Go down

Ben più di un secolo fa Nietzsche iniziò ad affermare che Dio è morto perché era solo una menzogna consolatrice[1]: gli uomini - spiegava - hanno messo sopra al volto della realtà una maschera, ovvero Dio, con una funzione oltremondana che vorrebbe essere consolatrice della realtà della vita quotidiana poiché questa realtà è talmente brutta da non poter essere osservata e vissuta serenamente. Ma adesso Lui - proseguiva - è stato smascherato e quindi non c’è più, è semplicemente scomparso.


Con quell’affermazione il filosofo tedesco, oltre che destare scandalo nella società perbenista del tempo e nelle gerarchie di tutte le Chiese (sia cattoliche che protestanti), non intendeva prendersela con il Dio cristiano ma annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predicava o che aveva predicato tale realtà. Eppure, dopo quella morte annunciata a fine ‘800, qualcosa farebbe pensare, per i fermenti religiosi che agitano il mondo contemporaneo, in particolare fra le “famiglie” dell’islam (per altro in lotta fra loro come quelle cristiane di cinque secoli fa), che Dio sembra …fare ritorno. Ma, come chiosa Yuval Noah Harari, «si tratta di un miraggio. Dio è morto, occorre solo un po’ di tempo per sbarazzarsi del corpo»[2].

Il vuoto ideologico in cui versano vasti strati delle società del mondo contemporaneo, non solo nell’ambito di quella che comunemente è classificata come “cultura occidentale”, ha reso ancor più legittima oggigiorno quella domanda che, riprendendo l’affermazione di Nietzsche, sembra talvolta sotto voce essere formulata da importanti intellettuali non solo laici ma anche religiosi del variegato mondo che è legato al cristianesimo, e non solo. E quindi è una domanda che ci poniamo anche noi adesso: oggi Dio esiste ancora o piuttosto è davvero già morto?

diciamocelo apertamente, forse Dio non sta proprio bene in salute

Forse non sta proprio bene in salute. E il dubbio, che può fare apparire sacrilega la domanda a molti credenti, anche di fedi fra loro diverse, ha una sua significatività, come evidenzia lo sgretolamento progressivo di tante certezze ideologiche che avevano a lungo supportato le tradizioni di altrettanti popoli in ogni angolo del pianeta, magari anche con la sostituzione di credi religiosi secolari con ideologie di sette che, in nome di qualche forma di culto alternativo, arruolano fedeli in crisi di coscienza e di identità.

«Se la fede nella trascendenza crolla, tuttavia l’edificio non scompare, viene riciclato»[3]. Uno storico americano delle religioni, Joseph Bottum, ha descritto il riciclaggio della trascendenza nell’immanenza nel corso del XX secolo e come i cieli si siano virtualmente schiantati sulla terra. «La preoccupazione per la salvezza si è trasformata in preoccupazione per la salvezza sociale»[4]. Pare che per molti l’ecologia sia diventata davvero una vera religione per sostituire soprattutto un cristianesimo considerato morente e senza più forza propulsiva, quasi fosse già cancellato. Ma si tratta di una religione ecologista in senso e in forma di panteismo immanente: i nuovi profeti hanno ben saldi i loro piedi nel nostro mondo contemporaneo e hanno completamente cancellato la trascendenza di qualsiasi mondo futuro trascendente, men che mai avente attinenza con il sovrannaturale: insomma adorano questo mondo, il loro, quello che vedono e in cui vivono.

In pochi desiderano un altro mondo o vi aspirano, tranne gli islamici che continuano a inseguire i loro sogni di un paradiso con alberi, fontane, miele e donne sempre caste (ma come fanno a rimanere sempre caste, verrebbe da chiedersi, se poi arrivano gli uomini a concupirle?), oltre che di annientamento delle altre religioni in nome del (loro) vero Dio e dei dettami di Maometto, sebbene sempre più improbabili da attuare nel mondo contemporaneo.

Il fatto è che la trascendenza religiosa non è più di moda e tanti nostri contemporanei non vogliono più che questa terra sia una terra di passaggio sperando in un aldilà che significhi l’unico mondo reale ed eterno: vogliono solo che questa terra sia la loro “casa” ed è per questo che vogliono tutelarla, proteggerla dallo sfruttamento, dall’inquinamento, da chiunque la usa e la sfrutta e le fa guerra con …qualsiasi mezzo.

