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Un testo tratto dal libro scritto da me insieme a Anna Maria Palma dal titolo: La gentilezza che cambia le relazioni digitali. Un libro pubblicato con Delos Digital nel lontano 2018 ma che sembra ancora attualissimo, nei tempi barbari e feroci che stiamo vivendo. Nel testo io e Anna suggerivamo di trattarsi bene e trattare bene gli altri, l'Altro. Cosa che non dovrebbe essere difficile, ma forse lo è...

La libertà fondamentale dell’uomo è la sua libertà di scegliere come si comporterà in ciascuna situazione!”       - Victor Frankl

Scegliere non è solo tema di riflessioni filosofiche, etiche e morali o atto indicativo di capacità decisionali personali. Le opzioni di scelta disponibili sono oggi infinitamente maggiori del passato, sia nella vita di ogni giorno, sia per le scelte che servono a dare un indirizzo e una direzione alla propria vita. 

Scegliere è una questione aperta, importante, perché la possibilità di farlo è alla base di ciò che siamo diventati, di come viviamo, come pensiamo e come siamo, sia come individui sia come società. Lo è ancor più in una realtà tecnologica che ha abituato le persone alla facilità e alla velocità della scelta, costruita in modo binario proprio per accelerare e semplificare processi decisionali, eliminare dubbi possibili e alimentare meccanismi gratificanti di feedback e contro-feedback, di stimolo e risposta, di semplice consumo. 

Un modo binario di scegliere ben lontano dal paradigma Kierkegaardiano, anch’esso binario, di scelta e responsabilità. Come se il fatto di poter esprimere sempre la propria idea, di condividere e di intervenire, spesso in modo automatico, inconsapevole e obbediente agli algoritmi di turno,  fosse sinonimo di libertà e non un modo per emanciparsi dalle schiavitù che ci incatenano e di crescere come persone libere maturando la capacità di scegliere. Una capacità che si esprime sempre tra uno stimolo e una risposta, là dove si insinua il dubbio (mi interrogo non se una cosa è vera o falsa ma quando è vera e in quale contesto), ad esempio affrontando con coraggio il capogiro, i timori e i tremori (Aut Aut di Kierkegaard) che sempre accompagnano una scelta consapevole. 

Alla base del poter scegliere c’è la libertà di poterlo fare. Ciò che però si dimentica spesso è che la libertà non implica necessariamente il poter scegliere, come ha spiegato Edward Rosenthal nel suo libro L’età della scelta. Le molteplici esperienze delle realtà virtuali sono piene di opportunità e hanno reso facile fare delle scelte. Queste scelte però non rendono necessariamente più libere le persone che le fanno. La percezione della facilità della scelta digitale sta trasformando la vita concreta delle persone, invogliate a credere di essere libere anche quando libere non sono. Un inganno come quello della trasparenza che invece di contribuire alla socialità e alle relazioni non fa altro che favorire i produttori tecnologici delle piattaforme digitali. 

nel campo umano, ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto, ogni azione possono far germogliare valori, ma se usati malamente possono invece far nascere erbacce infestanti.

La facilità del fare una scelta, unita alla rapidità del processo decisionale, non è esclusiva dei social network ma anche dell’iper-consumismo che caratterizza la società post-moderna e massificata attuale, frutto della rivoluzione industriale e del progresso tecnologico che ne è seguito, ma anche dell’evoluzione del marketing e dell’incidenza  dei media tecnologici nel condizionare comportamenti umani e stili di vita. Scegliere però non è facile, anzi è in qualche modo sempre difficile, soprattutto perché e quando bisogna fare la scelta giusta. Se non si sceglie, si rimane nel limbo delle possibilità, si accettano le scelte degli altri o si compiono scelte inconsciamente. 

