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Nel 1973, quando il mondo ancora credeva ciecamente nel progresso tecnologico come panacea universale, un ex-sacerdote di origine austriaca pubblicava un libro che oggi suona come una profezia inquietante. Ivan Illich, nato nel 1926 e figura controversa che rinunciò ai titoli ecclesiastici senza mai diventare completamente laico, ci consegnava con "La convivialità. Una proposta libertaria per una politica di limiti allo sviluppo" una chiave di lettura del nostro presente che fa tremare le certezze.


L'equilibrio perduto: quando lo strumento divora l'uomo

Illich introduce un concetto rivoluzionario, ovvero l'equilibrio multidimensionale della vita umana, e ogni sua dimensione corrisponde a una scala naturale specifica. Ma quando un'attività umana, mediata dagli strumenti, supera una soglia critica definita dalla sua scala naturale, accade qualcosa di drammatico: l'attività si rivolge contro il proprio scopo originario e minaccia di distruggere l'intero corpo sociale.

La società avanzata della produzione di massa, quella che oggi chiamiamo tardo-capitalismo, sta generando la propria autodistruzione

La società avanzata della produzione di massa, quella che oggi chiamiamo tardo-capitalismo, sta generando la propria autodistruzione: la natura viene predata, l'uomo sradicato e castrato nella sua creatività, rinchiuso in una sorta di capsula individuale. Il monopolio del modo di produzione industriale riduce gli esseri umani a materia prima da lavorare mediante strumenti sempre più sofisticati. E nulla delle trasformazioni distruttive che stiamo compiendo ha intrinsecamente uno scopo sociale autentico, non il degrado degli ecosistemi naturali, né la distruzione dei legami sociali, men che meno la perdita di senso dell’essere umano. Sembra di leggere in un parallelo inquietante la diagnosi che Félix Guattari offrirà vent'anni dopo con la sua ecosofia tridimensionale: l'interconnessione inscindibile tra crisi ambientale, crisi sociale e crisi soggettiva. Quello che Illich intuiva come distruzione dell'equilibrio multidimensionale, Guattari lo sistematizzerà come collasso simultaneo di tre ecologie: quella naturale (l'ambiente), quella sociale (i rapporti umani) e quella mentale (la soggettività). La macchina capitalistica, per usare le sue parole, produce una soggettività serializzata che consuma, tanto quanto produce la devastazione ambientale e la frammentazione del tessuto sociale. Non si tratta di tre crisi separate, ma di un'unica catastrofe sistemica che richiede una rivoluzione altrettanto sistemica: quella conviviale che Illich aveva già prefigurato.

le crisi che stiamo vivendo non sono separabili, sono espressione di un'unica catastrofe sistemica che richiede una rivoluzione altrettanto sistemica: quella conviviale 

La società conviviale: un'utopia necessaria

Ma Illich non si limita alla critica, propone un'alternativa radicale, ovvero la società conviviale. Una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, non riservato a un corpo di specialisti che lo controlla. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni, immaginare il proprio avvenire, permettendo a ogni collettività di scegliersi continuamente la propria utopia possibile.

La convivialità è multiforme, non standardizzata. Oggi, osserva Illich con lucidità profetica, i nostri sogni sono standardizzati, la nostra immaginazione industrializzata, la nostra fantasia programmata. Non siamo più capaci di concepire altro che sistemi iper-attrezzati da abitudini sociali conformi alla logica della produzione di massa. Abbiamo perduto la capacità di sognare un mondo in cui ognuno possa essere ascoltato, nel quale ciascuno sia obbligato a limitare la creatività altrui, dove ognuno abbia il potere di modellare l'ambiente che a sua volta determina desideri e necessità.

La genealogia dell'alienazione: dalla creatività alla sottomissione totale

Per comprendere come siamo arrivati a questa catastrofe sistemica, Illich traccia una genealogia dell'alienazione attraverso quello che chiama i quattro livelli energetici dell'attività produttiva. È una discesa agli inferi della condizione umana moderna, dove ogni gradino ci allontana sempre più dalla possibilità di una relazione conviviale con i nostri strumenti.

Al primo livello troviamo ancora l'opera indipendente dell'artista, dell'artigiano, di colui che sceglie un fine al quale applica il mezzo - quello che i Greci chiamavano Ergon. Qui l'essere umano mantiene il controllo creativo del processo, decide tempi e modalità, imprime la sua soggettività nel risultato. È il livello della piena convivialità tra uomo e strumento, dove la tecnica amplifica le capacità umane senza asservirle.

