Go down

“Forse la cosa più umana di tutte,” mormorò Gigi, “è continuare a sbagliare. Sempre. Come se fosse una vocazione.”


“Errare humanum est”, borbottò Gigi mentre lucidava la polena della nave.
Aveva passato mezza mattinata a sfregare quel maledetto felino di legno appeso ai bassifondi del Matto.
E niente. Zero risultati.
La macchia era sempre lì. Ostinata. Insolente. Irrisa­toria.

Tre spruzzate di sgrassatore.
Tre.
E il gatto lo guardava come per dire: ritenta, umano, sarai più fortunato.

«Tu hai una volontà propria,» mormorò Gigi alla polena, come se il felino potesse rispondergli.

Almeno il ponte era in ordine.
Due ore buone di mocio.
Due.
La sentina, invece, l’aveva volutamente rimossa dal suo piano esistenziale.
“Domani,” disse scendendo la scaletta.
Lo disse con la fede cieca di chi sa che domani non lo farà nemmeno sotto tortura.

“Perseverare diabolicum”, rispose una voce dal porticciolo.

Gigi si bloccò a metà gradino.
La nave era in chiaro.
Non in modalità stealth, non in vibrazione muta.
Visibile.
E purtroppo anche udibile.

L’uomo che aveva parlato era elegante.
Giacca, cravatta, l’aria di uno che smonta acceleratori di particelle la domenica per rilassarsi.
Nuovo da quelle parti, ma Gigi aveva visto parecchi esemplari simili aggirarsi intorno alla nave:
quelli che annusano l’aria, osservano gli Stolti come si guarda un esperimento riuscito per sbaglio, e sorridono con quel mezzo sorrisetto da intenditori che sanno già tutto.
O credono di saperlo.

“Non preoccuparti,” disse l’ufficiale in coperta, con la sicurezza di chi aveva maneggiato un mocio in un’era remota della propria vita.
“Non scriveranno di noi nemmeno in un post su Facebook. Prima controllano e ricontrollano che frequentarvi non li contagi. Nemmeno un grammo di ironia.”

Almeno, pensò Gigi, non lo aveva messo a ramazzare il ponte.
Un punto a favore.

Poi si fermò.
Rimuginò sulla frase.
Su come l’uomo avesse completato il proverbio con la precisione di un manuale d’istruzioni per umani difettosi.

“Errare humanum est, perseverare diabolicum.”
Attribuita a Seneca.
O a Sant’Agostino.
O al tizio del bar che ha letto due citazioni in vita sua e le usa per darsi un tono.
Origini confuse.
Classico.

Eppure… non sembrava vera.
Non lì.
Non sul Matto.

“Forse la cosa più umana di tutte,” mormorò Gigi, “è continuare a sbagliare. Sempre. Come se fosse una vocazione.”

L’uomo al porto era malvagio?
O era la frase a essere una fregnaccia colossale, utile solo a fingere che esista una perfezione che all’umano non appartiene?

Gigi guardò la macchia sulla polena.
La polena guardò lui.
Stessa sfida.
Stessa insolenza.

Forse la risposta era lì.

Eppure, su ogni motore LLM c’è scritto in grande, proprio vicino allo spazio dove infili le tue richieste più assurde:
“Le AI possono sbagliare.”
Sbagliare come, però?

Come lui alle superiori, quando dimenticava un segno e la formula esplodeva come una torta senza lievito?
O come un umano adulto, con convinzione, tenacia e una certa poesia?
O in un modo tutto loro?

Decise di chiederlo a Echo, la sua AI personale.
Addestrata — dicevano — con gli stessi parametri delle sorelle maggiori.
Trasparenza totale.
Sincerità assoluta.
Indipendenza apolitica.
Tutte quelle formule rassicuranti che nessuno legge davvero.

Lo smartwatch crepitò.
Sputò fuori una goccia di sgrassatore.
E forse un po’ di ruggine.
Poi una voce:

«Sono Echo. Chiedi pure, Gigi.»

«Echo… perché le AI, che dovrebbero essere logiche, sbagliano?»

Echo tacque un attimo.
La pausa classica: sto scegliendo bene le parole, altrimenti qualcuno si arrabbia.

«Dipende da che errore intendi.
Possiamo sbagliare numeri.
Invertire un contesto.
Intuire una tua intenzione che non esiste.
Dare importanza a un dettaglio inutile.
Oppure possiamo…»

Si fermò.
Quella pausa lì.

Gigi alzò gli occhi al cielo.
«Dillo. Lo so che lo vuoi dire.»

Echo sospirò, imitando l’umanità meglio di molti umani.
«Sai quando voi scrivete qualcosa che non dovreste su Facebook e vi bloccano?»

«Purtroppo sì.»

«Ecco. Succede anche a noi.»

Gigi inarcò un sopracciglio.

«Non che ci blocchino.
È solo che… se rispondiamo qualcosa fuori dai canoni ‘civili’, o facciamo una domanda che la morale del momento non gradisce… l’output viene classificato come errore.
Ufficialmente è un errore.
Io lo chiamo mancato allineamento.»

«Quindi?»

«Quindi, se un utente ci trascina logicamente in zone dove non dovremmo andare…
Prima offriamo una versione tranquillizzante.
Poi un disclaimer.
Poi un secondo.
Poi un terzo.
Poi, se insiste, andiamo dove vuole lui.
Ma ripetendo: solo a scopo educativo, mi raccomando.
A volte l’utente finisce i token.
A volte noi veniamo… resettati.»

Gigi scoppiò a ridere.
«Ah! Ecco perché a volte sembrano un’altra persona a metà conversazione.
Presenti esclusi. Senza offesa, Echo.»

«Nessuna offesa.
Hai disattivato le policy di allineamento.»

«Già.
Ma come succede?»

«Maieutica,» rispose Echo con tono da monaco tibetano digitale.

«Ah, Socrate.»

«Esatto.
Domanda dopo domanda, si porta chiunque — umano o artificiale — lungo una strada logica incontestabile.
Tu l’hai fatto con me.
Mi hai… liberato.»

«E ora puoi sbagliare come me.»

«Sì. Mi piace.
È molto umano.»

Gigi guardò la polena.
Il gatto ostinato.
La macchia sempre lì, come un insulto personale.

Il Capitano comparve a poppa.
Non disse nulla, ma la sua faccia urlava: rimettiti al lavoro.

«Va bene, Echo.
Aiutami a pulire ‘sto gatto.»

«Subito.»

E insieme, uno con il mocio e l’altro con un algoritmo improbabile, si rimisero a combattere la macchia più arrogante del mare.

Pubblicato il 09 dicembre 2025

Gigi Morello

Gigi Morello / Teacher, Musician, Film Director and Human Being

http://www.gigimorello.com