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SOMMARIO: Origine del termine ‘digitale’. Calcolatori come macchine che trattano informazioni espresse tramite numeri. Tuttavia, il termine più usato è computer. Differenza tra il calcolare e il computare. Il ruolo di Alan Turing nel passaggio dal calcolare al computare. Passaggio non solo matematico, logico, tecnico, ma anche filosofico, psicosociologico, politico. Differenza tra pensiero aperto alla complessità e pensiero computazionale. Le parole chiave: Digitale, calcolare, computer, computazione, matematica, formalismo, intuizionismo, complessità. Origin of the term 'digital'. Computers as machines that process information expressed through numbers. But the more commonly used term is computer. Difference between calculate and compute. Alan Turing's role in the transition from calculating to computing. Shifting not only mathematical, logical, technical, but also philosophical, psychosociological, political. Difference between thinking open to complexity and computational thinking. Keywords: Digital, calculate, computers, computation, mathematics, formalism, intuitionism, complexity.


Storie di Matematici 

Le aspettative di una illustre famiglia aristocratica, presente da secoli sulla scena pubblica - il nonno fu Primo Ministro della Regina Vittoria - sono pesanti da supportare. L’educazione puritana, la repressione emotiva, il formalismo nei rapporti familiari ne aggravano il peso. Nella quiete e nel lusso di Pembroke Lodge, gran magione georgiana in Richmond Park, figura dominante dell’infanzia e l’adolescenza di Bertrand Russel fu la nonna paterna, di famiglia presbiteriana. La sua educazione si riassume nell’ammonimento - Esodo, 23, 2 - “Non seguirai la moltitudine nel fare il male”. Mentre il fratello Frank reagisce ribellandosi apertamente, Bertrand, di sette anni più giovane, impara a nascondere i propri sentimenti. Ma Frank, anche, fa conoscere a Bertrand Euclide.

"Io non sono nato felice", ricorda Russell. "Da bambino il mio salmo preferito era: 'Stanco della terra e carico dei miei peccati'. (...) Durante l'adolescenza, la vita mi era odiosa e pensavo continuamente al suicidio; ma questo mio proposito era tenuto a freno dal desiderio di approfondire la mia conoscenza della matematica". (Russell B., 1969)

La matematica come ancora di salvezza?.

La matematica, mondo ideale chiaro e puro, offre "la sensazione di evadere da una prigione", ci permette di credere che l’erba è verde, che il sole e le stelle esisterebbero anche se nessuno li percepisse.  (Russell B., 1967-69) 

All'alba del nuovo secolo, Russell ha trent'anni. Non ha ancora pubblicato nessuna opera significativa, anche se i Principles of Mathematics (Russell B., 1903) sono sostanzialmente pronti da due anni. (Russell B., 1938) Intanto legge, riflette, e sorgono i dubbi. Da poco è venuto a conoscenza dei Grundgesetze der Arithmetik  (Frege G., band I, 1893)  del logico tedesco Gottlob Frege. Il 16 giugno 1902 Russell scrive a Frege: "Mi trovo completamente d’accordo con voi in tutti i punti essenziali, in particolare nel rifiuto di ogni momento psicologico nella logica, e nel dar valore ad una notazione simbolica [Begriffsschrift] nei i fondamenti della matematica e della logica formale, che sono del resto quasi indistinguibili".

Russell sta portando avanti un progetto analogo, quasi completamente sovrapponibile al progetto di Frege: eliminare dal ragionamento ogni influenza psicologica; fare della matematica una pura macchina logica, priva di qualsiasi umana debolezza. Forgiare a partire dalla matematica un linguaggio privo di ogni contraddizione, ogni ambiguità. Si tratta di un bisogno profondo – di cui Russell non nega le radici autobiografiche.

Scrive ora a Frege mostrando apprezzamento e riconoscenza. Ma non può fare a meno di notare come la logica di Frege zoppica in un punto preciso - e guarda caso è proprio lo stesso punto debole che Russell trova nelle proprie argomentazioni. "Solo in un certo punto ho incontrato una difficoltà". "Non esiste (come totalità) una classe di tutte le classi che, prese ciascuna come una totalità, non appartengono a sé stesse. Da ciò traggo la conclusione che in determinate circostanze una collezione [Menge] definibile non forma una totalità".

