Go down

Una intervista "filosofica" di Carlo Mazzucchelli con Andrea Zhok, filosofo e professore di Antropologia filosofica e Filosofia morale, autore di numerosi libri e pubblicazioni. L'intervista è scaturita dalla lettura dell'ultimo libro pubblicato da Andrea Zhok ( Il senso dei valori. Fenomenologia, etica e politica). Un testo generoso, ricco e profondo, di cui consiglio a tutti la lettura. Un testo impegnativo ma che offre, a chi non si sia arreso al disorientamento umano e di pensiero dei nostri giorni, dentro una modernità occidentale in crisi, uno strumento interpretativo e filosofico di matrice fenomenologica. Uno strumento utile per provare a (ri)dare un senso all'azione umana, a esseri umani in carne e ossa, oggi sempre più accomunati e ridotti a semplici macchine computazionali e algoritmiche. La riflessione e la proposta formulata dall'autore passa attraverso "l'articolazione del valore", declinato in forme di vita comunitaria, concretezza e sintesi, da sviluppo della libertà in continuità con il passato, dall'accettazione della pluralità.


Andrea Zhok (Trieste, 1967) si è formato studiando e lavorando presso le università di Trieste, Milano, Vienna ed Essex. Filosofo e professore di Antropologia filosofica e Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, si è laureato all’Università degli Studi di Milano con una tesi su Max Scheler, uno dei maggiori esponenti della fenomenologia tedesca. Tra la sue pubblicazioni monografiche ricordiamo, Il concetto di valore: dall’etica all’economia (Mimesis, 2002), Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo (Jaca Book, 2006), Identità della persona e senso dell’esistenza (Meltemi, 2018), Critica della ragione liberale (Meltemi, 2020), e Il senso dei valori. Fenomenologia, etica e politica (Mimesis, 2024).

.


Buongiorno Professore. Da anni promuovo una riflessione critica sulla tecnologia. I tempi che viviamo sono molto tecnologici ma anche molto filosofici. Viviamo crisi sistemiche e paradigmatiche che chiamano tutti a porsi domande e a interrogarsi, sulla realtà, sulla propria vita ed esistenza, sul presente e sul futuro, sulla pace e sulla guerra e molto altro. Il mondo è fuori asse e non sembra che neppure i filosofi attuali, tanto meno quelli pop, siano in grado di fornire ciò che servirebbe per affrontare un’epoca dalle passioni tristi, stanca, piena di ansie e insicurezze, vuota di senso, brutale nel linguaggio e priva di ogni etica. Tra i filosofi, pochi sono quelli che scelgono di assumersi il compito di essere profeti di un nuovo mondo e al tempo stesso ribelli che si oppongono, anche con le loro riflessioni, all’ordine esistente, alle metafisiche e alle narrazioni inadeguate, omologate e conformistiche che lo caratterizzano. Lei come filosofo dove si collocherebbe? Se sente di giocare il ruolo del profeta e/o del ribelle? Quali sono le domande secondo lei più attuali e urgenti. Quali sono i suoi Maestri, anche a partire dal suo ultimo libro “Il senso dei valori”? 

Personalmente sono scettico circa la possibilità che a un filosofo si attagli tanto il ruolo del profeta che quello del ribelle.

A mio fallibile avviso il ruolo della filosofia oggi è innanzitutto un ruolo “pedagogico”: deve preservare e magari riprendere a coltivare un atteggiamento critico rivolto alla sintesi, all’intero. La filosofia per sua natura, quando è autenticamente tale, nuota contro corrente rispetto ad ogni specialismo, ad ogni suddivisione del sapere in campi parziali perdendo di vista la capacità di esaminare criticamente l’intero (il mondo, la società, ecc.)

Questo NON significa che la filosofia possa limitarsi ad enunciazioni ambiziose e generiche, a “grandi narrazioni” disinvolte. Un certo grado di approfondimento plurale rimane indispensabile, ma ogni approfondimento deve essere ritessuto come contributo ad una visione complessiva. Questa funzione della riflessione filosofica è eminentemente “politica”, nel senso in cui Gramsci diceva che ogni uomo è filosofo: ciascun uomo può agire consapevolmente solo alla luce di una visione del mondo e la filosofia ha il compito di fornire gli strumenti affinché questa visione sia critica e comprensiva. Ci sono molte domande attuali ed urgenti, ma la prima che come filosofo mi viene in mente è: “Come è possibile che il paradigma del sapere sia divenuto l’efficacia settoriale, lo specialismo?”, e di seguito, come si può correggere questo andamento, che rende il sapere un mero strumento del potere. 