La difficoltà dello scegliere sta anche nel fatto che farlo può generare conflitti, reazioni negative, antagonismi. E’ così nella vita reale, ma anche in quella virtuale, nelle grandi come nelle piccole cose, nelle scelte di vita o lavorative e professionali così come nella condivisione di un post o di un MiPiace. Fare delle scelte influenza chi sceglie così come le persone che gli stanno intorno, ma questo non impedisce di continuare a scegliere. La scelta può eventualmente essere usata, in modo flessibile e consapevole, per eliminare conflitti e diversità, favorire l’unità e la condivisione. Nella convinzione che anche il non scegliere sia una scelta che finirà per determinare conseguenze (non prendere alcuna decisione significa scegliere di non scegliere), risposte, trasformazioni e reazioni. 

La realtà è che viviamo, spesso inconsciamente, sempre in una condizione di scelta. La scelta è nostra compagna costantemente, nella vita reale così come in quella online. Non può non esercitarsi ed è sempre capace di dare un senso, una direzione e un fondamento alla vita di ogni individuo. In qualunque situazione tutti hanno la possibilità di scegliere cosa pensare, come sentirsi, come parlare e come agire. E’ importante saper valutare cosa è più importante e utile a breve e a lungo termine, saper scegliere fra spazi di pensiero e spazi di percezione consapevole. Per farlo serve però consapevolezza e autoconsapevolezza. 

Se ad esempio per raggiungere un certo obiettivo è necessario sacrificare il tempo in famiglia o il tempo personale e questa prospettiva rende l’obiettivo tentennante e meno attraente, forse è meglio ripensare e rivedere l’obiettivo, pensare a quello a cui si tiene di più. Insomma valutare attentamente, consapevolmente e responsabilmente le conseguenze dello scegliere. Molti eventi futuri, frutto di scelte e decisioni personali, sembrano belli e attraenti ma la loro forza attrattiva può venire meno nel corso del tempo, suggerire cambiamenti in corso e altre scelte. Anch’esse responsabili e consapevoli, non dettate dalla difficoltà nel raggiungere un obiettivo o dalla voglia di fuga, ma dalla consapevolezza che il prezzo da pagare, personalmente o per gli altri, potrebbe essere troppo elevato. 

Bisogna riappropriarsi del controllo della propria vita, rifiutando la assuefazione passiva alle tecnologie digitali.

La consapevolezza della scelta, anche nel caso di abbandono o non scelta, nasce dal pensiero lento, dalla capacità di elaborare pensiero e non solo idee, parole e opinioni, e dalla capacità di elaborare pensiero critico. La scelta non può essere semplice espressione dell’appetito bulimico che caratterizza il social networker e l’internauta quando rispondono in modo compulsivo agli stimoli ricevuti online. Dire la propria su ogni cosa, con un MiPiace, una stellina, un cuoricino, un post  o un cinguettio è il contrario di pensare. Commentare immediatamente e spesso senza neppure avere letto esclude il pensare (a quanti sarà capitato di postare su Facebook una riflessione articolata su qualcosa e trovarsi quasi contemporaneamente gratificati di un Like?). Per mancanza di tempo ma anche per mancanza di scelta. E anche perché si lascia uscire, fuori da sé stessi, semplici “appetiti rivestiti di parole” (Ortega y Gasset) parole o gesti in forma di emoticon e di immagini. 

Una scelta consapevole che nasce dal tempo lento del pensare permette di guardare all’evento che ha generato con serenità e giusto distacco. Permette anche di alimentare nuova consapevolezza che predispone la mente a essere più lucida e fresca. Una mente capace di valutare scelte alternative e altre azioni possibili da intraprendere. Riconoscere la competenza dello scegliere personale, frutto di apprendimento, conoscenza e consapevolezza, anche di scegliere di abbandonare, significa abbandonare la passività che caratterizza molte scelte per un agire proattivo, capace di prendere decisioni e fare delle scelte. 

