Thomas Mann
Thomas Mann nasce a Lubecca nel 1875 nel seno di una ricca e colta famiglia di commercianti. La vocazione letteraria è precoce: a venticinque anni pubblica I Buddenbrook, grande romanzo di settecento pagine che parte dalla autobiografia per affrontare il tema che resterà al centro di tutta la vastissima produzione successiva (saggi, racconti: Tonio Kröger, 1903, Morte a Venezia, 1912; i grandi e complessi romanzi dell'età matura: La montagna incantata, 1924, Giovanni e i suoi fratelli, 1934-1943, Doktor Faustus, 1947). Il tema: l'eredità della cultura borghese e liberale, i suoi valori perenni, áncora e bussola di fronte ai grandi problemi contemporanei.
Combattuto, ma coerente, Mann osserverà "il disfacimento presente", il "completo sovvertimento dei valori morali" con gli occhi di chi "aveva appartenuto ancora all'ultimo quarti del secolo XIX -un grande secolo". Morirà nel 1955 dopo avere descritto con la sua prosa severa e controllata, sempre critica e autocritica, di grande rigore, ma anche segnata dal senso della decadenza e della morte incombente, la fine del secondo impero francese, l'egemonia continentale della Germania sotto Bismark, la floridezza dell'impero britannico sotto Vittoria, la catastrofe del 1914, l'entrata dell'America in guerra, la caduta dell'impero germanico, la rivoluzione sovietica, Hitler e Stalin, il New Deal roosveltiano, la guerra vinta e la pace perduta un'altra volta.
Di tutto questo ci parla con il suo stile classicheggiante, citando Schopenhauer, Nietzsche, seguendo la lezione di Weber e di Freud, di Adorno, riproducendo attraverso la parola la musica di Beethoven, di Wagner, di Schönberg. Tutta la grande cultura tedesca riecheggia nelle sue pagine: il suo non nascosto modello è Goethe, genio interdisciplinare, capace di abbracciare in un solo sguardo lo spirito dell'epoca.
Lubecca, libera città anseatica: il porto sul Baltico, la foce del Trave, odore di burro, di pesce, di catrame e di ferraglia unta; navi, chiatte, magazzini lungo il fiume, montagne di avena e di grano, grida dei facchini che issano i sacchi, vie selciate, strette, case a pinnacoli, e sui frontoni gli stemmi delle famiglie cospicue; macellai in grembiule bianco con le conche di carne, lattaie che arrivavano dalla campagna coi loro carretti ed i bidoni di zinco, maestri orafi barbuti nelle piccole botteghe di legno incastrate sotto gli archi della piazza del mercato, venditrici di pesce, di frutta e di verdure. E gli scritturali nei piccoli uffici grigi al pianterreno.
Da questo mondo di decoro borghese, impegno civile, etica protestante, ditte che passano di padre in figlio, traggono origine l'immaginario, la vocazione letteraria e tutta l'opera dei fratelli Heinrich e Thomas Mann, e anche di Klaus e Golo, figli di Thomas.
Se la famiglia Mann fosse stata una famiglia borghese come le altre, certo il figlio maggiore Heinrich, e forse anche il secondogenito Thomas, si sarebbero dedicati al commercio di granaglie nella ditta di famiglia. Ma era, appunto, una famiglia non conformista. Già il padre si era disamorato dell'attività economica, e dedicava la maggior parte del suo tempo ad incombenze poilitico-amministrative (era, come nel romanzo Thomas Buddenbrook, membro del Senato della città-stato). Era rispettatissimo membro della borghesia di quell'"emporio di media grandezza", ma anche un po' eccentrico. Infatti, come scriverà Klaus pochi anni prima di togliersi la vita (nella Svolta, 1952, postumo) "un patrizio di Lubecca, interamente comme il faut, si cerca la sua compagna fra le signorine della sua città, e non sceglie, come fece il senatore, una figlia del lontano Brasile". Mio padre -fa dire Thomas Mann a Tonio Kröger- "aveva un carattere nordico: contemplativo, profondo, corretto per puritanesimo e tendente alla malinconia. Mia madre era di sangue esotico indefinito, bella, sensuale, ingenua, negligente, al tempo stesso passionale, e d'una trascuratezza impulsiva. Senza dubbio, era una mescolanza, questa, piena di possibilità straordinarie... e pericoli straordinari. Ed eccone il risultato: un borghese che s'è smarrito nell'arte. (...) In quanto è proprio la mia coscienza borghese che mi fa scorgere, in tutta la vocazione artistica, in tutta la straordinarietà e in tutto l'ingegno, qualcosa di profondamente ambiguo, profondamente malfamato, profondamente dubbioso. (...) Io sto tra due mondi, in nessuno sono di casa."
