"Viviamo dentro un acquario mondo trasparente, con pareti di vetro ma resistenti come quelle di una gabbia. Tecnologica, simbolica, virtuale, digitale, la gabbia è tanto più inviolabile quanto più ci siamo a essa assuefatti. È estesa e globale, una caverna platonica senza fuoco, un panottico senza torre di guardia, sostituita da sistemi e algoritmi d’intermediazione tecnologica che determinano connessioni e relazioni, emozioni e affetti, ambiti individuali e sociali, lavorativi e professionali. Abitiamo questa gabbia con leggerezza e in allegrezza, abbiamo introiettato il pensiero binario che la caratterizza, impedendoci di far venire a galla nella nostra coscienza la consapevolezza di ciò che ci sta accadendo, privandoci così della nostra libertà di scelta. Innamorati della gabbia tecnologica abbiamo perso di vista noi stessi, la realtà e il nostro essere cittadini di questo mondo. Per recuperare la libertà di cui sentiamo il bisogno basterebbe evadere. Serve però uno sforzo critico, riflessivo, creativo. Ci serve una bussola, declinabile in (Tecno)consapevolezza."Carlo Mazzucchelli
La realtà che percepiamo
Dopo una lunga stagione esistenzialmente interessante, stiamo vivendo tempi di crisi, non solo sanitarie. La (ap)percezione diffusa è negativa, preoccupata, tipicamente esistenziale, e l’epidemia non è che l’ultimo sintomo. Nasce dalla crisi delle grandi narrazioni del Novecento, dal processo regressivo di un’epoca fissata sul presente continuo, sulla rimozione della memoria e dalla perdita di fiducia verso il futuro. È una percezione dettata da numerose disillusioni, sperimentate nel tentativo di dare un senso alle cose, contribuendo a cambiarne il verso, forse senza mai riuscirci.
La realtà percepita è caratterizzata da inquietudine, fragilità e incertezza, da paure ansiogene e precarietà reali, da brutalità del linguaggio, smarrimento psichico e cognitivo. La sensazione è di vivere dentro una stagione che anticipa grandi crisi, fatte di trasformazioni profonde, imprevedibili e incontrollabili, ma anche risultato di tanta stupidità massificata e superficialità ostentata nell’affrontare le nuove realtà in formazione emergenti.
A questa percezione negativa ci si può arrendere. In alternativa si può partire da essa, e dalle passioni tristi che genera, per combattere il narcisismo e nichilismo diffusi, il (tecno)cinismo dilagante, nel tentativo di contrastare il conformismo al ribasso di moltitudini di individui, per osare pensare, interrogarsi criticamente, porsi delle domande, sperimentare ancora una volta il viaggio di perlustrazione esistenziale verso destinazioni ignote e, per questo, ancora desiderate.
Il viaggio è da fare in compagnia di altri, con l’obiettivo di provare a pensare diverso: ritrovando la capacità di costruirsi ognuno una propria storia, nella quale sentirsi protagonisti; prendendo le distanze da narrazioni predominanti che descrivono acriticamente le vite tecnologiche attuali come felicitarie e imprescindibili; immaginando vie di fuga e scenari alternativi; penetrando criticamente, con una mente irrequieta e curiosa, all’interno delle cose, alla ricerca di senso. Per farlo bisogna superare la cortina fumogena, digitale e mediale, che nasconde la realtà creando misinformazione. Svanita la nebbia sarebbe possibile vedere più chiaramente il mondo reale, decodificarne i meccanismi e le regole, comprendere meglio quali scelte fare, per sé e per gli altri.
Forse inconsciamente ma stiamo tutti sperimentando il tempo del disincanto, anche tecnologico.
La realtà che ci raccontiamo
Siamo sommersi da narrazioni riduzionistiche che descrivono la realtà in modo uniforme, atomizzato, semplificato e astratto, nei vari ambiti nei quali ci troviamo a operare e a esistere. Le piattaforme tecnologiche sono il fulcro di uno storytelling felicitario teso a manipolare il modo con cui le persone percepiscono sé stessi e la realtà. Uno storytelling persistente che alimenta la retorica e la commercializzazione di concetti quali cambiamento, sviluppo e successo personali, auto-determinazione, benessere e redenzione individuali. Il messaggio è seduttivo, mira all’universo interiore di persone fragili e disorientate, diventate facilmente manipolabili e influenzabili. È originato da influencer, coach, leader motivazionali, guru e para-guru, esperti di media sociali, tutto centrato sul protagonismo e le abilità personali, sul tempo presente, sulla creatività, sullo spirito di iniziativa individuale.
