Il bisogno insistente di attribuire una qualche forma di ragionamento alle macchine, sostenere, con una fede quasi religiosa, che le A.I. attuali rappresentano un primo abbozzo di pensiero cosciente, una scintilla dalla quale nascerà l’agognata AGI, sembra resistere a qualunque tentativo di dimostrare che non vi è nulla di vero in tutto questo.
Opinioni, studi, articoli, anche molto autorevoli, che cercano di spiegare, basandosi sull’architettura di questi modelli, su come sono costruiti, che alla fine si tratta solo di calcolo statistico, vengono sdegnosamente rigettati al grido di: “i pappagalli stocastici sono morti!” Dentro la macchina non c’è il buio, come sostiene con una bella metafora Federico Faggin, no, dentro al cuore della macchina si genera qualcosa che voi non siete in grado di spiegare!
Cosa si cela dietro a questo tenace desiderio, a questa speranza di non essere più i soli esseri senzienti su questo pianeta?
Descrivere questo acceso confronto con un linguaggio intenzionalmente metaforico e allusivo è il tentativo di creare le premesse per poter rispondere a quella che a mio avviso è una delle domande più inquietanti che riguardano il periodo che stiamo vivendo. Cosa si cela dietro a questo tenace desiderio, a questa speranza di non essere più i soli esseri senzienti su questo pianeta? Non è facile rispondere a un tale quesito e ovviamente non penso di avere alcuna certezza, però la domanda me la sono posta, e a venirmi in aiuto sono state alcune parole, un piccolo verso all’interno di un’opera molto originale, perché si tratta di un libro di poesie di Martin Heidegger: “… noi sopraggiungiamo troppo tardi per gli dèi e troppo presto per l’essere”. Tutto qui? Può sembrare poco, certo, ma credo che indichi una direzione fertile da poter indagare.
“… noi sopraggiungiamo troppo tardi per gli dèi e troppo presto per l’essere”
Il processo di secolarizzazione, di diminuzione dell’influenza religiosa, non è un dato comune a livello globale e anche nel cosiddetto mondo occidentale si assiste ancora a tentativi, spesso strumentalizzati, di appigliarsi a visioni ancorate a quegli antichi valori. C’è un dato, tuttavia, molto più ampio e pervasivo, che non risparmia ormai nessun angolo del pianeta: la tecnologia. Un esempio, spesso citato dal filosofo Umberto Galimberti, ci fa comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando. Se decidessimo di rinunciare alla parola Dio per spiegare il periodo medievale ci accorgeremmo di non riuscire nemmeno a sfiorare l’essenza di quel mondo. Non avremmo invece alcuna difficoltà se applicassimo lo stesso esercizio al mondo attuale. Ma se la definizione vietata fosse la parola Tecnica ci troveremmo in grossa difficoltà nel cercare di far comprendere l’essenza del nostro tempo. La parola Dio, dunque, parafrasando Galimberti, non fa più mondo, la parola Tecnica si.
Qual è allora il significato profondo di quel verso di Heidegger? Sono parole che descrivono la nostra attuale condizione nel lungo cammino dell’evoluzione umana. Un periodo di passaggio, una sorta di limbo, e questo spiega molte delle ambiguità a cui assistiamo. “Sopraggiungiamo tardi per gli dèi”, ma ne abbiamo ancora nostalgia, così ci volgiamo all’indietro, indugiamo, abbiamo ancora paura di abitare gli spazi di libertà e di responsabilità dell’essere. Ricerchiamo sicurezze, nuovi rifugi per antichi bisogni, nel tentativo di alleggerire il peso della responsabilità di esseri liberi e coscienti.
È una tesi che, in modi diversi, hanno affrontato alcuni importanti autori. Si pensi a Fuga dalla libertà di Erich Fromm (1941), dove l’emergere di una libertà individuale ancora difficile da sostenere trova “rassicuranti risposte” nei totalitarismi novecenteschi e poi nel conformismo delle società democratiche di massa. Ma riprendendo in mano le tesi di quel libro non sarebbe difficile ripercorrere l’intera parabola che intercorre tra le prime mosse, libertarie e democratiche, del web e Il Capitalismo della sorveglianza (S. Zuboff). Lo stesso Freud in Il disagio della civiltà descrive il cammino dell’uomo moderno parlando della rinuncia a spazi di libertà in cambio di quote di sicurezza.
Oggi di fronte a strumenti di A.I. che sfornano un prodotto linguisticamente raffinato, sintatticamente corretto, capace di rispondere a qualunque domanda, non ci si rassegna al pensiero che sia solo frutto di una elaborazione statistica fondata su uno sterminato volume di dati, no, ci dev’essere una mente, o qualcosa di simile. Luciano Floridi, in un interessante articolo apparso su Harvard Business Review, mette in guardia i lettori rispetto a questo pericolo. Lo fa coniando l’idea di “pareidolia semantica”, avere cioè trasportato la tendenza istintiva a riconoscere forme familiari (volti, animali, oggetti) in strutture casuali (nuvole, rocce, ecc.), sul piano del significato e della coscienza. Attribuire quindi una intenzionalità là dove c’è solo calcolo. E tali strumenti diventeranno via via sempre più potenti e raffinati, aumentando il loro potere di condizionamento su masse sempre più ampie di persone, continuando a produrre il declino del pensiero critico. Ma ciò che sorprende di più è che a vacillare, di fronte alle performance delle A.I. attuali, sono anche coloro che avrebbero gli strumenti per comprendere. Sembra quindi che siano in aumento, e non solo per evidenti interessi economici, il numero delle persone che sperano nello sviluppo di una intelligenza capace di uguagliare e superare l’intelligenza umana. Perché accade questo?