Il ruolo della filosofia oggi è innanzitutto “pedagogico”

La nostra era è stata definita dai filosofi in molti modi: liquida, ibrida, gassosa, triste, vuota, stanca, (iper)consumista, ecc. Per me è l’era della sparizione dell’etica e, prima di essa, dei valori. Una sparizione che ha determinato la perdita di senso. La perdita interessa le singole persone ma anche un mondo percepito sempre più, cinicamente e nichilisticamente, come senza senso. La perdita di senso genera ansia, incertezza, insicurezza, paura, tante passioni tristi che non aiutano a ritrovare un senso, a liberarsi da ansie e paure, a superare il disorientamento individuale e collettivo e la confusione nella quale tutti siamo precipitati. Il suo libro “Il senso dei valori” sembra partire da queste premesse e percezioni, pensato per provare a dare delle risposte e strutturato per fornire strumenti adeguati per l’interpretazione e la comprensione della realtà e per prefigurare dei percorsi di (ri)valorizzazione collettiva. Ci può parlare del suo libro, delle motivazioni che lo hanno spinto a scriverlo e le sue finalità? 

Questo libro fa parte di un percorso coestensivo con la mia riflessione filosofica dagli inizi. Il problema che affrontava Max Scheler, del nichilismo e della “crisi dei valori”, è stato il primo problema che ho affrontato ed è sempre rimasto per me il problema fondamentale. Nel corso del tempo, tuttavia, ho constatato che una serie di questioni preliminari richiedevano di essere risolte prima di poter affrontare di petto questo problema, con qualche speranza di trattarlo in modo efficace. Perciò ho avviato una lunga circumnavigazione attraverso temi come l’antropologia delle relazioni di scambio, le potenzialità del linguaggio, lo studio degli abiti e delle pratiche sociali, la costituzione della conoscenza attraverso percezione e immaginazione, lo strutturarsi dei giudizi di verità, la natura dell’identità personale, l’analisi della collocazione storica a partire da cui la domanda etica viene posta.

Ciascuna delle risposte ottenute in questo percorso quasi trentennale ha contribuito a chiarirmi quali percorsi erano vicoli ciechi e quali interrogativi erano decisivi. Concluso questo percorso si trattava di mettere mano ad un’operazione fondativa, che, per ragioni di gestibilità del materiale, ho programmato su tre volumi: il primo dedicato ad una pars destruens delle principali teorie etiche disponibili sul “mercato teorico” contemporaneo (“Il dovere e il piacere”), il secondo dedicato ad una pars costruens a base fenomenologica circa la struttura del conferimento di senso (“Il senso dei valori”), ed un terzo volume dedicato alla cornice metafisica entro cui le descrizioni fenomenologiche del secondo volume devono essere collocate. A quest’ultimo progetto sto lavorando ora, ma richiede ancora molto studio prima di poter passare alla fase redazionale. L’intento, come detto, è semplice: dare una risposta diagnostica e normativa al tema del nichilismo contemporaneo. Alla semplicità dell’intento, purtroppo, non corrisponde altrettanta semplicità nell’elaborazione della risposta. 

La situazione di disorientamento attuale, inedita per estensione e radicalità, non è una condizione normale 

In un presente nel quale monaci e filosofi pop sono impegnati a dare un’etica alle macchine e a sostenere attività finalizzate a regolamentare “eticamente” le intelligenze artificiali e generative, rimane irrisolto il problema dell’etica umana. Il suo libro è descritto come un tentativo di fondazione ontologica, epistemica, ed etica, a partire da un approccio di matrice fenomenologica, finalizzato al conferimento di senso nell’ambito dell’azione umana, dentro contesti complessi e transdisciplinari per definizione ma anche neoliberisti, di realismo capitalista, di capitalismo delle piattaforme. Tanti ambiti che hanno annacquato i valori umani, imposto valori individualisti e nichilisti, egoisti e utilitaristici, strumentali e funzionali a un essere umano sempre più macchina binaria al servizio del soluzionismo e computazionalismo tanto di moda. Quali sono secondo lei i valori “alternativi” o possibili sui quali investire oggi, anche dal punto di vista filosofico e politico? 

I valori non sono entità su cui scommettere o investire, ed in verità è di solito abbastanza sterile nominarli, giacché non è nominandoli o appellandovisi che li si rende vitali.