La realtà raccontata che nasce dalle piattaforme social difetta di attenzione alla socialità, è poco attenta alle cose del mondo, alle loro contraddizioni, economiche, politiche e sociali. Il distacco è ricercato ma non riesce a nascondere gli effetti di una realtà tecnologica che alimenta disturbi psichici, ansie e depressioni portando all’abuso di farmaci e al distacco sociale. Disturbi che nascono da problemi reali quali precarietà lavorativa e flessibilità permanente, disuguaglianze e ingiustizie sociali, incertezza di futuro, instabilità, solitudine e senso di impotenza, impossibilità di cambiare il proprio destino esistenziale. Ne deriva una fuga nella irrealtà della realtà virtuale, alla ricerca di placebo e ansiolitici vari, che non produce alcun benessere reale e non elimina i disturbi dai quali la fuga è stata originata. Il tutto all’interno di una crisi sanitaria che non fa che aumentare la criticità della situazione.
In questa realtà raccontata mancano elementi determinanti quali la complessità delle relazioni umane, la socialità e l’azione collettiva, la solidarietà e il sostegno reciproco, la responsabilità, la generosità, l’importanza del pensiero critico e di quello negativo.
Il disincanto emergente
Le nostre vite si svolgono sempre più online ma diffusa è la percezione di affaticamento che ne deriva. Siamo resilienti, sappiamo resistere ma, anche per colpa della pandemia, ci sentiamo stanchi, tristi, annebbiati mentalmente, meno motivati, forse anche un po’ depressi. L’affaticamento è reale, anche online, avvolge tutte le nostre vite parallele, fattuali, virtuali e digitali. È come se la grande macumba digitale si fosse dissolta in una nuvola di polvere magica woodoo. A nulla servono mescole magiche di post, messaggi, podcast, video, interazioni e storytelling online. Il composto che abbiamo preparato non funziona più. Lo sappiamo ma persistiamo, sempre più affaticati e smarriti.
In realtà stiamo sperimentando il tempo del disincanto, anche tecnologico. Un disincanto tanto più grande quanto maggiore è stato l’investimento fatto in termini di tempo e risorse. L’affaticamento è reale, sfugge allo storytelling felicitario, suggerisce scelte, non racconti o descrizioni, esige mutamenti, nei comportamenti e nei modi di pensare, che preparino ai cambiamenti emergenti. Nel tempo del disincanto emerge il bisogno di un rapporto diverso con la realtà, un rapporto fatto di lentezza, elaborazione di pensiero e riflessione critica, di maggiore (auto)consapevolezza, declinabile anche in (tecno)consapevolezza.
Stanchi di false notizie, falsi contenuti e inganni digitali cosa faranno gli abitanti delle piattaforme online? Persisteranno nella verosimiglianza della meta-realtà a cui si sono arresi o si attrezzeranno con nuovi strumenti per ricercare vie di fuga e alternative possibili? Cercheranno nuovi itinerari di viaggio con destinazioni diverse da quelle suggerite da Tripadvisor, Booking, Google Search e dai loro clienti paganti? La stanchezza emergente non è solo legata all’interazione con il medium tecnologico ma all’emergere impellente di nuovi bisogni. Uno in particolare: riconquistare spazi privati di libertà personale nei quali esercitare la propria capacità di scelta e il diritto alla verità, anche se illusoria.
Una libertà che non sia negativa e subita, come quella che nasce dal consumismo e dalla costante variabilità di messaggi, prodotti e opinioni. Una libertà non fasulla e ipocrita come quella suggerita da cookie, bot, assistenti personali e algoritmi, reale e non automatizzata, vaccinata contro ogni tentativo di condizionarla algoritmicamente. Una libertà che nasca dalla volontà di liberarsi dalla schiavitù dei social network, per esercitare il libero arbitrio, assumendosi tutta la responsabilità che ogni scelta e decisione impone. Una libertà che rifiuti la protezione e il controllo, le gratificazioni che li rendono accattivanti e accettabili, per lasciare emergere nuove idee, elaborare nuovi pensieri e nuove opinioni, per sperimentare nuovi spazi di (Tecno)consapevolezza e possibilità. Anche fuori dall’acquario digitale e cognitivo che ci contiene.
