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Si assiste allo scivolamento dal 'giornalismo' al 'giornalismo-non-giornalismo'. Dal 'giornalismo' come esercizio critico indipendente, come servizio ai cittadini e antidoto alla propaganda, al 'giornalismo-non-giornalismo': usare l'essere giornalisti per fare qualcosa di diverso dal giornalismo: storytelling commerciale, consulenze, docenze, libri lontanissimi dall'essere saggi meditati, esibizioni televisive con bretelle in vista... L'informazione relativa all'Intelligenza Artificiale è il oggi campo privilegiato d'azione di 'giornalisti-non-giornalisti'. Cantano l'entusiasmo per la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo. Naturalmente sostengono di non dimenticare i lati oscuri dell'AI. Ma ciò che veramente sembra interessare loro è il business dell'AI, l'AI come business.

Oh, i giornalisti! Posso parlarne, perché sono giornalista, iscritto all'albo dei pubblicisti dal 1981. E perché come giornalista, come manager e come editore ho conosciuto così tanti giornalisti da vicino.

Il più bel ricordo per me è l'aver scritto l'articolo di commemorazione di Borges, quando morì, sulle pagine della domenica del Sole. Facevo un altro lavoro di giorno, scrivevo di notte, andavo a portare di persona gli articoli in via Lomazzo, la mattina presto.

Fonte di enorme apprendimento era svegliarsi all'alba, andare in bicicletta alla sede della radio, tirar su la serranda, raccogliere la mazzetta di giornali sulla soglia, e da solo davanti al mixer andare in onda improvvisando la rassegna stampa, cogliendo al volo, nelle mattinate migliori, connessioni tra articolo e articolo, tra tema e tema.

Per un periodo ho tenuto su un mensile una rubrica di Worst Practices. Me la propose il Direttore: tutti parlano di Best Practices, mi diceva, ma di Worst... Poi però, accadde più volte, rifiutò i miei testi, "perché è una cosa delicata, sono nostri inserzionisti", o perché a suo dire "c'ero andato giù troppo duro". Qualche conoscente mi tolse anche il saluto "perché così fai perdere valore alla nostra azienda, proprio ora che stiamo vendendo".

Una volta un Direttore, onestissimo e sostenitore di una linea politica rigorosa, si confidò: “se davvero scoppia questa guerra è una cosa assurda, indegna. Eppure devo ammettere che ci spero: in questo momento un incremento delle vendite ci serve come il pane".

Ricordo il tempo passato di notte, da collaboratore saltuario, ad attendere che il caporedattore tornasse su dallo stabilimento, dove in giornale andava in produzione, solo per parlargli, per proporgli un articolo che avevo in mente.

Ricordo quel Direttore che prendeva in giro il proprio Padrone. Gli piaceva chiamarlo così, Padrone, facendo riferimento alla distanza ideologica che li separava. In sua presenza si mostrava ossequente. E poi si giustificava: è quasi un gioco masochistico con me stesso.

Ricordo quel Direttore che sottraeva tempo ad ogni altro impegno per dedicarsi personalmente alla ricerca affannosa di oggettistica, destinata a fungere da vendita aggiuntiva. Il periodico si trasformava così in vassoio cellofanato, destinato ad accompagnare in edicola le cose più varie.

Si aspettava la telefonata del famoso inviato. Doveva giungere da un luogo lontano. Ma tutti sospettavano che invece sarebbe giunta dal bordo della sua piscina.

I fotogiornalisti godevano la fama di artisti dello sguardo, capaci di cogliere l'attimo. Ma tornavano invece dai viaggi con migliaia e migliaia di scatti, fatti con il motore.

Una volta ascoltai il colloqui tra un giornalista a un documentalista. Il giornalista chiedeva di rintracciare un certo articolo. Il documentalista lo rintracciò. Ebbe però anche l'ardire di fornire al giornalista, insieme, un altro articolo, che conteneva la smentita del primo. "Cretino!", inveì il giornalista. Ti avevo chiesto quell'articolo per trarne un virgolettato. Non venire a rompermi le scatole con altre cose".

Due sono, nelle mia esperienza, le figure esemplari del giornalismo-non-giornalismo.

La prima è tipicamente femminile: le giornaliste che si occupavano di moda. Il giudizio critico era pari a zero. Ma i magazzini delle sale di posa della casa editrice si riempivano di abiti in prestito, e subito si svuotavano, perché gli abiti e gli accessori erano presto indossati dalle giornaliste, e non tornavano più.

La seconda, tipicamente maschile, é il giornalismo che tratta di automobili: la differenza tra i comunicati stampa delle case produttrici e il testo degli articoli era impalpabile. Ma i giornalisti avevano sempre a disposizione bellissime vetture.

Oggi le automobili non tirano più tanto. Tira invece il mercato dell'Intelligenza Artificiale. Ora, se di motori tutti sapevano almeno qualcosa, di intelligenza artificiale è ben difficile saperne. Ma di comunicati e opinioni di esperti ne circolano tantissimi! E poi noi italiani, vivendo nelle periferie dell'impero, godiamo sempre di una comodissima possibilità: riprendere quello che hanno scritto i giornali americani il giorno prima.

Ecco quindi che l'Intelligenza Artificiale è il campo privilegiato d'azione di giornalisti-non-giornalisti. Cantano l'entusiasmo per la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo. Naturalmente sostengono di non dimenticare i lati oscuri dell'AI. Ma ciò che veramente sembra interessare loro è il business dell'AI, l'AI come business.

Eccoci quindi all'ultimo risvolto del giornalismo-non-giornalismo: usare l'essere giornalisti per fare qualcosa di diverso dal giornalismo: storytelling commerciale, consulenze, docenze, libri lontanissimi dall'essere saggi meditati, esibizioni televisive con bretelle in vista...
Perdendo così di vista il giornalismo come esercizio critico indipendente, come servizio ai cittadini e antidoto alla propaganda.

Così accade che i giovani che si avvicinano alla professione, oltre ad essere costretti ad un umiliante precariato, sono privi di buoni esempi.

Pubblicato il 08 giugno 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

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