Ma già al secondo livello qualcosa si incrina: emerge la fatica ripetuta del manovale, il ponos greco, imposta dalla necessità di sfruttare sistematicamente l'energia umana. L'uomo diventa fonte di energia controllata, perde l'autonomia sui ritmi e sulle finalità del suo lavoro. Il corpo umano viene disciplinato secondo logiche esterne, prefigurando quella che Foucault chiamerà "società disciplinare".

Il terzo livello segna una rottura antropologica decisiva: l'operaio diventa complementare alla macchina motorizzata. Non è più la macchina ad amplificare le capacità umane, ma l'essere umano che deve adattarsi al ritmo e alle esigenze della macchina. È l'inversione della relazione conviviale: lo strumento domina il suo utilizzatore, lo plasma secondo le sue necessità funzionali.

Il quarto livello rappresenta l'alienazione completa: lo stile dell'impiegato, del funzionario, del burocrate che produce simboli all'interno della megamacchina produttiva. Qui non si produce più nemmeno oggetti concreti, ma si alimenta il sistema simbolico che sostiene la macchina sociale. Si produce per la macchina che produce, in un circolo autoreferenziale che ha perduto ogni connessione con i bisogni umani autentici.

L'aggressione sistemica ai diritti fondamentali dell'essere umano

Ma Illich non si limita a descrivere questa genealogia dell'alienazione, identifica con precisione chirurgica cinque modi in cui lo sviluppo industriale avanzato minaccia i diritti più fondamentali dell'essere umano, in una diagnosi che oggi appare di una attualità sconvolgente.

La super-crescita economica e demografica minaccia il diritto dell'uomo a conservare le sue radici nell'ambiente con il quale si è co-evoluto per millenni. È la crisi ecologica globale che stiamo vivendo: l'essere umano viene sradicato dall'ecosistema che lo ha plasmato, costretto a vivere in ambienti artificiali che non riconosce e che non lo riconoscono. La perdita di questo radicamento genera quella che potremmo chiamare una "nostalgia ontologica", un malessere profondo che nessuna tecnologia può colmare.

L'industrializzazione pervasiva minaccia il diritto all'autonomia nell'azione, quella capacità di agire secondo i propri ritmi e le proprie intenzioni che definisce l'essere umano come soggetto libero. Ogni azione viene mediata da sistemi tecnici sempre più complessi che decidono al posto nostro: dagli algoritmi che scelgono cosa leggere agli assistenti virtuali che organizzano la nostra giornata. L'autonomia si trasforma in illusione di scelta tra opzioni predeterminate.

La super-programmazione dell'uomo in funzione del nuovo ambiente tecnologico minaccia la sua intenzionalità, cioè la capacità di progettare il proprio futuro secondo desideri autentici. Quando ogni aspetto della vita viene ottimizzato secondo parametri algoritmici, quando ogni comportamento viene profilato e previsto, l'essere umano perde la possibilità di sorprendere se stesso, di inventare percorsi inediti, di essere genuinamente creativo.

La centralizzazione dei processi produttivi e decisionali minaccia il diritto alla parola politica, la possibilità di partecipare realmente alle decisioni che riguardano la propria esistenza. È quello che Illich chiama il diritto alla politica in senso pieno: non il voto periodico in un sistema rappresentativo burocratizzato, ma la partecipazione diretta alla costruzione del mondo comune.

Infine, il rafforzamento dei meccanismi di obsolescenza programmata minaccia il diritto dell'uomo alla propria tradizione, al suo ricorso al precedente attraverso il linguaggio, il mito, il rituale, il diritto. In una società dove tutto deve essere costantemente aggiornato, dove la disruption diventa valore supremo, si perde la possibilità di attingere alla saggezza sedimentata delle generazioni precedenti. L'essere umano viene privato della profondità temporale che lo costituisce come essere storico e culturale.

L'esperienza francese: quando la democrazia cerca nuove forme

La profezia di Illich trova un eco significativo nell'esperienza delle assemblee cittadine francesi per il clima del 2020. Nate dalla crisi dei gilet gialli e dalla pressione delle organizzazioni ambientaliste, queste assemblee rappresentano un tentativo concreto di recuperare quella dimensione conviviale della politica che Illich auspicava.

La Convention citoyenne pour le climat, composta da 150 cittadini selezionati a sorte, ha lavorato tra ottobre 2019 e giugno 2020 per elaborare proposte di riduzione delle emissioni di gas serra. Il processo, con le sue fasi di apprendimento, discussione e deliberazione, rappresenta un esperimento di democrazia partecipativa che cerca di superare la logica tecnocratica dominante.