La consapevolezza che ci manca
La consapevolezza è uno stato mentale che nasce dall’osservazione non condizionata da conoscenze o pretese tali. A spazzare via il condizionamento è l’interesse vitale a capire, la disponibilità a interrogarsi e a riflettere criticamente con l’obiettivo della comprensione dell’intero oggetto osservato. E il primo oggetto su cui focalizzare la nostra attenzione (auto)consapevole è la nostra stessa mente, nella sua interezza fatta di negazioni e conflitti, approvazioni e resistenze, senso di frustrazione e inutilità, disperazione, ansia e speranze.
La consapevolezza che ci manca è quella che nasce dentro, da pensieri, sensibilità e sentimenti emergenti a cui si lascia libertà di espressione. L’obiettivo della consapevolezza non è la condanna o l’approvazione ma la comprensione che nasce da una esperienza personale, dalla capacità di interrogarsi, porsi domande utili a trovare risposte, elaborare pensiero critico, attivando le condizioni per fare delle scelte. Le domande da porsi nell’era tecnologica devono sfidare le risposte esistenti, sono segnali sonar lanciati in profondità alla ricerca di tracce invisibili o camuffate ma rilevabili, sono il punto di partenza dell’autocritica con l’obiettivo della consapevolezza e della comprensione.
Queste domande sono le stesse che fanno da sfondo al documentario The Social Dilemma e che hanno animato Francesco Varanini a scrivere il suo ultimo libro (Le cinque leggi bronzee dell’era digitale). Sono domande: sul nostro futuro di esseri umani; sull’ineluttabilità del futuro tecnologico e dei suoi scenari emergenti; sul ruolo della tecnologia nel determinare i nostri stili di vita, comportamenti, sistemi politici, economici e istituzionali; sulla nostra cognizione, percezione della realtà e addomesticamento della vista; sulla nostra identità, autonomia di uomini aumentati tecnologicamente ma forse diminuiti umanamente; sul mercato dal lavoro; sul prezzo della gratuità online e il potere nascosto dei Big Data; sul ruolo dei media tecnologici nella manipolazione della realtà e dell’attenzione; sulla mutazione antropologica in atto e sulla felicità del Quantified Self; sui rischi, sulla nostra disponibilità al cambiamento e alla convivenza con l’incertezza continua; sulla privacy e riservatezza dei dati personali; sul ruolo dominante delle macchine e la pervasività delle intelligenze artificiali; sui codici segreti che dominano piattaforme, algoritmi e macchine dotate di capacità di apprendimento; su quanto stiamo rinunciando in termini di libertà, autonomia e democrazia; sulla profilazione, il controllo e la sorveglianza digitali; sul potere degli algoritmi e sul ruolo delle interazioni tecnologiche su comportamenti e relazioni; sullo storytelling e il ruolo dei media digitali; e infine sui tempi, i ritmi e l’etica delle macchine.
La Tecnoconsapevolezza che ci serve
A riflettere in modo consapevole sulla tecnologia sono chiamati tutti. Tutti devono raccogliere l’allarme che nasce da tecnologie e pratiche tecnologiche che stanno modificando la testa delle persone mettendo in discussione il bene pubblico, la democrazia occidentale e le libertà individuali per come le abbiamo conosciute finora. Rispondere all’allarme è un modo per anticipare e evitare scenari potenzialmente distopici, per questo non desiderabili. Non si tratta di demonizzare la tecnologia ma di comprenderla meglio nella sua complessità, di usarla in modo più intelligente e consapevole, per correggerla e migliorarla. La riflessione critica è tanto più importante quanto più è ritenuta scomoda, pericolosa e rischiosa. Da essa possono nascere narrazioni diverse da quelle attuali, in grado di cambiare l’evoluzione futura della tecnologia trasformandola da potenziale distopia in opportunità.