Frege risponde a stretto giro di posta. "La vostra scoperta della contraddizione mi ha causato la più grande sorpresa e, direi quasi, costernazione, giacché con ciò vacillano le basi sulle quali avevo l’intenzione di costruire l’Aritmetica".  (Frege G., Russell B., 1902)

Ogni proposizione della forma ‘p implica q’, ogni affermazione che intende predicare il vero, ci impone di interrogarci sul paradosso: 'Nessuno vorrà asserire, della classe degli uomini, che essa è un uomo': abbiamo qui una classe che non appartiene a sé stessa. Ma può una classe appartenere a sé stessa? Può una classe essere definita da un termine che appartiene alla classe stessa? Può il linguaggio matematico definire le regole del linguaggio matematico?

Nel 1903 esce il secondo volume delle Grundgesetze der Arithmetik (Frege G., band II, 1903): Frege fa in tempo ad aggiungervi una appendice, dove discute il paradosso. Nello stesso anno escono i Principles of Mathematics di Russell (Russell B., 1903), dove al paradosso, e alla posizione di Frege, è riservato ampio spazio (Russell B., 1903, pp. 101-107)

Russell continuerà a cercare di definire da un punto di vista formale “la relazione di un elemento con la classe a cui appartiene”.

Si tratta, nota Russell, di “un compito puramente filosofico”. Si intende la logica come una branca della matematica. Ci si propone -come già aveva tentato di fare Cartesio con le Regulae- di fondare la matematica su un ‘piccolissimo numero di concetti logici fondamentali’, gli assiomi: postulati, affermazioni di base, che non richiedono dimostrazione, da cui verranno dedotti tutti gli ulteriori elementi del sistema.

Per Frege e per Russell, dover ammettere che l’edificio vacilla è un dramma personale. Ma la matematica serve appunto a tenere lontano da sé il turbamento. Perciò, se l’edificio appare vacillante, se affiorano aporie logiche, si dovrà semplicemente pensare che non si sono ancora individuati gli assiomi necessari e sufficienti. 

Ecco la matematica come Grund, come solido terreno, e quindi fonte del linguaggio che, si spera, permetterà di formulare - finalmente, e una volta per tutte - affermazioni incontestabili.

La logica matematica, così, si scopre riduzionistica: ci si muove in un campo via via più rigorosamente definito, si usa il linguaggio che si ritiene capace di classificazioni via via più sottili. Ciò che non appare leggibile alla luce del quadro assiomatico è dato per non esistente. La chiusura è ritenuta necessaria (von Neumann J., 1947). 

Entra così in campo David Hilbert, il matematico che dominerà i primi trenta anni del secolo, il profeta di assiomi più solidi, più stringenti (Zermelo E., 1908).

È lui il campione, il fiero sostenitore della matematica assiomatica. Ecco il progetto di Hilbert. Fondare una matematica intesa come sistema dove ogni formula sia dimostrabile a partire dalle regole del ragionamento logico-formale.

Negli Anni Venti Hilbert, proseguendo nel percorso da lui stesso tracciato dall’inizio del secolo, formula in modo via via più compito il suo programma, al quale chiama a lavorare l’intera comunità dei matematici: individuare -in aritmetica, in geometria, in teoria degli insiemi, ed ogni altro ambito della matematica- assiomi e regole di deduzione sulla cui base ogni proposizione potesse essere dimostrata vera o falsa (Mancosu P., 1998).

Alla matematica che si ha già, afferma Hilbert, si deve aggiungere ora “una metamatematica”, in grado di “dare sicurezza” alla stessa matematica, “proteggendola sia dal terrore dei divieti non necessari che dal travaglio dei paradossi”. Questa liberazione della matematica dai suoi confini passa, sostiene Hilbert, “attraverso una rigorosa formalizzazione delle teorie matematiche nella loro interezza, comprese le loro dimostrazioni, cosicché -secondo il modello del calcolo logico- le inferenze e i concetti matematici vengono inseriti nell'edificio della matematica come componenti formali”. Gli assiomi, le formule e le dimostrazioni costituiscono un “edificio formale” fondato su “una rigorosa e sistematica separazione tra formule e dimostrazioni formali da un lato e argomentazioni contenutistiche dall'altro” (Hilbert D., 1922, pp. 189-213, 197-98). 

