La linea d'ombra digitale
Joseph Conrad, in La linea d'ombra, racconta quel passaggio impercettibile ma definitivo dalla giovinezza alla maturità, dall'essere passeggero all'essere capitano. Il protagonista attraversa quella soglia quasi senza accorgersene, e solo quando si trova a dover affrontare una crisi – la nave immobilizzata, l'equipaggio decimato dalla febbre – capisce che le regole sono cambiate. Non c'è più nessuno a cui delegare. La nave dipende da lui.
Potremmo essere noi in un momento simile. Abbiamo attraversato una linea d'ombra digitale negli ultimi due anni – da quando ChatGPT ha reso l'AI generativa accessibile a centinaia di milioni di persone – ma non abbiamo ancora fatto i conti con cosa significa trovarsi dall'altra parte.
Abbiamo integrato questi strumenti con velocità straordinaria. Email, riassunti, codice, immagini, progetti. Alcuni di noi li usano come interlocutori di pensiero, amplificatori cognitivi, specchi riflessivi. Ma sappiamo cosa abbiamo delegato? E soprattutto: sappiamo ancora fare, da soli, le cose che ora facciamo con l'AI?
Il tifone dell'AI generativa
In Tifone, Conrad racconta del capitano MacWhirr, un uomo metodico che segue pedissequamente procedure e strumenti. Quando il barometro scende in modo anomalo, i suoi ufficiali suggeriscono di cambiare rotta. MacWhirr rifiuta: il barometro potrebbe sbagliarsi, il manuale non prevede deviazioni.
Poi arriva il tifone. La nave viene investita con violenza inimmaginabile. Gli strumenti diventano inutili, le procedure insufficienti. L'equipaggio deve solo resistere, aggrapparsi a quello che resta mentre tutto viene travolto.
L'AI generativa è arrivata così. Non gradualmente, non con preavvisi che ci hanno permesso di prepararci. In due anni siamo passati da modelli curiosi ma limitati a strumenti che generano testi indistinguibili da quelli umani, immagini fotorealistiche, codice funzionante, analisi complesse.
E come l'equipaggio della Nan-Shan, ci siamo aggrappati. Abbiamo imparato prompt, iterazioni, integrazioni. Abbiamo fatto quello che si fa durante un tifone: resistere, adattarsi, sopravvivere.
Ma ora ci siamo abituati alla tempesta, l'abbiamo normalizzata. Navighiamo in acque che consideriamo normali ma che sono ancora profondamente alterate. E non abbiamo fatto il punto nave.
I muscoli che si atrofizzano
Usando i LLM alcuni muscoli cognitivi potrebbero essersi indeboliti senza che ce ne accorgessimo. È fisiologico: quando deleghiamo una funzione, quella funzione tende ad atrofizzarsi.
La capacità di sintesi è probabilmente la prima vittima. Ma la sintesi non è solo compressione di informazioni – è comprensione profonda, identificazione di pattern, costruzione di gerarchie concettuali. Delegarla significa rinunciare a quel processo.
La memoria di lavoro espansa: quando scriviamo un testo complesso, dobbiamo tenere in mente simultaneamente molti fili – struttura, argomenti, tono, rimandi, obiezioni. È un esercizio cognitivo intenso. Se lavoriamo per iterazioni con un AI, quello sforzo viene esternalizzato. Il testo finale può essere migliore, ma noi abbiamo perso l'occasione di esercitare quella capacità.
La tolleranza alla frustrazione cognitiva è forse la perdita più sottile. Pensare è difficile. C'è sempre un momento in cui ci si blocca, in cui la soluzione sembra impossibile. È proprio in quel momento che avviene l'apprendimento più profondo, la ristrutturazione del problema, l'insight creativo. Ma se ogni volta chiamiamo l'AI in soccorso, stiamo addestrando il cervello a evitare quello sforzo. E perdiamo la capacità di attraversare l'impasse che produce le soluzioni più originali.
Solo nella bonaccia – spegnendo tutto per qualche giorno – possiamo verificare lo stato di questi muscoli. Vedere dove fatichiamo più del previsto. Dove la dipendenza è diventata necessità.
Cosa abbiamo guadagnato (forse)
Sarebbe disonesto fermarsi solo alle perdite. L'accesso rapido a informazioni, la capacità di iterazione veloce, il dialogo riflessivo con un'intelligenza non umana – questi potrebbero essere guadagni reali. La promessa dell'esomente, del pensiero ibrido.
Ma non possiamo sapere se questi guadagni sono reali finché non misuriamo cosa succede senza. Non possiamo distinguere il vero apprendimento dalla dipendenza se non attraverso la prova della sospensione. Solo la bonaccia rivela cosa è sostanza e cosa era illusione dell'azione.
Spegnere l'AI per qualche giorno sarebbe la nostra bonaccia volontaria. Un momento di immobilità forzata, dove non possiamo aggrapparci allo strumento, dove non c'è più la possibilità di delegare, amplificare, accelerare.
Fare il punto: la bonaccia come test
In La linea d'ombra, la vera crisi del giovane capitano non avviene durante una tempesta, ma durante una bonaccia. La nave rimane ferma per giorni, senza vento, sotto un sole implacabile. Non c'è niente da fare tecnicamente. Nessuna manovra, nessuna vela da regolare. Non c'è l'adrenalina dell'azione. C'è solo il dover stare lì, presente, a guardare la situazione per quello che è.
La bonaccia toglie ogni illusione, ogni possibilità di fuga nell'azione frenetica. È più difficile della tempesta proprio per questo: ti obbliga a misurarti con quello che rimane quando non puoi più fare, solo essere.
Spegnere l'AI per qualche giorno sarebbe la nostra bonaccia volontaria. Un momento di immobilità forzata, dove non possiamo aggrapparci allo strumento, dove non c'è più la possibilità di delegare, amplificare, accelerare. Dove rimaniamo soli con i nostri pensieri, con le nostre capacità reali: scrivere senza assistenza, riassumere senza sintesi automatica, programmare senza generazione di codice, pensare senza amplificazione.
Non avremmo la scusa dell'azione – il prompt da ottimizzare, l'output da rigenerare. Saremmo semplicemente fermi, costretti a usare solo la nostra forza muscolare cognitiva. E questa è precisamente la prova di cui abbiamo bisogno.
Non per tornare indietro. Non per rifiutare lo strumento. Ma per misurare cosa succede. Per entrare volontariamente nella bonaccia e vedere come resistiamo.
Dove fatichiamo più del previsto? Dove scopriamo di essere più capaci di quanto pensavamo? Quali capacità sono ancora lì, intatte, e quali si sono atrofizzate?
Il punto nave non è paura del futuro. È saggezza marina. È l'umiltà di ammettere che il tifone ci ha spostato, che il Nord va verificato guardando le stelle. E le stelle, in questo caso, sono le nostre capacità quando tutti i server sono spenti e rimane solo la domanda: sappiamo ancora navigare da soli?