Meglio riflettere sulla tendenza istintiva a riconoscere forme familiari (volti, animali, oggetti) in strutture casuali (nuvole, rocce, ecc.), sul piano del significato e della coscienza.
Credo sia difficile rispondere facendo appello alla ragione. Ci vengono in aiuto le parole di chi ha cercato le risposte nell’elaborazione di una antica ferita. Günther Anders scrive nel 1956 L’uomo è antiquato, curiosamente solo un anno dopo quel famoso incontro durante il quale John McCarthy conierà la definizione di Intelligenza Artificiale, formulando insieme a Marvin Minsky e Claude Shannon la cosiddetta “proposta di Dartmouth”. Ovviamente allora non vi erano strumenti neanche lontanamente paragonabili a quelli odierni, ma Anders intuisce l’origine di un processo, probabilmente inarrestabile. La sua analisi e una delle più attente e precise nel cogliere i nessi e le contraddizioni che riguardano la condizione dell’uomo moderno di fronte all’evolversi della tecnologia. Anders conia il termine di “vergogna prometeica” per descrivere lo stato d’animo di chi si sente ormai inferiore al potere delle macchine da lui stesso create. Questa condizione di spaesamento e paura, che in presenza di un atteggiamento passivo può generare dipendenza e incrinare l’equilibrio identitario, è superabile solo attraverso la conoscenza e lo sviluppo di una rinnovata consapevolezza. Condizione che può evolvere a partire da una profonda comprensione della straordinaria particolarità dell’intelligenza umana, dove s’intrecciano parole, idee, sensazioni, emozioni e sentimenti, dando vita a quell’immenso mosaico che, proprio perché sfugge alla nostra comprensione, non è riproducibile.
"Il fuoco e gli altri doni fatti agli uomini hanno prodotto nel tempo lo sviluppo di una tecnica sempre più perfetta ed efficiente, in grado di riprodurre e ampliare se stessa a prescindere dalla volontà dei suoi artefici." (Francesco Miano - Saggio sulla vergogna prometeica di G. Anders)
Una consapevolezza capace d radicarsi come elemento fondante di una epistemologia che dovrà guidare i saperi del futuro. Se non si comprende che la profonda e radicale differenza tra l’elaborazione del pensiero umano e l’apparente elaborazione di pensiero della macchina sta tutta nel processo che lo ha generato, siamo perduti. Perché è dentro al processo di costruzione del pensiero che risiede tutta la qualità umana, la nostra storia, la nostra cultura, tutto il nostro cammino evolutivo. Solo se riusciremo a fare questo preserveremo la nostra libertà e non rischieremo di cominciare ad assomigliare alle macchine.
Il tempo degli dèi non è più, dunque, il nostro tempo. Il tentativo di erigere improvvisati simulacri non è la soluzione. Rispecchiarsi nella macchina, illudersi di alleggerire il peso della nostra coscienza trasferendola in un nostro “gemello digitale”, rischia di essere il grande inganno del nostro tempo nella ricerca di qualcosa in cui credere. La religione dei dati e delle informazioni non ci salverà.
Dobbiamo invece diventare pienamente responsabili, accettando il cammino libero e incerto della condizione umana. Come afferma Edgar Morin:
“Siamo votati all’incertezza del futuro, che le religioni di salvezza, ivi compresa la salvezza terrestre, avevano creduto di governare … tutto ciò che è prezioso sulla terra è fragile, raro e votato a un destino incerto. È così anche della nostra coscienza. Dunque, se noi conserviamo e scopriamo nuovi arcipelaghi di certezze, dobbiamo sapere anche che navighiamo in un oceano d’incertezza.”
Il racconto del medesimo destino, in modo più evocativo e poetico, lo troviamo in uno dei brani più belli de La gaia scienza di Friedrich Nietzsche:
“Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste più ’terra’ alcuna!”
Riferimenti bibliografici
Martin Heidegger, Pensiero e poesia Armando Editore 1977
Erich Fromm, Fuga dalla libertà Edizioni di Comunità Milano 1975
Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza Luiss University Press 2019
Sigmund Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi Boringhieri 1971
Günther Anders, L’uomo è antiquato Bollati Boringhieri 2007
Edgar Morin, La testa ben fatta Raffaello Cortina 2000
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza Adelphi 1977
Luciano Floridi, L’IA e la pareidolia semantica: quando vediamo coscienza dove non c’è Harvard Business Review,