Che la questione non sia così banale lo conferma anche il fatto che il dubbio se lo poneva perfino un cantautore italiano che ha segnato da protagonista la rivoluzione culturale di un paio di generazioni di giovani della penisola della seconda metà del ‘900, Francesco Guccini, quando nel 1965 scrisse un brano, portato poi al successo dai Nomadi, che fu profondamente osteggiato dalla Chiesa e dai movimenti cattolici e addirittura censurato dalla RAI di allora, dal titolo “Dio è morto”:

 

Ho visto

La gente della mia età andare via

Lungo le strade che non portano mai a niente

Cercare il sogno che conduce alla pazzia

Nella ricerca di qualcosa che non trovano

Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate

Lungo le strade da pastiglie trasformate

Dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città

Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà

E un dio che è morto

Ai bordi delle strade, dio è morto

Nelle auto prese a rate, dio è morto

Nei miti dell’estate, dio è morto

 

Mi han detto

Che questa mia generazione ormai non crede

In ciò che spesso han mascherato con la fede

Nei miti eterni della patria o dell’eroe

Perché è venuto ormai il momento di negare

Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura

Una politica che è solo far carriera

Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto

L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto

E un dio che è morto

Nei campi di sterminio, dio è morto

Coi miti della razza, dio è morto

Con gli odi di partito, dio è morto

 

Ma penso

Che questa mia generazione è preparata

A un mondo nuovo e a una speranza appena nata

Ad un futuro che ha già in mano

A una rivolta senza armi

Perché noi tutti ormai sappiamo

Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge

In ciò che noi crediamo, dio è risorto

In ciò che noi vogliamo, dio è risorto

Nel mondo che faremo, dio è risorto

              

Certo, di fronte al fondamentalismo islamico che invoca a gran voce il jihad, di fronte a una rinascita di alcuni movimenti tradizionalisti, o addirittura veterotestamentari cristiani, che provano a modo loro ad arginare il laicismo che ha praticamente lasciato quasi deserte le chiese, ma anche di fronte al nuovo tradizionalismo nazionalistico di ebrei e indù e chissà di quanti altri nel mondo, per quanto stimolati a vicenda, anche religione e progresso tecnologico non vanno molto d’accordo, da sempre: come sottolinea ancora Harari, «ballano un difficile tango; si stimolano a vicenda, sono legate da mutua dipendenza e non possono allontanarsi troppo»[5].

Un’idea non troppo lontana su questo dialogo necessario ma complesso e difficile fra religione e progresso tecnico-scientifico è quella del cardinale Gianfranco Ravasi, il quale afferma: «La tecnologia corre e ci propone nuovi mezzi con una velocità che la teologia e gli altri canali della conoscenza umana non riescono a seguire […]. Stiamo vivendo una globalizzazione della cultura contemporanea dominata solo dalla tecnica o dalla pura pratica. C’è, per esempio, una sovrapproduzione di gadget tecnologici di fronte alla quale non riusciamo a elaborare un atteggiamento critico equilibrato. Ci ritroviamo in un’epoca di bulimia dei mezzi e atrofia dei fini»[6].

Di mezzo ci sono sviluppi che erano impensabili solo fino a poche decine di anni fa: non si tratta più di inventare un treno, un aereo o un veicolo qualsiasi con un motore più veloce e poi magari chiedersi come guidarlo in sicurezza (e soprattutto in che direzione). Avere intrapreso, per esempio, strade del tutto innovative che ci hanno già presentato i primi modelli di realtà virtuale, di intelligenza artificiale, di robot tuttofare in grado di sostituire l’uomo in molte attività, o essere in grado di sostituire il controllo umano delle tecnologie più sofisticate (sia civili che militari) con sistemi tecnologici autosufficienti ci induce a pensare in termini assolutamente diversi e costringe anche il mondo delle religioni a fare altrettanto se non vuole a sua volta estinguersi o rimanere isolato nel suo tramonto crepuscolare.