Non tutti i matematici sono d'accordo con Hilbert. Hermann Weyl, e più di ogni altro Luitzen Brouwer.

Contro l’idea hilbertiana di una matematica che esiste di per sé, Brouwer considera la matematica libera attività della mente umana, consistente nel costruire strutture mediante entità correlate fra loro - entità che non esistono al di fuori della mente dei soggetti. La matematica è un linguaggio, non il vertice di ogni possibile linguaggio. Un qualsiasi linguaggio matematico restituisce una immagine della matematica - solo una delle immagini possibili.

Matematica come un sempre provvisorio o come sistema?

Mentre Hilbert tenta di attribuire al matematico il nobile compito di mettere ordine nel mondo, Brouwer considera la matematica un sempre provvisorio ‘modo di pensare’. (Brouwer L.E.J., 1923 pp. 334, 345) Per Brouwer, infatti, le possibilità del pensiero non possono essere ridotte a un numero finito di regole stabilite in anticipo.

Il tentativo di Brouwer di edificare una matematica ‘intuizionista’ appare a Hilbert un attacco diretto al suo edificio assiomatico. Brouwer è quindi oggetto di una accanita campagna di denigrazione, tesa a minarne il potere accademico e l'autorevolezza. 

All'inizio degli Anni Trenta l'Europa è immersa nella crisi. Nelle elezioni del 14 settembre 1930, il partito nazionalsocialista ottiene 18% dei voti e 107 seggi nel Reichstag. Di colpo, è il secondo partito in Germania.

Una settimana prima del voto, l’8 settembre, Hilbert, l'autorità, il maestro, è a Königsberg. Pronuncia un discorso in ringraziamento alla concessione della cittadinanza onoraria. Nel discorso, che fu trasmesso per radio, e di cui si ha registrazione, ripete i suoi ormai classici argomenti. Esponendoli ora alla comunità civile, come ancoraggio logico, razionale. Risposta del metamatematico alle incertezze del presente. "Non dobbiamo credere a coloro che oggi, con portamento filosofico e tono deliberativo, profetizzano la caduta della cultura e accettano l'ignorabimus. Per noi non c'è nessun ignorabimus e, a mio avviso, non c'è nessun ignorabimus nelle scienze naturali."

Non dice: “in matematica non c'è l’Ignorabimus”, ora calca i toni su noi matematici. “Für den Mathematiker”, ‘per il matematico’, “Wir dürfen”: ‘noi dobbiamo’. “Für uns gibt es kein Ignorabimus”, ‘per noi matematici non c’è Ignorabimus’. Noi matematici “Wir müssen wissen, Wir werden wissen”, noi matematici ‘abbiamo bisogno di sapere, e sapremo’.

Tutto si riassume in una frase: “nessuno ci caccerà dal Paradiso che Cantor ha creato per noi”. 

Il 7 settembre 1930, i fisici e i matematici tedeschi sono riuniti a Königsberg per il sesto Congresso della loro associazione. Hilbert non partecipa ai lavori. Ma è a Königsberg. La presenza del maestro comunque aleggia sul Congresso.

A margine del grande incontro, è stato organizzato un altro evento, più̀ specifico e ‘di tendenza’, dedicato all’ “Erkenntnislehre der exakten Wissenschaften”, ‘Epistemologia delle Scienze Esatte’. Promotori, due gruppi tra di loro connessi, potremmo dire d’avanguardia, attenti a quella zona di confine che è la ‘filosofia della scienza’: la Berliner Gesellschaft für Empirische (Wissenschaftliche) Philosophie e il Verein Ernst Mach, più noto come Wiener Kreis, Circolo di Vienna. Tra i relatori tre giovani matematici: von Neumann, Heyting, Gödel.

Janós von Neumann, espone in forma sintetica il formalismo assiomatico di Hilbert. (Pochi giorni dopo von Neumann si trasferisce negli Stati Uniti, a Princeton, piccolo centro del New Jersey già̀ famoso per la Princeton University, dove apre i battenti in quell’anno l’Institute for Advanced Study).