La condizione ordinaria, nella quale siamo stati quasi sempre educati a stare, è quella, strettamente mentale, del pensiero dove operiamo scelte dipendenti dal voler avere ragione, finalizzate a difendere i propri punti di vista, e che nascono dalla facile accettazione dei luoghi comuni (anche individuali), delle conoscenze non verificate (fake news ma anche molto altro) e dei giudizi preconfezionati. E’ una condizione ordinaria che esalta un’economia della mente, ma evidenzia anche un’avarizia del cuore. 

Per operare una scelta è necessario dedicare tempo al pensare razionale per poter interpretare correttamente il pensiero e il giudizio dell’altro ma anche imparare a sentire, facendo attenzione alle percezioni che derivano dalle proprie sensazioni fisiche ed emozionali. Il tutto calato nelle esperienze personali che si stanno vivendo, prediligendo la qualità alla quantità. Ad esempio nelle relazioni online scegliendo di coltivare e approfondire la conoscenza e il legame piuttosto che lavorare per far crescere il numero di contatti e dei loro MiPiace. 

La pratica diffusa della libertà di scelta online è quanto di più lontano ci possa essere dalla libertà che rende liberi e permette di difendere la propria identità. Lontano da scelte che in passato hanno permesso l’esercizio della scelta libera e di continuare a sentirsi liberi a persone, costrette in condizioni di privazione delle libertà, come quelle che hanno fatto l’esperienza dei campi di concentramento nazista. Persone come il neurologo, psichiatra e filosofo Victor Emil Frankl, capace di mantenere intatta la sua identità, perché capace, seppur carcerato e privato della libertà,  di poter decidere in autonomia, in quale misura quanto gli stava avvenendo avrebbe potuto influire su di lui. Fra quanto gli succedeva (lo stimolo) e la sua reazione, c’era la sua libertà, la sua libertà di scegliere la risposta. L’esercizio di questa libertà, come ha raccontato lui stesso, fu il frutto dell’applicazione costante di discipline tra loro similari, mentali, emotive, morali, capaci di sfruttare la memoria e di alimentare l’immaginazione. Discipline che gli permisero di esercitare la pur piccola libertà che gli era permessa e di  farla crescere, finché egli ebbe più libertà dei suoi stessi carcerieri nazisti. Loro avevano più opzioni tra cui scegliere, più opzioni disponibili nel loro ambiente, ma lui aveva più libertà vera, un maggiore potere interiore di esercitare le proprie opzioni. Diventò così una fonte d’ispirazione per coloro che gli stavano intorno, perfino per alcuni dei suoi secondini. Aiutò altre persone a trovare un significato nella loro sofferenza e dignità nella loro esistenza di prigionieri. 

Grazie all’esercizio dell’autocoscienza Frankl ha sfruttato la specificità tipicamente umana della facoltà di scegliere, dell’autoconsapevolezza ma anche l’immaginazione, la capacità di valutare (sentire) effetti e conseguenze della scelta così come di creare mentalmente nuove situazioni e realtà capaci di andare oltre quelle attuali, della coscienza che si manifesta nella profonda consapevolezza interiore del giusto e dell’ingiusto, dei principi che guidano il comportamento e del livello di armonia esistente fra questi, i pensieri e le azioni, la volontà indipendente intesa come capacità di agire che si basa sull’autoconsapevolezza, libera da tutte le altre influenze. 

Carceri attuali, senza alcun paragone con quelle naziste del passato e attuali, sono anche quelle virtuali. Piacevoli, accattivanti e apparentemente aperte ma non per questo meno vincolanti sull’esercizio della libertà di scelta dell’individuo. La prima limitazione di questa libertà sta nell’essere sempre osservati, seguiti e registrati, dagli algoritmi così come dagli altri. Nel Panopticon Benthamiano un unico guardiano era in grado, senza essere visto, di controllare ognuno dei suoi prigionieri, nel panottico digitale odierno tutti guardano, osservano e controllano tutti.  