Tuttavia, come Illich aveva previsto, il sistema ha mostrato i suoi limiti: molte delle 149 proposte elaborate sono rimaste vaghe, frammentarie, e solo una parte è stata effettivamente tradotta nella legge sul clima del 2021. L'esperienza dimostra tanto il potenziale quanto i limiti di questi tentativi di rinnovamento democratico in un sistema ancora dominato dalla logica industriale.

L'Intelligenza Artificiale: la nuova frontiera dell'alienazione

Oggi, mentre scriviamo queste righe, ci troviamo di fronte a una nuova soglia critica: l'intelligenza artificiale. L'AI che ha lo scopo dichiarato di creare macchine in grado di apprendere, ragionare e risolvere problemi in modo autonomo, simile a come lo farebbe un essere umano, ma con una efficienza, velocità e capacità di gestione dati che nessun umano può eguagliare, compie ciò che Illich aveva previsto: la perdita di fiducia nelle capacità umane. Assistiamo a una difesa ad oltranza, quasi disperata, delle capacità umane nelle affermazioni "l'AI non è creativa", "non è in grado di leggere il contesto sociale", "simula i sentimenti ma non sa cosa è l'empatia". Tutte caratteristiche che, si ripete ossessivamente, hanno gli esseri umani e che mai avrà l'AI.

Ma questa difesa rivela proprio la paura profonda che Illich aveva intuito: la perdita di fiducia nell'essere umano di fronte allo strumento che si autonomizza. Come osserva Luciano Floridi nel suo Etica dell'intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide. (Raffaele Cortina Ed. 2022) , l'AI costituisce “un divorzio senza precedenti tra l'intelligenza e la capacità di agire”. Ma questo divorzio non è forse l'ultima tappa di quel processo di alienazione che Illich aveva già descritto nel 1973?

L'AI generativa rappresenta l'ultima frontiera della società iper-industrializzata: uno strumento che non solo sostituisce il lavoro fisico, ma pretende di sostituire anche quello intellettuale e creativo. È forse il culmine di quel processo per cui, come scriveva Illich, "l'uomo-macchina non conosce la gioia che è a portata di mano, in una povertà voluta; ignora la sobria ebrezza della vita."

Il monopolio della conoscenza nell'Era Digitale

Illich aveva scritto con straordinaria lucidità:

“Il mondo non è portatore di nessun messaggio, di nessuna informazione. È quello che è. Ogni messaggio concernente il mondo è prodotto da un organismo vivente che agisce su di esso. Quando si parla di informazioni accumulate al di fuori dell'organismo umano, si cade in una trappola semantica. I libri e i calcolatori fanno parte del mondo: forniscono dati quando c'è un occhio che li legga.”

Oggi questa trappola semantica è diventata una gabbia totale. Confondiamo il medium con il messaggio, il veicolo con l'informazione, i dati con la decisione. Releghiamo il problema del sapere e della conoscenza nel punto cieco della nostra visione intellettuale. Gli algoritmi di AI non "sanno" nulla: elaborano pattern statistici su quantità immense di dati testuali. Ma noi trattiamo i loro output come se fossero conoscenza vera.

Intossicati dalla credenza di un avvenire migliore mediato dalla tecnologia, gli individui cessano di fidarsi del proprio giudizio e chiedono che gli si dica la verità su quello che "sanno". Intossicati dalla credenza che un miglior decision making algoritmico sia sempre superiore, stentano a decidere da soli e ben presto perdono fiducia nella propria capacità di farlo.

Il diritto inalienabile alla soglia

"L'esperto non potrà mai dire dove si colloca la soglia della tolleranza umana", scriveva Illich con una chiarezza che oggi dovremmo scolpire nel marmo di ogni parlamento e di ogni consiglio di amministrazione di Big Tech. E aggiungeva: "è la persona che la determina nella comunità e questo suo diritto è inalienabile."

Neanche le AI generative potranno mai determinare questa soglia. È un diritto che appartiene all'essere umano in quanto essere sociale, politico, capace di esperienza diretta del mondo. Ma questo diritto viene sistematicamente espropriato da quella che Illich chiamava "l'industrializzazione dei valori".

Il consumatore-utente integrale, l'uomo pienamente industrializzato di oggi, non ha altri beni di suo se non ciò che consuma attraverso le piattaforme digitali. Dice: la mia educazione online, i miei spostamenti geolocalizzati, i miei divertimenti in streaming, la mia salute monitorata dai device. Man mano che l'ambito del suo fare si restringe, egli richiede prodotti di cui si dice proprietario ma che in realtà lo possiedono. Assoggettato al monopolio di un unico modo di produzione digitale, l'utente ha perduto ogni senso della pluralità dei modi di avere e di essere.

