsabili di quest'appello, non i politici. Non mi illudo più che un cambiamento "vero" possa arrivare solo dall'alto (magari sì, e sicuramente mi sto sbagliando, ma con situazioni come chat control, c'è poco da stare sereni).
Il cambiamento deve partire dal basso, da chi costruisce tutto questo.
Ma attenzione: non con gli stessi modelli che ci hanno portato fin qui. Negli ultimi 30 anni, gli startupper e i visionari della Silicon Valley (i vari Jobs e Gates) hanno abilitato questo progresso digitale seguendo una logica di innovazione a tutti i costi. Le loro storie sono diventate i nostri miti fondativi, quasi fossero il Messia.
Ed è proprio qui il punto: serve una nuova generazione di builder che non replichi quegli stessi modelli. Non più "move fast and break things", ma "think deep and build purpose".
Ed ecco svelato il segreto di ciò che dico (o meglio, di come lo dico): certo sarà anche disturbante tutta questa mia narrazione apocalittica (che poi a ben vedere, apocalisse è un termine che indica scoperta, disvelamento, rivelazione, o detto in termini più adatti al contesto innovazione), ma a me pare che con tutta questa chrestotes che gira a casaccio qui su LinkedIn, un po' di sana agathosyne non potrà che far del bene, anzi, spero proprio di poter smuovere con queste mie parole tutti quegli animi buoni e gentili, assopiti da questa inconsapevole adozione dell'intelligenza artificiale che ci sta traghettando verso una nuova era artificiale.
Quindi, nessuna crociata all'orizzonte, state tranquilli e, detto francamente, mi dispiace deludervi su questo punto, ma per come la vedo io, qui si decide il futuro della nostra civiltà, quindi, si, siate pure liberi, ma fatelo responsabilmente.