Arend Heyting è il primo allievo di Brouwer, colui che più̀ lo segue nel ragionare sui fondamenti della matematica. Riesce ad esprimere il punto di vista ‘intuizionista’ con una chiarezza sconosciuta al suo maestro.

Poi, quel 7 settembre del 1930 a Königsberg, parla Kurt Gödel. Ha ventiquattro anni, ha da poco completato la tesi di dottorato sotto la guida di Hans Hahn, è un assiduo frequentatore del Circolo di Vienna. Credeva di aver trovato solidi fondamenti nel sistema assiomatico proposto da Russel e Whitehead. Credeva nella solidità̀ dell’edificio di Hilbert. Suo malgrado, si trova a provare, quel giorno a Königsberg, che il rassicurante edificio di Hilbert non sta in piedi.

Gödel dimostra che in ogni teoria matematica esiste una formula che non può essere dimostrata. È possibile definire una formula logica che nega la propria dimostrabilità̀: né la formula né la sua negazione sono dimostrabili. Esistono verità che non sono dimostrabili a partire dagli assiomi e seguendo le regole della logica e della matematica (Gödel K, 1931, pp. 173-198). 

Ai presenti, quel giorno a Königsberg, le parole di Gödel restano oscure.

Tra i presenti solo von Neumann - pensatore rapidissimo - coglie al volo il senso del lavoro di Gödel, in modo forse più̀ pieno di quanto l’abbia colto lo stesso Gödel: nessun sistema può essere utilizzato per provare la propria stessa coerenza. Ogni sistema è incompleto. Non è possibile giungere a definire la lista esaustiva degli assiomi che permetta di dimostrare tutte le verità. Ogni volta che si aggiunge un enunciato all'insieme degli assiomi, ci sarà sempre un altro enunciato non incluso.

I paradossi che provocavano lo sconcerto di Frege sembravano superati dalla forza di volontà di Hilbert e dall'indiscutibilità dei suoi assiomi. Ma Gödel mostra che la matematica non è quell'ancora di salvezza che Russell cercava. Si torna daccapo.  La matematica non è il linguaggio perfetto. I matematici sono di nuovo cacciati dal loro Paradiso. 

Alan Turing, o la computazione come piccolo Paradiso 

La figura di Alan Turing è circonfusa di gloria. È il fondatore, oggetto di celebrazioni e apologie.

Ma il culto occulta la storia. Seguaci ed eredi non hanno motivo di andare alle radici: le basi della disciplina non devono essere messe in discussione.

Seguaci ed eredi, del resto, sono logici formali, ingegneri, matematici, cognitivisti, costretti dall'evoluzione delle loro stesse discipline ad uno sguardo sempre più specializzato e settoriale: l'approccio umanistico, la psicologia del profondo e l'attenzione alla complessità sono per loro chiavi di lettura sconosciute e irrilevanti.

Alan Turing, però, era un bambino, un adolescente, un giovane adulto solo e incompreso. Si sentiva vittima di pregiudizi. Suo padre considerava inaccettabile, per il suo status di funzionario imperiale, tenere con sé in India il bambino, che crebbe quindi in Inghilterra presso tutori. Vedeva i genitori solo in momenti di vacanza. Né la madre, né il fratello, di pochi anni maggiore, vollero accettare la sua omosessualità - forse anzi addirittura scelsero di non vederla.

Adolescente, in collegio, vede morire di improvvisa malattia il compagno di cui era innamorato. Per tutta la vita chiederà affetti senza trovarli; chiederà di essere accolto senza trovare accoglienza (Varanini F., 2020, pp. 73-94). 

Il giovane Alan già da bambino si appassiona alla matematica. Trova in questo, come Russell, la sua salvezza.

Pensa: non trovo affetti, comprensione, rispetto negli umani. Io stesso fatico a provare autostima. Deluso dagli ingannevoli linguaggi umani cerco certezze nel puro linguaggio della matematica.

Poco più che ventenne, nel 1936, prende in mano nell'articolo On computable numbers la questione lasciata aperta da Gödel. Turing, infatti, cita Gödel già nelle prime righe del suo articolo. 