La tecnoconsapevolezza è il primo passo verso la libertà. Non è finalizzata a staccare la spina o a rinunciare alle tante opportunità e vantaggi offerti dalla tecnologia. Serve a disvelare l’inganno che la sorregge, a comprendere meglio il ruolo di coloro che la producono e i loro modelli di business monopolistici, guidati dalla volontà di potenza e di dominio del mondo. Serve a comprendere quanto i nostri comportamenti e le nostre vite siano oggi manipolate e tecno-guidate con l’obiettivo di ingaggiarci, addestrarci, colonizzare la nostra mente e renderci tecno-dipendenti, in modo da poterci trasformare in merce e in semplici consumatori. Dalla fase attuale di sviluppo tecnologico non si torna indietro ma il futuro può ancora essere nelle mani di tutti. Per determinarlo bisogna impegnarsi nella ricerca di una soluzione. Il primo passo è acquistare maggiore libertà di scelta per riconquistare il controllo della propria vita. La tecnoconsapevolezza ne è lo strumento. Si concretizza attraverso la conoscenza, la riflessione, l’elaborazione di pensiero, la dissidenza nei confronti del conformismo diffuso, la fuga dall’apatia e dall’isolamento digitale, e con il ritorno a nuove forme umane ed empatiche di socialità. Le scelte tecno-consapevoli di ognuno faranno la differenza e costruiranno gli scenari futuri per tutti.
In conclusione
La tecnologia non è più neutrale ma le direzioni e gli scenari futuri verso cui sembra indirizzata non sono destinazioni obbligatorie e neppure distopiche. Il futuro non è prevedibile ma tutti possono contribuire a anticiparlo e plasmarlo. Senza la nostra azione non esiste futuro se non in forma di minaccia. I fenomeni emergenti sono innumerevoli, sta a noi, con le nostre scelte e decisioni contribuire a dare forma agli scenari futuri che alla fine emergeranno.
La capacità trasformativa della tecnologia e i suoi progressi non possono diventare una scusante per evitare una riflessione critica complessiva sul ruolo che essa sta avendo nel determinare i fenomeni negativi con cui siamo chiamati a fare i conti. La soluzione non è staccare la spina ma riflettere criticamente sulla tecnologia, puntare a una maggiore conoscenza e comprensione dei suoi effetti, per un suo uso diverso e (auto)consapevole, partecipando a definirne insieme le direzioni, le destinazioni d’uso, le regole e l’etica, gli scenari futuri, i modelli sociali e di business. Il tutto all’interno di una nozione di senso democratico, ugualitario, pubblico, umano, rispettoso della libertà e dei diritti di tutti, recuperando il controllo dei nostri dati e difendendo la nostra privacy. Interrogarsi sulla tecnologia significa farlo anche sulla realtà attuale di capitalismo neoliberista dominato da monopoli geopolitici e tecnologici, e sulle sue numerose faglie critiche in movimento emergenti.
La tecnoconsapevolezza non porta a soluzioni semplici ma presuppone la comprensione e la conoscenza delle problematiche legate al controllo e alla sorveglianza, alla bio-ingegneria e all’intelligenza artificiale, alla genetica e alla finanza. Bisogna saper proteggersi dalla disinformazione e dalla misinformazione, difendersi dalle narrazioni unidirezionali dei tecno-entusiasti che descrivono un futuro fatto di nuvole digitali, artificiali e intelligenti. All’orizzonte non ci sono distopie tecnologiche ma realtà tecnologiche culturalmente costruite e come tali dal destino ancora indeterminato e plasmabile.
La differenza la farà il numero (minoranze, avanguardie, moltitudini) di persone che accetteranno la sfida della tecnoconsapevolezza che passa attraverso il risveglio dal sonno digitale, la conoscenza, la comprensione di strategie, segreti, politiche e iniziative dei potentati tecnologici di turno che ci hanno trasformato in semplici consumatori, in merci e in cittadini passivi.
La percezione negativa della realtà che ci accompagna ci fa sentire spaventati, incerti sul da farsi, indeboliti nelle nostre capacità di analisi e di visione, preoccupati per il nostro stato sociale e di benessere. Queste preoccupazioni ci impediscono di capire che i temi veri sui quali impegnarsi sono quelli climatici, della sparizione del lavoro, delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali, della famiglia, dei nuovi poteri, ecc. Essere consapevoli del ruolo della tecnologia significa essere pronti a affrontare le tante crisi e rivoluzioni in formazione superando saperi del passato, aprendosi a quelli attuali, superando pregiudizi ideologici e aprendosi al nuovo. Tutti possono dare un contributo di responsabilità, conoscenza e consapevolezza. La singolarità del futuro che arriverà potrà anche essere molto tecnologica ma per essere una nuova fase di evoluzione del genere umano dovrà far prevalere la sua dimensione e caratteristica umana.
La tecnologia non è più neutrale, si è fatta mondo