Go down

Senza un nuovo contratto sociale, più il sistema spinge, più velocemente si disgrega—lacerando il tessuto economico, sociale ed ecologico che ne sostiene la legittimità. Quando il lavoro di cura viene spostato o svalutato, e la responsabilità reciproca si erode sotto la logica di mercato, anche i motori più potenti del progresso minano infine le proprie fondamenta.


Il capitalismo segue una logica semplice: le imprese devono costantemente aumentare la produttività per generare profitti, ripagare il capitale, rimanere competitive e soddisfare gli investitori. Ma con l'aumento della produttività, sono necessari meno lavoratori per una determinata produzione, aumentando la disoccupazione e erodendo la prosperità e la legittimità condivise. La stabilità sociale è quindi strutturalmente legata a una crescita economica continua.

Questo crea un'asimmetria fondamentale. Alcuni settori—come il manifatturiero—ottengono guadagni di efficienza incessanti. Altri—come la cura e l'educazione—resistono all'automazione perché il loro valore si basa nel lavoro manuale, nell'attenzione e nelle relazioni umane. Eppure i salari devono aumentare ovunque per trattenere i lavoratori, causando costi relativi crescenti in settori che non possono aumentare la produttività (malattia dei costi di Baumol). Il risultato è uno squilibrio sempre più ampio e una necessità strutturale di redistribuzione per sostenere l'economia dell'assistenza.

Nella crescita industriale iniziale, i guadagni di produttività crearono sia posti di lavoro che profitti, alimentando una prosperità diffusa. Ma con l'accelerazione dei guadagni di efficienza, i salari nei settori veloci si sono disaccoppiati, mentre i settori lenti hanno affrontato costi crescenti e vincoli fiscali. La finanziarizzazione—attraverso il debito delle famiglie, la leva finanziaria delle imprese e il mutuo pubblico—ha temporaneamente mascherato queste tensioni, sostenendo il consumo ma erodendo la resilienza. Oggi, automazione e IA aumentano ulteriormente la produttività nei settori a ritmo rapido, mentre i cambiamenti demografici intensificano la domanda di assistenza in settori paralizzati dalla compressione salariale e dal cronico sottofinanziamento. Inoltre, la "rapida economia" aggrava disuguaglianze, disoccupazione e problemi di salute sistemici. Il risultato è un aumento dei costi delle cure e—quando la redistribuzione e il debito sono sotto pressione—tagli ai servizi sociali in un contesto di crescente bisogno.

La crisi del settore lento non è un fallimento morale o tecnico, ma una conseguenza della logica della produttività e del profitto del capitalismo, destabilizzando beni sociali essenziali per la coesione e la dignità. I limiti ecologici, quando presentati come questioni esterne, distraggono dal problema centrale: un sistema economico che comprime la capacità condivisa di cura e rinnovamento, vitale sia per la resilienza sociale che per la sostenibilità.

Risolvere questo paradosso è una sfida. La redistribuzione da sola non può sostituire i posti di lavoro persi a causa dell'automazione. L'automazione dell'assistenza diminuisce la qualità e non soddisfa le crescenti necessità. Le proposte di degrowth affrontano barriere politiche ed economiche. Una soluzione praticabile richiede transformazione strutturale: rompere la dipendenza dalla crescita, redistribuire i progressi tecnologici, contenere la speculazione finanziaria e riconoscere cura, istruzione e riparazione come beni pubblici fondamentali—non costi marginali—protetti da obiettivi do produttivtà ristretti.

Senza un nuovo contratto sociale, più il sistema spinge, più velocemente si disgrega—lacerando il tessuto economico, sociale ed ecologico che ne sostiene la legittimità. Quando il lavoro di cura viene spostato o svalutato, e la responsabilità reciproca si erode sotto la logica di mercato, anche i motori più potenti del progresso minano infine le proprie fondamenta.


English original text

THE PARADOX OF CAPITALISM: THE HARDER WE PUSH, THE FASTER WE FAIL



Capitalism follows a simple logic: firms must constantly raise productivity to generate profits, repay capital, stay competitive, and satisfy investors. But as productivity rises, fewer workers are needed for any given output, pushing unemployment higher and eroding shared prosperity and legitimacy. Social stability is therefore structurally linked to continuous economic growth.

This creates a fundamental asymmetry. Some sectors—like manufacturing—achieve relentless efficiency gains. Others—such as care and education—resist automation because their value is rooted in manual work, attention, and human relationships. Yet wages must rise everywhere to retain workers, causing rising relative costs in sectors that can’t boost productivity (Baumol’s cost disease). The result is widening imbalance and a structural need for redistribution to sustain the care economy.

In early industrial growth, productivity gains created both jobs and profits, fueling broad prosperity. But as efficiency gains accelerated, wages in fast sectors decoupled, while slow sectors faced rising costs and fiscal constraints. Financialisation—through household debt, corporate leverage, and public borrowing—temporarily masked these strains, sustaining consumption but eroding resilience. Today, automation and AI further boost productivity in fast sectors, while demographic shifts intensify care demand in sectors crippled by wage compression and chronic underfunding. Moreover, the “fast economy” aggravates inequality, unemployment, and systemic health problems. The outcome is rising care costs and—when redistribution and debt are under pressure—cuts to social services amid growing need.

The crisis of the slow sector is not a moral or technical failure but a consequence of capitalism’s productivity and profit logic, destabilizing social goods essential for cohesion and dignity. Ecological limits, when framed as external issues, distract from the core problem: an economic system that squeezes shared capacity for care and renewal, vital for both societal resilience and sustainability.

Resolving this paradox is challenging. Redistribution alone can’t replace jobs lost to automation. Automating care diminishes quality and falls short of rising needs. Degrowth proposals face political and economic barriers. A viable solution demands structural transformation: breaking dependency on growth, redistributing technological gains, curbing financial speculation, and recognizing care, education, and repair as core public goods—not marginal costs—shielded from narrow productivity goals.

Without a new social contract, the harder the system pushes, the faster it unravels—tearing apart the economic, social, and ecological fabric sustaining its legitimacy. When care labour is displaced or devalued, and mutual responsibility erodes under market logic, even the mightiest engines of progress ultimately undermine their own foundation.


Pubblicato il 27 novembre 2025

Otti Vogt

Otti Vogt / Leadership for Good | Host Leaders For Humanity & Business For Humanity | Good Organisations Lab