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La storia degli umani è una storia di contrasti e di guerre che sembra non avere mai fine… È forse una scacchiera l’esistenza?  compito dei giocatori è muovere le pedine per vincere e annientare l’altro?  il bianco trionfa e il nero soccombe… oppure è il nero a dominare.  Ma… la scomparsa dell’uno non rende nullo anche l’altro? Pensiamoci: intanto possiamo dire “bianco” in quanto esiste il “nero” la distruzione dell’opposto non è la soluzione... così finirebbe la storia umana! Cogliere l’unità dei contrari nell’orizzonte del divenire: è questo il segreto svelato da Eraclito. La vita non è forse trasformazione continua? E la parola, sì la parola, non apre uno spazio di confronto tra gli umani e non fa emergere la possibilità di un cambiamento in noi e nell’altro? Le parole danno forma al mondo…

Come sonnambuli …vagano … ciechi in un cammino privo di senso …  dominati dai propri bisogni, incapaci di guardarsi…


Sì, le parole danno forma al mondo. È il linguaggio verbale che fa ‘esistere’ le cose nominandole e ponendole in relazione. É all’interno di questo codice che il flusso della realtà acquista un senso. on la lingua vivente, che riceviamo dal gruppo sociale a cui apparteniamo, comunichiamo, creiamo legami, ci orientiamo nel mondo. Con essa assorbiamo la cultura di quel gruppo, cioè le forme che determinano il nostro modo di pensare, di agire, di soffrire e di gioire. Ma, normalmente, siamo talmente immersi nella cultura di appartenenza che non la consideriamo una ‘costruzione’, come di fatto è, ma un modello sostanziale della realtà. Un modello che, percepito come naturale, rassicura, cementa la comunità e inevitabilmente crea conflitti all’esterno. Come spiegare altrimenti la condivisione da parte di una intera collettività di crimini come - per citarne alcuni - lo sterminio degli indiani d’America, il nazismo, e tanti, tanti altri ancora… la storia umana è costellata di crimini…

Eppure… la partecipazione a una visione comune non implica un’adesione meccanica dell’individuo e una sua risposta automatica… la quantità di libertà dell’individuo non sta forse nella possibilità di una risposta diversa rispetto a quella attesa? L’uomo è una corda tesa tra la scimmia e l’oltreuomo (Nietzsche), capace di azioni abiette, spesso dettate dalla paura, ma capace anche di comportamenti sublimi.

Da sempre, il tentativo di andare oltre i modelli condivisi appartiene agli artisti, ai filosofi, ai visionari che vedono ciò che gli altri non vedono… Sono loro che si avventurano nell’incertezza, alla ricerca di nuove forme e nuovi equilibri e provano a darne testimonianza agli altri esseri umani.

Il grande Saramago ha incarnato esattamente questo ruolo. Diceva di sé: Sono soltanto una persona che si limita a sollevare una pietra e a guardare cosa c’è sotto. Non è colpa mia se di quando in quando escono dei mostri.

Rivolgeva, però, un’attenzione particolare al nostro tempo: Oggi come non mai - diceva - stiamo vivendo nella caverna platonica, dove gli uomini scambiano per reali le immagini che scorrono loro davanti. Oggi come non mai, infatti, confondiamo la realtà con le ombre.

Saramago sapeva che oggi, in Occidente, l’industria culturale, attraverso la forza delle immagini e la molteplicità e istantaneità delle notizie, è in grado di narcotizzare, le menti e di plasmarle in maniera molto più efficace rispetto al passato, in cui erano la famiglia e la scuola a formare gli individui.

Sapeva che la civiltà odierna è tenuta insieme dalle idee e dalle parole del business che pervadono ogni aspetto della nostra vita, e producono un individuo centrato su sé stesso, con il culto dell’io (sii te stesso!) che, in nome di una presunta libertà, accoglie e legittima il conflitto (la vita come un reality show), che vive la vita con l’ansia da prestazione, che sente la sconfitta come un fallimento personale, che sviluppa risentimento verso chi lo esclude.

E la relazione? Che cosa resta della relazione?

L’atteggiamento più diffuso è oggi l'indifferenza nei confronti dell’altro, la perdita di ogni sentimento di solidarietà. Per Borgna, anche i migliori di noi sono indotti a perdere di vista i desideri di infinito per inseguire quelli microscopici del proprio orticello. Occorre prendere coscienza di tutto questo e, se le parole danno forma al mondo, occorre trovare parole nuove. La parola ha un estremo bisogno di silenzio per non esaurire la possibilità infinita del dire. La parola nasce dal silenzio e si nutre di silenzio… oggi c’è tanto rumore… e si dà voce alla parola vana, all’eco di parole abusate…

 Abbiamo bisogno di parole nuove.

La Cecità per Saramago diventa l’evento imprevisto e improvviso che permette di indagare fino in fondo, con ironia e compassione, l’animo umano, di sperimentare l’abisso in cui gli umani possono cadere e cadono continuamente. La cecità diventa la concretizzazione del non riuscire più a vedere l’altro, che viene sottomesso, violentato oppure ignorato, in una situazione da inferno dantesco. Uomini e donne che progressivamente, per contagio, diventano tutti ciechi, di una cecità bianca, lattiginosa e regrediscono allo stato di natura una specie di “bellum omnium contra omnes”. La vita, dominata dalla paura e dalla disperazione è ridotta ai bisogni primari; la ricerca di cibo diventa il primo obiettivo. Una metafora per rappresentare il rischio che continuamente corrono gli umani di far prevalere egoismo e indifferenza.

Cecità è un libro terribile che scava dentro di noi… e introduce immagini, sensazioni ed emozioni difficili da cancellare perché angosciano e fanno riflettere. L’eroe del romanzo, testimone dell’orrore, è in realtà un’eroina, una figura femminile: la moglie dell’oculista. Quando il marito, diventato cieco, viene prelevato da casa per essere condotto in un ex manicomio, dove venivano isolati, secondo la legge, tutti i ciechi, si finge cieca anche lei “per aiutare te, amore mio e gli altri che verranno”(Cecità) . È una guida e, nello stesso tempo, una vendicatrice di sé e delle compagne. Figura complessa e inquieta, è capace di grande tenerezza ma anche di gesti eroici e terribili. Supera i limiti dettati dalla paura e dalle norme sociali. Incarna una morale ‘altra’, una morale che va al di là delle regole codificate dagli uomini e prefigura un modo nuovo di essere al mondo. Per alcuni aspetti un riferimento possibile è Antigone, simbolo di una solitudine eroica che, pur rischiando la morte, compie il suo destino, ma la moglie del medico è in grado di provare qualcosa che potremmo definire sublime: la compassione (Saramago).

Per superare la violenza, la prevaricazione, l’indifferenza che ci rendono ciechi, dobbiamo inevitabilmente “vedere” l’altro, sentire di far parte di un destino comune:

“Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che pur vedendo, non vedono.” (Cecità)

Sotto la guida della moglie dell’oculista pian piano i personaggi principali ritrovano la dignità perduta. È un cammino catartico che porta infine al recupero della vista: è evidente che prendere coscienza della propria cecità è il primo passo per superarla.

Pubblicato il 09 marzo 2025

Anna Colaiacovo

Anna Colaiacovo / Consulente filosofico presso Phronesis

anna.colaiacovo@gmail.com http://filopratica.com