Più in generale, ciò che dà senso a determinati valori è sempre la loro funzione storica, e per comprenderla bisogna comprendere bene la storia in cui si è collocati. Per noi l’orizzonte storico ed i suoi problemi sono definiti dalla crisi terminale della modernità liberale, all’interno della quale ci muoviamo e di cui il “nichilismo” è l’espressione più evidente. Il nostro problema non è di brandire la libertà piuttosto che la giustizia, la verità piuttosto della salute, ecc., ma di comprendere quali tipo di libertà è oggi cruciale sostenere e quale è già sopravvalutata, quale idea di verità è essenziale abitare e quale idea di verità è oggi astratta o fuorviante, ecc.

Ad esempio, il liberalismo è stato spesso proposto come “filosofia della libertà”, tuttavia è possibile dimostrare attraverso un’analisi del suo sviluppo reale come il liberalismo sia stato sempre solo la difesa di una libertà individuale negativa (compatibile con la libertà degli attori di mercato), mentre ha quasi sempre coerentemente represso le pretese della libertà positiva e collettiva (la libertà di organizzazione politica, la libertà di contestazione delle verità di regime e dei meccanismi di mercato, ecc.). Sarebbe perciò sbagliato tanto affermare che oggi la libertà non è un valore importante quanto affermarne la centralità: ciò che è essenziale è comprendere quale libertà vada promossa o contestata.    

Nel mio ultimo libro, NOSTROVERSO – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso, ho sostenuto che l’era tecnologica ci ha deprivato del corpo, del volto e dello sguardo. Ibridati con la macchina è come se avessimo perso la capacità di sentire, di sperimentare il corpo proprio, “vivente e vissuto”l le sue pulsioni vitali (conatus). Di questo e dell’importanza del corpo incarnato parla anche lei nel suo libro. Può sintetizzare quali sono i punti di riflessione principali su cui si è soffermato e quale sia l’importanza del corpo nel fondare eticamente e in termini di valori, la sua esperienza ed esistenza? 

Uno dei paradossi della modernità liberale sta nell’aver da un lato, ufficialmente, liberato le esigenze del corpo in chiave antispiritualista, e dall’altro, simultaneamente, di aver degradato la dimensione corporea a mero meccanismo materiale, svuotandolo della sua autenticità e profondità.

Il risultato di questo doppio movimento è stato porre al centro dell’esistenza le pulsioni corporee, ma al contempo considerare reali soltanto le pulsioni “meccaniche”, “idrauliche”, nutrimento e sesso deprivati di ogni senso ulteriore. Vale per il concetto di corpo vivente ciò che vale per il concetto di materia: dobbiamo imparare di nuovo a considerarli per quello che sono, cioè potenze emergenti, misteri, enigmi dotati di potenzialità inesplorate. L’intero apparato esplicativo della contemporaneità ha magnificato nel corpo e nella materia soltanto quegli aspetti sottoponibili a controllo causale, a dominio tecnico (di diritto), trascurandone perciò sistematicamente l’irriducibile dimensione qualitativa. Per questo motivo il trasferimento transumanista dell’umano nel cibernetico non appare per l’abiezione che è: il corpo umano è già stato ridotto di diritto a macchina sul piano interpretativo e dunque sembra possibile che nulla vada perduto nei processi di “potenziamento” o “ibridazione” dell’umano.

Uno dei punti che nel libro esamino più dettagliatamente è la natura degli abiti corporei (sensomotori), che si rivelano essere tutt’altro che “meccanismi” o “automatismi”. Al contrario essi si mostrano originariamente creativi e animati da una dimensione telica. Questa creatività è straordinaria, insondabile – basti pensare al fatto che la potenza generativa del linguaggio risiede precisamente in un abito, una disposizione acquisita ed esercitata. E tuttavia tale potenza creativa è costantemente nascosta ai nostri occhi dalle sustruzioni interpretative di un impianto riduzionista, che assume in partenza che la sfera naturale abbia un’essenza quantificabile e computabile. 

"Tutto ciò che apprendiamo prende forma di un abito in cui la coscienza incarnata, il corpo vivente, acquisisce modi di sintonizzarsi con l'altro da sè"