È ancora il cardinale Gianfranco Ravasi a chiarire il pensiero di una teologia che non vuole rimanere estranea a questo nuovo mondo tutto in fieri:

«Ci ritroviamo spesso appiattiti, schiacciati su un’unica dimensione. Un certo uso della scienza e della tecnologia hanno prodotto in noi un cambiamento che non è solo di superficie. Se imparo a creare robot con qualità umane molto marcate, se sviluppo un’intelligenza artificiale, se intervengo in maniera sostanziale sul sistema nervoso, non sto solo facendo un grande passo avanti tecnologico, in molti casi prezioso a livello terapeutico medico. Sto compiendo anche un vero e proprio salto antropologico, che tocca questioni come libertà, responsabilità, colpa, coscienza e se vogliamo anima»[7].

Inoltre, in un suo recente volume[8], il teologo chiarisce anche qual è il ruolo che ancora può essere attribuito nel mondo moderno all’anima dell’uomo: «Siamo in un mondo che ha smarrito l’anima e non se ne duole, né tanto meno si preoccupa di riconquistarla. Casomai, è il corpo a dettare legge […]. Interessarsi dell’anima o di Dio è una forma di provocazione per il nostro tempo, nel quale non c’è una negazione radicale, strutturale, cosciente e coerente di Dio […]: domina invece l’apatia, che trascolora in quello che definisco “apateismo”».

Tuttavia, cosa accadrà all’umanità quando la biotecnologia consentirà non solo di progettare figli perfetti, senza tare genetiche ereditarie, dando un nuovo significato al concetto di vita e di creazione, ma anche di riprogrammare coscienze o di vivere in simbiosi con intelligenze artificiali mediante l’uso di microchip neuronali che permettano il collegamento continuo fra il nostro “hardware corporale” e il software dell’IA, magari all’interno di realtà virtuali alternative e infiniti altri metaversi? E cosa accadrà se un giorno, concretizzando nella realtà i soggetti di vari libri e le sceneggiature di altrettanti film e serie televisive, si riuscirà a sopravvivere al proprio corpo devolvendo a una scheda di memoria le proprie esperienze di una vita per farle trasmigrare in un altro essere (umano, bionico o totalmente artificiale)? Non vi è risposta a quesiti o a problemi del genere né nella Bibbia, né nel Corano, né nel Talmud, né in qualsiasi altro libro sacro al mondo o in qualsiasi teologia anche non codificata da un libro sacro.

Ovviamente, soprattutto se si prende in considerazione l’ultima ipotesi appena citata, si può cadere nell’eccesso opposto, quello della progettazione da zero di un nuovo umanesimo talmente radicale da sovvertire ogni certezza storica sulla stessa umanità e quindi sulle sue concezioni filosofiche e teologiche. Ci sarà bisogno ancora, in sostanza, di un’umanità cosciente che regoli a modo suo il mondo se questo compito può essere demandato a un’intelligenza superiore?

Per quanto ne sappiamo i computer di oggi non sono più “coscienti” di quelli di dieci o vent’anni fa, ma sono sicuramente più “intelligenti”, più rapidi nell’eseguire le loro istruzioni programmate; ma sono in grado (e lo saranno sempre più in futuro) di autoprogrammarsi e di evolversi da una fase meramente esecutiva (eseguo linee di programma necessarie per ottenere soluzioni funzionali) a una fase evolutiva anche adattativa (creo metodi e modelli alternativi per la soluzione di problemi); ma non siamo affatto sicuri che la crescita di queste intelligenze porti con sé la crescita di una parallela coscienza.

Nel dubbio, anche per capire a che punto sia la “presa di coscienza” dell’IA, abbiamo rivolto alcune domande inerenti al mondo delle religioni a ChatGPT, forse il più noto fra i sistemi di intelligenza artificiale oggi in uso, e, nello specifico, se ritiene che in futuro si possa fare a meno di esse. Ecco la sua risposta. 