La profezia del Grande Fratello tecnocratico

Ma la visione più inquietante di Illich riguarda il futuro che oggi stiamo vivendo. Nel 1973 scriveva:

"Può darsi che gli uomini, terrorizzati dall'evidente sovrappopolazione, dall'assottigliarsi delle risorse e dall'organizzazione insensata della vita quotidiana, rimetteranno spontaneamente i loro destini nelle mani di un grande fratello e ai suoi anonimi agenti."

I tecnocrati, proseguiva Illich, saranno incaricati di condurre il gregge sull'orlo dell'abisso, cioè di fissare dei limiti pluridimensionali allo sviluppo, immediatamente al di qua della soglia dell'autodistruzione. Una fantasia suicida che manterrebbe il sistema industriale al più alto grado di produttività sostenibile.

L'uomo vivrebbe in una bolla protettiva che l'obbligherebbe a sopravvivere come un condannato a morte in attesa di esecuzione. La scienza e la tecnica si applicherebbero ad attrezzare opportunamente la sua psiche: l'umanità sarebbe confinata dalla nascita nella scuola permanente estesa su scala mondiale, sottoposta a vita al trattamento del grande ospedale planetario, collegata notte e giorno a implacabili catene di comunicazione.

È forse questo il mondo che stiamo costruendo? Un mondo di sorveglianza ubiqua, di educazione permanente attraverso algoritmi, di medicalizzazione totale dell'esistenza, di connessione costante e vincolante alle reti digitali?

La scelta radicale: convivialità o barbarie tecnologica

Illich concludeva il suo libro con una provocazione che oggi suona come un ultimatum della storia:

“L'avvento del fascismo tecno-burocratico non è scritto negli annali però. Esiste ancora la possibilità di un processo che permetta alla popolazione di stabilire il massimo che ciascuno può esigere in un mondo dalle risorse manifestamente limitate; un processo che porti a concordare entro quali limiti va tenuta la crescita degli strumenti; un processo che incoraggi la ricerca radicale intesa a far sì che un numero crescente di persone possa fare sempre di più con sempre meno.”

Ma questa possibilità richiede una scelta radicale, un salto di paradigma che la nostra società tecno-industriale sembra incapace di compiere. Richiede di riconoscere che l'unica soluzione alla crisi ecologica, sociale e antropologica è che gli uomini capiscano che sarebbero felici se potessero lavorare insieme e prendersi cura l'uno dell'altro.

Richiede di recuperare quella capacità innata dell'essere umano di curare, confortare, spostarsi, apprendere, costruirsi una casa, seppellire i propri morti. Capacità che oggi sono state espropriate dai professionisti o, in alternativa, il loro esercizio non si definisce culturalmente come lavoro. Questa è l'industrializzazione dei valori che rende ostile l'ambiente all'iniziativa autonoma e mette la gente in uno stato di dipendenza forzosa.

L'urgenza di una rivoluzione conviviale

Per spezzare questa catena di dipendenza, la maggioranza deve rendersi conto che il pericolo non è solo la fine del suo stile di vita, ma la fine del suo mondo. Non si tratta più di conservare privilegi o comfort, ma di preservare l'umano nell'uomo.

La ricostruzione conviviale non suppone la soppressione di qualunque produzione industriale, ma lo smantellamento dell'attuale monopolio dell'industria. Implica che sia ridotta la polarizzazione sociale dovuta allo strumento, affinché nella forza produttiva coesista una pluralità dinamica di strutture complementari e quindi una pluralità di ambienti ed élite.

È tempo di cominciare a cercare all'interno di quali confini determinate collettività di persone possano servirsi della tecnica per soddisfare i loro bisogni senza recare pregiudizio agli altri. È tempo di riscoprire che la tecnologia deve servire l'uomo, non il contrario.

Il grido di Illich: un monito per il nostro tempo

Nel 1973, Ivan Illich lanciava il suo grido di allarme contro una società che stava perdendo l'anima nel labirinto della tecnocrazia. Cinquant'anni dopo, quel grido risuona con una forza profetica che fa paura. Siamo ancora in tempo per scegliere la convivialità contro la barbarie tecnologica? O siamo destinati a diventare gli schiavi consapevoli delle nostre creazioni digitali?

La risposta non sta nelle mani degli esperti, degli algoritmi o dei tecnocrati. Sta nelle nostre mani, in quelle di ogni essere umano che ancora crede che valga la pena di essere umani. Ma il tempo stringe, e la finestra di possibilità si sta chiudendo. Illich ci ha avvertiti: o scegliamo la convivialità, o la tecnocrazia sceglierà per noi.


Pubblicato il 03 agosto 2025

Susanna Di Vincenzo

Susanna Di Vincenzo / CEO and CO-Founder at @17tons.earth

susanna.divincenzo@gmail.com