Quando si naviga o si accede al Web non si sta guardando un display televisivo, si sta aprendo una finestra (una lente, un faro) su sé stessi, regalando l’opportunità a entità esterne di osservare cosa facciamo, quanti messaggi scriviamo e a chi, che video guardiamo, quante volte lo facciamo e con chi interagiamo. Le informazioni prodotte dalla vita online finiscono così per essere usate per condizionare comportamenti, modi di pensare e di relazionarsi futuri. Il condizionamento nasce dalla quantità di informazioni di cui pochi sono in possesso, dalla minore quantità di informazioni e dall’isolamento monadico nel quale si trovano tutti gli altri. Grazie ai social network è come se tutti vivessero in mondi personalizzati e diversi. Mondi senza tempo e confini ma in realtà caratterizzati da molta solitudine e dal bisogno grande di relazione. La disponibilità di maggiori o minori informazioni facilita processi decisionali e scelte, senza precludere però la possibilità di scelta. 

Una possibilità esercitabile da tutti, ad esempio per rompere il guscio delle bolle di sapone o monadi nelle quali sono racchiusi e farlo praticando gesti di gentilezza. Gesti frutto di bisogni ma soprattutto di scelte meditate, sentite e consapevoli, pensate per tradurre comportamenti e sensibilità digitali in coinvolgimenti diretti e continuativi con altri individui, anche se ancora sconosciuti e mai incontrati prima. 

Occorre dare senso a parole come consapevolezza, che sia auto consapevolezza o etero consapevolezza, occorre ancora essere presenti, governare l'attenzione

Scegliendo la gentilezza si ammette la propria solitudine, si riconoscono i propri bisogni relazionali così come le proprie vulnerabilità, decidendo di aprirsi agli altri e creando canali di interazione in grado di favorire il contatto online, l’incontro offline, il coinvolgimento fisico (tattile, dello sguardo, del sorriso, erotico e sessuale) ed emotivo. 

La generosità, così come la felicità, è una sfida che bisogna saper cogliere. La generosità unisce, facilita lo scambio, è origine di nuove esperienze felicitarie e di affetti, serenità e nuove narrazioni. La scelta di essere gentili comporta numerose altre scelte:

  • la scelta di rallentare smettendo di andare di fretta, la scelta di andare lentamente, rinunciare alla velocità e all’accelerazione, pensare lentamente, scendere dal mondo che non rallenta (NoTav) e godere del tempo, anche cognitivo ed emotivo, recuperato;
  • la scelta di prestare attenzione a quanto accade dentro sé stessi e agli altri, ai messaggi lanciati da chi abita lo stesso ambiente, reale e virtuale, cercando di interpretarne il sentire, le motivazioni e i bisogni prima ancora dei contenuti, dei linguaggi e dei mezzi utilizzati, ma anche predisponendosi a modificare comportamenti, modi di pensare e giudizi su sé stessi e sugli altri;
  • la scelta di ascoltare così come di non ascoltare (Perché mai bisognerebbe ascoltare le innumerevoli stupidità che hanno invaso i social network italiani? Perché mai biosgnerebbe prestare ascolto alle comunità di imbecilli che popolano alcuni spazi online?), di tacere e rimandare la reazione dopo avere raccolto informazioni, selezionato la loro qualità e le loro fonti, vagliate le intenzioni, adottando sempre l’approccio socratico del sapere di non sapere in modo da poter continuare a cercare e a fare le scelte che servono per poter decidere;
  • la scelta di essere sé stessi e di accettarsi anche quando è difficile e doloroso farlo, evitando di far coincidere il Sé con le sue versioni edulcorate e migliorate (virtualmente aumentate) dei profili digitali, ed accettando di palesare aspirazioni e bisogni come quelli legati al superamento delle solitudini digitali;
  • la scelta di rifiutare ogni forma di comunicazione violenta e aggressiva facendo prevalere il cuore e l’empatia, i sentimenti di solidarietà e compassione, i gesti di generosità e (com)partecipazione su quelli divisivi, conflittuali, dettati dai pregiudizi, dal senso comune e dal conformismo dilagante;
  • la scelta di contribuire in modo pro-attivo alla felicità degli altri, non con regali e neppure con parole, tantomeno son semplci emoticon, ma con piccoli gesti, attenzioni, disponibilità al dialogo e alla conversazione, apertura al contatto e a incontrarsi, in rete e fuori da essa, condivisione;
  • la scelta di contribuire all’affermazione di valori, non necessariamente quelli oggi prevalenti negli spazi della Rete. Valori come la centralità della persona (anche nella sua veste di cliente, consumatore, cittadino ed elettore), del reale rispetto al virtuale, dell’esperienza relazionale fisica rispetto a quella digitale, della lentezza rispetto alle velocità tecnologica, dei legami rispetto ai contatti, ed altri ancora;
  • la scelta di riflettere criticamente sul mezzo tecnologico in modo da poter comprendere i suoi effetti sulla vita delle persone e anche nell’esercizio della generosità;
  • la scelta di abolire ogni tipo di muro, di barriera che impedisce di entrare in contatto e comunicare, di vuoti più o meno artificiali come quelli che oggi vengono eretti per separare l’occidente dal resto del mondo, il bianco dal nero e il normale dal diverso. Se l’abolizione è impossibile basta trasformare muri, barriere e vuoti  in ponti, passerelle, zattere utili per opportunità di incontro, conoscenza, relazione e conversazione;
  • …e la lista potrebbe continuare. 