La questione se le religioni moriranno è complessa e dipende da vari fattori culturali, sociali, storici e personali. Ecco alcune considerazioni chiave:

  • Adattabilità delle religioni: le religioni hanno dimostrato una notevole capacità di adattarsi ai cambiamenti sociali e culturali nel corso della storia. Ad esempio, il cristianesimo e l’islam si sono diffusi e adattati a numerose culture diverse nel corso dei secoli. Questa capacità di adattamento potrebbe permettere alle religioni di continuare a esistere anche in un mondo in rapido cambiamento.
  • Bisogni umani: le religioni rispondono a bisogni umani profondi come il bisogno di significato, comunità e risposte alle grandi domande della vita. Finché questi bisogni esisteranno, è probabile che esisteranno anche forme di religiosità.
  • Cambiamento culturale: in alcune parti del mondo, c’è una tendenza verso la secolarizzazione e la diminuzione dell’importanza della religione nella vita quotidiana. Questo è particolarmente vero in molte società occidentali dove l’ateismo e l’agnosticismo sono in aumento. Tuttavia, in altre parti del mondo, le religioni rimangono fortemente radicate e influenti.
  • Nuove Forme di Spiritualità: anche se le religioni tradizionali potrebbero diminuire in alcune aree, nuove forme di spiritualità e religiosità potrebbero emergere. La spiritualità individuale, i movimenti New Age e altre forme di pratiche spirituali stanno guadagnando popolarità.
  • Influenza della tecnologia: la tecnologia e l’accesso all’informazione possono influenzare le credenze religiose. L’esposizione a diverse prospettive e conoscenze scientifiche può portare alcune persone a mettere in discussione le loro credenze religiose tradizionali. Tuttavia, la tecnologia può anche essere utilizzata per diffondere e rafforzare le credenze religiose.

In sintesi, è improbabile che le religioni muoiano completamente nel prossimo futuro. Piuttosto, continueranno ad evolversi e ad adattarsi alle mutevoli circostanze del mondo moderno. La forma e l’importanza della religione possono cambiare, ma il fenomeno della religiosità in qualche forma probabilmente persisterà. 

Ma cosa accadrebbe se una forma di intelligenza artificiale riuscisse a superare “l’umanità”, cioè la coscienza e l’autocoscienza dell’uomo? Le abbiamo quindi porto una seconda domanda: una intelligenza artificiale ha o può avere una religione? Anche qui ChatGPT ci ha fornito una risposta eloquente, rassicurante (forse troppo…). 

Un'intelligenza artificiale, come i sistemi di intelligenza artificiale attuali, non ha e non può avere una religione. Ecco perché:

  • Mancanza di coscienza e consapevolezza: le AI non hanno coscienza o consapevolezza. Sono semplicemente programmi complessi che elaborano dati e rispondono in base a modelli predefiniti e addestrati. La religione, per gli esseri umani, coinvolge emozioni, credenze personali, esperienze spirituali e consapevolezza del sé, elementi che una AI non possiede.
  • Assenza di bisogni e esperienze umane: la religione risponde a bisogni umani profondi, come il bisogno di significato, di comunità, di conforto di fronte alla morte e di risposte alle grandi domande dell'esistenza. Le AI non hanno questi bisogni o esperienze, quindi non hanno il contesto per sviluppare o adottare una religione.
  • Incapacità di credere: credere in una religione implica avere fede, una qualità che richiede la capacità di avere esperienze soggettive e personali. Le AI operano su dati e logica, non su fede o credenza.
  • Programmazione e addestramento: le AI funzionano in base a come sono programmate e addestrate dai loro creatori umani. Possono essere programmate per comprendere e rispondere a domande sulla religione, ma ciò non implica che abbiano una fede o una pratica religiosa propria.
  • Etica e progettazione: la progettazione delle AI è solitamente guidata da principi etici che evitano di attribuire loro caratteristiche umane non possedute, come la religione. Gli sviluppatori di AI tendono a mantenere chiare le distinzioni tra l'intelligenza artificiale e le esperienze umane per evitare confusione o aspettative non realistiche.

Tuttavia, è possibile che le AI siano utilizzate per studiare, analizzare e persino facilitare le pratiche religiose. Ad esempio, possono aiutare nella traduzione di testi sacri, nella creazione di esperienze religiose interattive, o nel supportare le comunità religiose attraverso la gestione di dati e comunicazioni. In sintesi, mentre le AI possono interagire con temi religiosi e supportare attività legate alla religione, non hanno né possono avere una religione propria, poiché mancano di coscienza, emozioni e bisogni umani che sono alla base della fede religiosa.

