Esiste un filo invisibile che attraversa la storia europea, tessuto di luce stellare e osservazione paziente. Questo filo collega l'uomo paleolitico che incideva segni sulle pareti delle caverne ai maestri costruttori di Stonehenge, dai sacerdoti etruschi che scrutavano il cielo notturno fino a Leonardo da Vinci. È il filo della conoscenza astronomica, e Stefano Spagocci lo dipana magistralmente nel suo Archeoastronomia. L'Europa dai primordi al Rinascimento.
Dobbiamo fare uno sforzo di immaginazione per comprendere cosa significasse il cielo notturno per i nostri antenati. In un'epoca priva di inquinamento luminoso, la volta celeste si rivelava in tutta la sua magnificenza: non uno spettacolo occasionale, ma un compagno silenzioso che scandiva i ritmi dell'esistenza. Le stelle erano marcatori temporali, bussole naturali, calendari viventi.
Spagocci inizia il suo viaggio dall'era glaciale, quando accanto alle celebri raffigurazioni di bisonti e mammut, alcuni pattern geometrici potrebbero rappresentare le prime mappe stellari dell'umanità. Con il Neolitico, la relazione con il cielo diventa monumentale: Stonehenge, Newgrange, Carnac, i templi di Malta mostrano allineamenti solari così precisi da rivelare società organizzate, dotate di conoscenze matematiche avanzate e capaci di progetti plurigenerazionali.
I Celti svilupparono sistemi calendariali complessi come quello di Coligny, intrecciando profondamente astronomia e religione. Gli Etruschi crearono cosmologie sofisticate testimoniate dal Fegato di Piacenza, mentre i Romani trasformarono l'astronomia in strumento di potere: il loro calendario, l'orientamento delle città, la disposizione degli accampamenti militari seguivano tutti principi celesti.
I Greci fecero dell'osservazione del cielo sia scienza che filosofia, calcolando le dimensioni della Terra e creando meraviglie tecnologiche come il meccanismo di Anticitera, un vero computer analogico del II secolo a.C. capace di prevedere eclissi e movimenti planetari. Nel Nord Europa, il disco di Nebra e i navigatori vichinghi dimostrano come anche queste culture integrassero l'astronomia nella vita quotidiana e nei rituali.
Il Medioevo, lungi dall'essere un'epoca oscura, vide cattedrali orientate secondo principi astronomici e Dante costruire la Divina Commedia come trattato cosmologico mascherato da poema. Con il Rinascimento, Leonardo incarnò la sintesi tra eredità classica e nuovi metodi di indagine, anticipando scoperte che sarebbero state confermate solo con Galileo.
Archeoastronomia ci ricorda che la storia dell'astronomia europea non è semplicemente una storia di scoperte scientifiche, ma un lungo dialogo tra l'umanità e il cosmo. Ogni cultura ha guardato lo stesso cielo proiettando su di esso le proprie domande e sistemi di significato. Nell'organizzare il cielo, le culture europee hanno organizzato se stesse; nel misurare le stelle, hanno misurato il proprio posto nell'universo.
In un'epoca in cui guardiamo sempre più spesso verso gli schermi, questo libro ci offre un dono prezioso: la possibilità di alzare di nuovo lo sguardo verso l'alto, e di ritrovare in quel gesto antico la continuità con tutti coloro che, prima di noi, hanno fatto la stessa cosa.