Lei è noto anche per il suo impegno politico. Una delle crisi che stiamo vivendo è la morte della politica e la fuga dalla cittadinanza attiva. Si ha la percezione che un mondo è morto e un altro, nuovo, non solo stenti ad apparire, ma forse non apparirà mai. A rischio sono valori fondanti il nostro mondo occidentale, verità, libertà, democrazia, fratellanza, voglia di comunità (comunitarismo come lo chiama lei), solidarietà, ecc. La crisi è collegabile alla fase malata attuale del capitalismo nella sua forma finanziaria, neoliberista, di sorveglianza e controllo, di perdita di controllo sul resto del mondo. Secondo lei come è possibile uscire da questa crisi, superandola? Non c’è via di uscita come pensava Mark Fisher o c’è ancora tempo per trovarne una? Ma come si può trovarla, in un mondo nel quale prevale il populismo, la pochezza delle leadership che genera la sfiducia delle moltitudini e il loro rintanarsi nella “caverna” dell’astensionismo. Infine, una domanda sulla crisi dell’Occidente che è fondata anche sulla crisi dei valori. La crisi è legata ad aspetti strutturali, ad errori, ma anche all’incapacità di capire che servono nuove fenomenologie di interpretazione del mondo, come quelle del sud suggerite da Boaventura de Sousa Santos, ma anche dal compianto David Graeber. In un recente libro Emmanuel Todd parla di sconfitta dell’occidente, sostenendo la sua tesi, evitando approcci ideologici, ma facendo riferimento ad ambiti quali la demografia, il declino morale e valoriale, la perdita di senso e di destino, la scomparsa della rligione e della spiritualità, il diffondersi del nichilismo, la crisi della democrazia. Lei cosa ne pensa? Stiamo veramente vivendo, senza scomodare alcun millenarismo, alla fine dei tempi e precipitati nel vuoto come ha provato a raccontare, a modo suo, il filosofo Slavoj Žižek

Io amo un verso – molto citato e reso popolare dall’esegesi heideggeriana – di Hölderlin, che recita “Wo aber Gefahr ist, wächst das Rettende auch.” (“Dove però è il pericolo, lì cresce anche ciò che salva.”) Credo che sia un verso che si attagli bene alla nostra epoca. A noi è capitato di abitare un’epoca crepuscolare, la fine dell’era liberale, il tramonto dell’Occidente nato dal successo liberalcapitalistico.

È stata un’epoca di incredibile accelerazione, tecnologica e sociale, che ha generato sin dall’inizio forti reazioni avverse (una per tutte, la lezione marxiana), e che ha cambiato il volto del mondo, nel bene e nel male. A chi abita quest’epoca, nell’odierno mondo occidentale, manca la percezione di una prospettiva, perché tutta la spinta propulsiva della modernità liberale è esaurita e rimangono in essa solo battaglie di retroguardia.

Lo “spirito del mondo” – per dirla con uno stilema hegeliano – sta abbandonando l’Occidente e, probabilmente, sta (di nuovo) trovando casa ad Oriente.

Se ci manteniamo all’interno della cornice di problemi e soluzioni fornite dagli ultimi due secoli siamo destinati ad un’esistenza mesta e smarrita. Tuttavia le epoche di tramonto sono anche le epoche in cui si preparano i materiali per il mondo che verrà – non dobbiamo infatti cadere vittime dell’ultima illusione della modernità occidentale, quella di rappresentare un apice ultimo della civiltà. Ci sono nella tradizione specificamente europea (non genericamente “occidentale”) linee culturali potenti e preziose, che possono essere parzialmente recuperate in chiave di superamento della contemporaneità liberale. Il mondo classico greco-romano e il mondo teocratico medievale presentano aspetti che possono essere recuperati, rinnovandoli, e all’interno del percorso della modernità liberale la prospettiva del socialismo inaugurata da Marx, pur avendo subito molteplici degenerazioni, rimane una risorsa, soprattutto nelle sue componenti critiche.

Dobbiamo sottrarci al modo in cui abbiamo imparato a interpretare il nostro passato. Esso ci è stato constantemente raccontato come preludio, anticipazione, precorrenza fortunata del trionfo moderno (della tecnoscienza, del mercato).

Dobbiamo oggi imparare a reinterpetarlo come il negativo di una fotografia, dove proprio le anticipazioni del mondo liberalcapitalistico rappresentano altrettante insidie, altrettante strade da evitare o da ripercorrere evitandone le trappole (che col senno di poi possiamo vedere come tali).

Quest’epoca presenta, e presenterà in forma crescente, un culmine dell’abiezione, del pericolo, del degrado. Ma se lo leggiamo come è giusto leggerlo, cioè come il tramonto di un mondo che lascerà lo spazio ad un altro, possiamo intravedere una luce a venire, una nuova occasione, un’opportunità radicale, epocale.

La generazione che abita le ultime fasi di una crisi epocale è quella che ha la maggiore responsabilità nel produrre i semi dell’avvenire. Come il cristianesimo dei primi secoli preparava, all’interno della parabola discendente dell’impero romano, il futuro di un millennio cristiano, così oggi siamo chiamati alle scelte e opzioni che formeranno il mondo di domani. In quest’ottica, se è vero che viviamo un’epoca tragica, è anche vero che viviamo un’epoca privilegiata, decisiva.