Se dunque alcuni dubbi sembrerebbero in questo momento fugati, emerge in conclusione un’ulteriore considerazione.

Per vari millenni l’evoluzione organica è andata di pari passo con un’evoluzione delle coscienze, che ha comunque lasciato a entità sovrannaturali il compito di creare e muovere i fili di ciò che l’uomo non riusciva a spiegarsi o a creare da solo. Ma anche se oggi sembra ancora tutto “sotto controllo”, non sappiamo cosa accadrà fra dieci o cento anni e più, cioè nel momento in cui dei computer inorganici potranno creare ciò che l’uomo non è in grado da solo di fare, potranno spiegare ciò che l’uomo da solo non sa spiegarsi, potranno modificare ciò che l’uomo non è in grado di modificare. Ebbene, secondo alcuni, che potremmo definire pure apocalittici, a quel punto non solo non ci sarà forse più posto per l’umanità come la conosciamo fino a oggi, ma non ci sarà posto a maggior ragione per un’entità superiore che spieghi con la sua presenza ciò che l’uomo non riesce ancora a spiegare.

secondo alcuni, ritenuti apocalittici, se andiamo avanti così non solo non ci sarà forse più posto per l’umanità come la conosciamo fino a oggi, ma non ci sarà posto a maggior ragione per un’entità superiore

In ogni caso l’evoluzione di intelligenze esterne all’umanità, cibernetiche o ciber-neuronali, potrebbe aggirare completamente vincoli e remore ancora presenti in quell’etica che le religioni, pur a fatica, provano ancora a mostrare al di là delle loro narrazioni fideistiche nelle teorie creazionistiche, nelle cerimonie religiose e nelle manifestazioni esteriori o interiori di culto per divinità più o meno delineate con la materialità di volti umani o animali o piuttosto con concetti animistici e spirituali rivolti all’assoluto e a realtà immanenti superiori.

Ma se queste realtà superiori si concretizzeranno prima o poi in una forma tanto evoluta di intelligenza artificiale che, seppur creata dall’uomo, ne dovesse arrivare a dominare alla fine, anche se in un futuro per noi remoto, le azioni e ne dovesse ridurre a nuda vacuità i sentimenti, non avremo più un’evoluzione meramente antropologica del mondo, ma una sostituzione di questa umanità come l’abbiamo fin qui conosciuta nella sua evoluzione dall’homo sapiens in poi con una tecnologia che supererà i confini di quella scienza dell’uomo che non è solo legata all’antropologia, ma ai sentimenti, agli affetti, all’etica, al senso del dovere, al senso del limite, e a maggior ragione al senso o all’idea di un qualcosa di sovrannaturale, con tutte le sue tradizioni e i suoi vincoli ideologici, dogmatici e cerimoniali che, forse in misura sempre minore, proveranno a resistere e rimanere per qualcuno ancora validi e utili.

È quello che ha provato a ipotizzare Donna Haraway, oggi ottantenne, che ha fondato i suoi studi sulle implicazioni della tecnologia e della scienza sulla vita degli esseri umani moderni[9]. Secondo la studiosa statunitense, che per certi versi ha anticipato di mezzo secolo con le sue idee ciò che già sta realmente iniziando ad accadere oggi sotto i nostri occhi con le forme sempre più evolute di IA, la cultura occidentale è sempre stata caratterizzata da una struttura binaria (uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente). Questo dualismo concettuale, secondo la Haraway, non è simmetrico ma basato sul predominio di un elemento sull’altro. Nella tradizione occidentale sono esistiti persistenti dualismi e sono stati tutti funzionali alle logiche e alle pratiche del dominio sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali: dal dominio cioè di chiunque fosse costruito come altro col compito di rispecchiare il sé.