Addestrarsi nelle scelte sopra elencate non è solo un modo di esercitare la libertà di scelta ma anche di praticare la generosità. Oggi lo si può fare anche nei mondi virtuali della Rete, con modalità diverse ma dagli effetti simili a quelli del passato. Effetti come l’amicizia che legò il filosofo Montaigne all’amico più giovane La Boétie, autore de La servitù volontaria. Una amicizia che trovò la sua massima espressione il 9 agosto del 1563 quando La Boétie, ospite di Montaigne, manifestò i sintomi della peste. Montaigne informato della cosa corre al capezzale dell’amico decidendo (scegliendo) di stargli vicino per confortarlo pur sapendo di potersi a sua volta infettare. Il filosofo con un gesto di generosità non pensa a sé stesso e al pericolo che corre, ma volge lo sguardo all’amico condividendo la sua sofferenza e angoscia. La Boétie a sua volta, preoccupato per l’amico, vorrebbe averlo vicino ma gli chiede di allontanarsi per evitare il contagio. Montaigne rimarrà vicino all’amico fino alla sua morte promettendogli di onorare per sempre il ricordo della sua lezione di vita. Prima di morire La Boètie prende la mano di Montaigne rivelando di avere vissuto una vita ricca di soddisfazione e ringraziandolo per non averlo mai abbandonato, soprattutto con l’ultimo dono della sua presenza e del suo cuore generoso. 

Momenti come questi non possono probabilmente essere replicati online ma la loro intensità, ricchezza emotiva, valenza morale ed esistenziale possono fare da esempio a quanti, in modo consapevole e libero scelgono la generosità come strumento e modalità di relazione, di amicizia, per stare bene con sé stessi, in compagnia di altri e contribuendo a far stare bene anche loro.


Il testo qui condiviso compone un articolo del libro La gentilezza che cambia le relazioni digitali. Il libro è stato scritto da Carlo Mazzucchelli e Anna Maria Palma e pubblicato da Delos Digital. Il testo ha avuto anche una edizione speciale, dono di Anna Maria Palma al sottoscritto in Edizioni Tassinari con una dedica omaggio: "Terreni virtuali per una gentilezza ovunque, anche nel virtuale".

StultiferaBiblio

Pubblicato il 28 febbraio 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

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