Hilbert voleva porsi fuori dal mondo, e di lì descrivere il mondo in modo esatto. È l'esponente esemplare di una generazione di scienziati. si illudeva di conoscere le regole in base al quale il mondo è costruito: gli Anni Trenta del secolo scorso sono non a caso gli anni in cui filosofia, matematica, scienza cercavano la Weltbild, visione del mondo. La “Wissenschaftliche Weltauffassung”, la ‘visione Scientifica del Mondo’. La “General Theory”, la ‘Teoria Generale’ che tutto spiega.

Si voleva dominare i sistemi, conoscerli in ogni dettaglio, osservarli dall'esterno come oggetti di fredda indagine. Gödel dimostra che questo è impossibile.

Non c'è il Paradiso grandioso di Hilbert, dove il matematico è in grado di tutto de scrivere ed ordinare, osservando il mondo dall'esterno, dall'alto di un metodo privo di falle. Gödel, usando gli stessi strumenti sui quali Hilbert fondava il suo potere, ha minato le basi di questo delirio di onnipotenza. 

Turing trova una risposta. Tanto geniale quando illusoria. Ma gravida di conseguenze.

Se la calcolabilità - la descrizione del mondo logico-formale, esatta e priva di equivoci - è inattingibile, la risposta sta nel definire un universo più ristretto, dove i problemi che la calcolabilità impone sono assenti per definizione. Turing, in fondo, non fa altro che rinverdire il sistema assiomatico di Hilbert aggiungendo alla sua lista un nuovo assioma: useremo d'ora in poi solo numeri computabili. Sostituiremo alla problematica calcolabilità la rassicurante computabilità.

Turing ripristina così il sogno di Hilbert. Non c'è il Paradiso della Matematica, ma c'è il Paradiso della Computazione. 

La semplice soluzione di Turing 

Nella prima riga dell'articolo è già fornita la definizione: "The computable numbers may be described briefly as the real numbers whose expressions as a decimal are calculable by finite means". Calcolabili con mezzi finiti. Poche righe sotto Turing spiega meglio: "a number is computable if its decimal can be written down by a machine".

La macchina che Turing immagina è costituita essenzialmente da un programma - possiamo chiamarlo anche procedura o algoritmo. Questo programma elabora i dati, espressi in numeri computabili, che gli sono sottoposti.

Gli assiomi che Hilbert voleva credere veri in assoluto ora sono veri in pratica, perché si riducono a questo: sono le regole che il programmatore stesso scrive, dettando.

Quali sono i numeri computabili? Sono i numeri che la macchina è in grado di elaborare.

I numeri che la macchina non è in grado di trattare sono esclusi dalla scena. Inesistenti nel Paradiso della Computazione.

 

Nel Paradiso della Computazione 

Ridefiniti i confini del mondo, si ricolloca in questo mondo depurato di complessità ogni ente. Si reimmagina in questo quadro l'essere umano, la natura stessa, l'universo.

Questo è il progetto che Turing definisce nel suo secondo articolo-chiave. Se il primo era scritto nel 1936, all'inizio della vita adulta, il secondo, scritto quattordici anni dopo, nel 1950, è scritto quando Turing è forse ancor più disperato che in gioventù. Ha trentotto anni. Quattro anni dopo si toglierà la vita.

Turing affida alla macchina, alla computer machine, le speranze che non coltiva per sé, e per l'umanità tutta.

Turing affida alla macchina, alla computer machine, le speranze che non coltiva per sé, e per l'umanità tutta. Spera che la macchina che ha immaginato prenda il posto dell'essere umano. O sia in fondo da guida all'essere umano.

Nell'articolo del 1950 Turing si pone una domanda: Possono le macchine pensare? E si risponde sì.

Formula quindi un auspicio: "We may hope that machines will eventually compete with men in all purely intellectual fields" (Turing A., 1950, pp. 433-460).

Qui Turing formula una speranza esistenziale: deluso da sé stesso e dagli altri, tradito dagli umani, sceglie di fidarsi della macchina.

Ma il tutto si inquadra nel contesto della computazione: una scena dove il perturbante, il difficile, il complesso, è escluso a priori (Varanini F., 2016, pag. 97, 104). 

 

Il computer umano ed il suo sostituto-macchina 

Turing spiega molto bene dove va a cercare il nome che definisce il suo piccolo paradiso. Lo scrive nell'articolo del '36 e torna a dirlo nell'articolo del '50.