A questo riguardo, e con l’obiettivo di un superamento di questo dualismo storico e metafisico, la Haraway ha quindi introdotto la figura del “cyborg”, che da invenzione fantascientifica diventa metafora della condizione umana: il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le categorie di genere, e insieme organismo cibernetico, creatura sospesa tra finzione e realtà, comunque un ibrido che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione. Questa figura, situata oltre i confini delle categorie che siamo normalmente abituati a utilizzare per interpretare il mondo, è probabilmente ciò verso cui l’umanità corre, nel presupposto di un’evoluzione della vita degli uomini come la intendiamo finora esattamente come quella che millenni fa fece dell’uomo il dominatore dell’universo con l’estinzione dei dinosauri o semplicemente con il dominio su tutti gli altri esseri della terra, dell’acqua e del cielo, pur se con i confini limitanti della presenza di entità superiori per spiegare ciò che l’uomo da solo non era in grado di spiegare o realizzare.

Adesso, tuttavia, l’avvento di un’era da lei battezzata “chthulucene” potrà rappresentare l’uscita quasi salvifica da un antropocene sempre più evidentemente catastrofico anche per i danni nel frattempo arrecati dall’uomo sull’ecosistema. Questo accadrà non se, ma quando l’IA hackererà anche la coscienza umana sostituendosi a essa anche nella percezione dell’etica, della metafisica e di quelle teorie teologiche che saranno ancora rimaste in vita, con conseguenze inimmaginabili sul piano evolutivo.

Il problema non è quindi, al di là delle odierne risposte rasserenanti forniteci da ChatGPT, se ciò accadrà, ma quando ciò inizierà a concretizzarsi e se, giungendo a quel punto a conclusione questa evoluzione epocale, rimarrà ancora posto per l’umanità su questa terra o per un’umanità come l’abbiamo finora conosciuta.

Potrebbe anche accadere che l’uomo finirà col delegare il pensiero creativo all’IA abituando a vedersi come una pluralità di meccanismi biochimici costantemente monitorata e guidata da una rete di algoritmi e da altri organismi, stavolta cibernetici, che costituiranno la nuova linea evolutiva delle creature del pianeta, magari con una propria idea di sovrannaturale o con il ricordo trascendente di un mondo onirico di “progenitori” che li hanno creato concedendo loro il potere sulle altre “creature” proprio come la Bibbia o il Corano hanno autorizzato fino a questo momento gli uomini a credere storicamente di sé stessi rispetto agli altri esseri viventi del pianeta.

O forse, in maniera meno plateale, come ipotizza anche Harari emergeranno fra le persone nuovi culti, di certo non nelle grotte dell’Afghanistan o nelle madrasse del Medio Oriente dove gli studenti coranici e i fondamentalisti del jihad si rifuggiranno per scampare al “neo-umanesimo cybernetico”, né nel chiuso di seminari cristiani o dei templi tibetani dove si cercherà di tenere accesa la secolare fiamma della religione tramandata dai Padri della Chiesa o dagli antichi Lama, ma piuttosto nei laboratori di ricerca: si tratterà forse di nuove “tecno-religioni” che potrebbero conquistare ciò che resta della libertà di coscienza delle persone promettendo loro una nuova salvezza, stavolta grazie ad altri algoritmi o a una nuova genetica di stampo “tradizionale”.

Ma a quel punto, si chiede sempre Harari, «che cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci conosceranno più a fondo di quanto noi conosciamo noi stessi?»[10]. Forse in quel momento potrebbe non esserci più alcun dio a cui affidarci o in grado di salvarci o comunque di proporci una via (oltremondana o no) di salvezza.


 

Note

[1] La prima volta fu nel volume “La gaia scienza”, Lipsia, 1882 – trad. it. Milano, 1977.

[2] “Homo deus. Breve storia del futuro” – Londra, 2016; trad. it. Firenze, 2017.

[3] Giulio Meotti: “I nuovi pagani. L'ecologia come religione per sostituire il cristianesimo cancellato”, da “Il Foglio”, 6 novembre 2021.

[4] “An anxious age: the post-protestant ethic and the spirit of America” – New York, 2014.

[5] Op. cit.

[6] “La tecnica corre troppo e ci cambierà l’anima” – intervista rilasciata dal cardinale Ravasi a Elena Dusi e pubblicata da “Repubblica” il 25 giugno 2017.

[7] Ibidem.

[8] “Breve storia dell’anima” – Milano, 2022.

[9] Cfr. “Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo” – Londra-New York, 1991; trad. it. Milano, 1995.

[10] Op. cit.

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Pubblicato il 01 luglio 2025