Per affrontarla ci sono diverse ricette metodologiche da seguire, ma qui ne menziono solo due.

Bisogna innanzitutto avere fede, fede nella storia, fede nella capacità dell’umano di ritrovarsi, spesso al meglio, proprio nelle difficoltà più grandi. Che questa fede si configuri come una fede religiosa o come l’ottimismo della volontà di gramsciana memoria, non è rilevante. La fede per definizione non va giustificata, non più di quanto possa essere giustificato l’amore per la vita: essa è precondizione per la forza, la resistenza, l’efficacia.

In secondo luogo bisogna uscire dalle proprie stanze, dai propri studi privati, dalle proprie torri d’avorio e dalle proprie bolle di attenuazione del dolore, bisogna reimparare a parlare e ad ascoltare, bisogna essere massimamente “caritatevoli” verso chiunque percepisca il degrado presente anche se le sue proposte ci appaiono immature, mentre bisogna  essere intransigenti con gli altri, con chi continua a giustificare il sistema. In sostanza bisogna prendersi il tempo  per coltivare di nuovo forme di azione collettiva, senza pensare di essere gli unici detentori del vero ma tenendo fermo (per dirla con il poeta) “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

Oggi siamo in una fase ancora immatura, in cui si tende ad oscillare tra il disimpegno privatistico e l’impegno settario. Ad alimentare il primo atteggiamento è l’aspettativa che i tempi nuovi non verranno mai, ad alimentare la seconda è il desiderio che vengano subito su nostra iniziativa. Invece bisogna assumere che i tempi nuovi verranno, ma che non saremo noi a deciderne la tempistica, e dunque che il lavoro da fare è innanzitutto un lavoro generoso di preparazione, di cui forse non vedremo gli esiti. Sul piano politico è importante capire che qui è molto più importante il modo in cui si ottengono i risultati che i risultati medesimi: nell’epoca nuova, se vuole essere tale, il fine non giustifica i mezzi.

Può darsi che i tempi del crollo e del rinnovamento siano molto brevi (dopo tutto, rispetto al passato l’epoca presente è caratterizzata da una generale accelerazione dei processi). Perciò è giusto muoversi da subito, anche nell’azione politica. Ma è essenziale capire che la focalizzazione presente sulla conquista del potere, sull’efficacia purchessia, è parte non della soluzione ma del problema, è parte essenziale dei problemi che viviamo e non deve essere riproposta. Conta l’implementazione di nuovi abiti, di nuove tradizioni, di nuove pratiche sociali, o la rivivificazione di vecchi abiti, tradizioni e pratiche che possono ritrovare senso in un contesto nuovo. Questi fattori comportamentali sono infinitamente più importanti della conquista protempore di una posizione di potere (per quanto le posizioni di potere non vadano snobbate, potendo fornire leve importanti).

"Bisogna uscire dalle proprie stanze, dai propri studi privati, dalle proprie torri d’avorio e dalle proprie bolle di attenuazione del dolore, bisogna reimparare a parlare e ad ascoltare, bisogna essere massimamente “caritatevoli”

I libri di Andrea Zhok

  • Il senso dei valori. Fenomenologia, etica e politica, Mimesis, 2024

  • Critica della ragione liberale. Una filosofia della storia corrente, Meltemi, 2020

  • Identità della persona e senso dell'esistenza, Meltemi, 2018

  • Il dovere e il piacere. Un'introduzione critica all'etica contemporanea, Mimesis, 2021

  • Rappresentazione e realtà. Psicologia fenomenologica dell'immaginario e degli atti rappresentativi,  Mimesis, 2014

  • La profana inquisizione e il regno dell'anomia. Sul senso storico del «politicamente corretto» e della cultura woke, Il Cerchio, 2024

  • Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo. Antropologia filosofica delle transazioni, Jaca Book, 2006

  • Lo stato di emergenza. Riflessioni critiche sulla pandemia, Meltemi, 2022

  • Oltre «destra» e «sinistra»: la questione della natura umana, Il Cerchio, 2024

  • Libertà e natura. Fenomenologia e ontologia dell'azione, Mimesis, 2017

  • Fenomenologia ed etica, Mimesis, 2024

  • Introduzione alla «Filosofia della psicologia» di L. Wittgenstein (1946-1951), Unicopli, 2004

StultiferaBiblio

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – STULTIFERANAVIS Co-founder

c.mazzucchelli@libero.it http://www.solotablet.it