Computer, fino agli Anni Trenta del secolo scorso, significava in inglese contabile, computista. Turing è chiaro nel dire perché sceglie questa figura professionale come esemplare.

"L'idea alla base dei computer può essere spiegata dicendo che queste macchine sono destinate a svolgere qualsiasi operazione che potrebbe essere eseguita da un computer umano. Si suppone che il computer umano segua regole fisse; non ha la facoltà di discostarsene in alcun dettaglio. Si può supporre che queste regole siano fornite in un libro, che viene modificato ogni volta che viene assegnato a un nuovo lavoro" (Turing A., 1950). 

Il proporre un mondo assoggettato a regole, va di pari passo con l'immaginare un essere umano assoggettato a regole.

Ecco, dunque, una ulteriore precisazione del concetto di computazione: la macchina può sostituire l’uomo nel pensare e nel lavorare. Purché, precisa Turing, si accetti una precisa definizione del lavoro. “Il lavoro è eseguire ciò che sta scritto in un Book of Rules", in un Libro delle Regole (Turing A., 1950).

Ecco, quindi, un'altra possibile definizione di computazione: è l'esecuzione di ciò che sta scritto in un libro delle Regole. 

Due epistemologie: computazione vs. complessità 

Si può dunque considerare l'approccio computazionale come esempio del più radicale riduzionismo.

Ogni concetto e linguaggio è sottoposto alla traduzione in un altro linguaggio: il linguaggio che è compreso dalla computing machine. Ogni problema è riformulato in modo da poter essere trattato dalla computing machine. Ogni descrizione è fondata su un metodo che da Cartesio a Hilbert a Turing non cambia: si cerca di dar ragione del sistema considerandolo come scomponibile in sottosistemi. Si vede la gerarchia di sottosistemi, non la rete.

E si possono quindi osservare le differenze tra pensiero aperto alla complessità e pensiero computazionale.

Il pensiero aperto alla complessità non si pone confini, contempla una rete interminata di connessioni possibili, di volta in volta sperimentate. Il pensiero computazionale è invece predeterminato: prevede l'esistenza di un Libro delle Regole del retto pensare.

Il pensiero aperto alla complessità accetta in ogni suo passaggio, l'assenza di un quadro complessivo, di una descrizione sicura delle parti del tutto. Accetta l'ignoranza: Ignoramus et ignorabimus, ignoriamo e ignoreremo; c'è, e ci sarà in ogni istante ed in ogni contesto qualcosa di oscuro che ignoriamo, e che ignoreremo anche in futuro. Il pensiero computazionale, seguendo Turing, rifiuta a priori l'ignorabimus.

Il pensiero complesso è il pensiero dell'essere umano consapevole della propria imperfezione, e della propria appartenenza alla natura, alla vita, ovvero al sistema stesso che tenta di conoscere e descrivere. Il pensiero computazionale presume invece di raggiungere -sia pure dentro un quadro predefinito- la descrizione esaustiva del mondo. Il pensiero computazionale, anche, si fonda sull'idea di poter osservare il mondo dall'esterno, senza influenzarlo. Il pensiero computazionale, infine, è pensiero pensato da soggetti che si considerano creatori del mondo.

Il pensiero complesso si avventura nell'ignoto tracciando il cammino strada facendo. Il pensiero computazionale, al contrario, si muove lungo mappe già tracciate; esegue i passi di una procedura già scritta. 

Oggi la cultura digitale ci parla, ci rende necessarie macchine in ogni fase della vita, ci propone luoghi dove abitare. Tutto questo: algoritmi, Intelligenza Artificiale, Mondi Virtuali, Metaversi, Gemelli Digitali- può essere bene inteso solo alla luce del passaggio che Turing ha imposto. Dalla faticosa accettazione della complessità alla sua sostituzione con la consolatoria computazione.

Possiamo forse infine intendere la computazione come una specifica forma di rimozione: il tentativo di escludere, espellere dalla coscienza di ciò che ci turba e ci inquieta. Sostituendo ogni persona ed ogni cosa con un suo simulacro.



Bibliografia 

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Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - STULTIFERA NAVIS co-founder

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