Quando il senatore, ancora giovane, muore, e la ditta viene liquidata, Thomas ha sedici anni. Diventerà adulto dieci anni dopo con I Buddenbrook. Raccontando le vicende di questa immaginaria casata rende onore alla propria famiglia, ma allo stesso tempo ne prende le distanze. La famiglia l'aveva lasciato nell'ambiguità: professione borghese o vocazione artistica? Commercio o poesia? Thomas si salva scegliendo decisamente una via, quella della scrittura, e attribuendo a un personaggio -Thomas Buddenbrook- le lacerazioni che l'avevano fatto soffrire.
Formazione
Thomas che, fin dalla nascita, era destinato a diventare commerciante e futuro proprietario della ditta e che frequentava la sezione tecnica della vecchia scuola dalle volte gotiche, era un ragazzo posato, intelligente e attivo. (p. 65, parte seconda, cap. III)
I suoi gesti, il modo di parlare e di ridere, che metteva in mostra i denti un po' guasti, erano pacati e intelligenti. Egli intendeva dedicarsi alla professione con zelo e serietà. (p. 74, parte seconda, cap. V)
Il libro che raccoglieva le memorie della famiglia riportava "in grosse lettere gotiche accuratamente miniate e incorniciate" questa sentenza: 'Figlio mio, dedicati con ardore agli affari durante il giorno, ma combina soltanto quelli che ti consentano di dormire tranquillamente di notte'. All'origine dell'etica degli affari c'è la sacralità di una tradizione. L'orientamento verso l'agire economico viene tramandato dagli antenati.
Iniziazione
Fu un giorno straordinariamente solenne quello in cui il console, dopo la prima colazione, scese con lui negli uffici per peresentarlo al signor Marcus, il procuratore, al signor Havermann, il cassiere, e al resto del personale col quale era già in buona amicizia; quando per la prima volta si trovò seduto sullo sgabello girevole davanti alla scrivania intento a timbrare, ordinare, copiare, e quando suo padre nel pomeriggio lo condusse giù al Trave, nei magazzini del "Tiglio", del "Rovere", del "Leone" e della "Balena"; Thomas vi conosceva già da tempo ogni angolo, ma ora fu presentato come collaboratore. (p. 74-75, parte seconda, cap. V)
Slancio vitale
Il desiderio di agire, di vincere, di essere potente, la smania di afferrare la fortuna per i capelli illuminò i suoi occhi di un baleno rapido e violento. Egli si sentiva addosso gli occhi di tutto il mondo che era in attesa per constatare se avrebbe saputo aumentare il prestigio della ditta e della vecchia famiglia, o almeno conservarlo. Alla Borsa incontrava spesso le occhiate indagatrici di vecchi uomini d'affari gioviali, scettici e un po' ironici, che sembravano chiedere: "Sarai poi capace di spuntarla, figlio mio?". Ed egli pensava: "La spunterò!...". (p. 253, parte quinta, cap. I)
Carisma
Ben presto si vide che da quando Thomas Buddenbrook aveva preso il mano le redini, nell'azienda spirava un'aria più geniale, più fresca e più intraprendente. Ogni tanto si arrischiava qualche cosa, ogni tanto il credito della casa, che sotto il precedente regime era stato soltanto un concetto, una teoria, un lusso, veniva forzato e sfruttato con conoscenza di causa... I frequentatori della Borsa si strizzavano l'occhio. - Buddenbrook ha la stoffa per far quattrini, - dicevano. (...) Era lui a trattare col personale della casa, coi capitani, coi sorveglianti dei magazzini, coi carrettieri e coi facchini. Egli sapeva parlare spontaneamente il loro linguaggio, pur tenendosi a una distanza inavvicinabile. (p. 263, parte quinta, cap. III)
Thomas è accorto, gentile, garbato, dignitoso, austero. Tutti riconoscevano con invidia o con piacere la sua bravura e la sua abilità": con i dipendenti, con i clienti e con i fornitori, con le persone più anziane, riesce a stabilire rapporti sempre adeguati: ". E sempre mantenendo "tutto il potere nelle sue mani".
Diversità
Egli aveva abbastanza spirito per collocare in cima a tutte le verità il fatto che ogni attività umana ha solo un significato simbolico (...) Grazie ai suoi viaggi, alle sue nozioni, ai suoi interessi Thomas Buddenbrook era nell'ambiente il cervello meno borghese e limitato e certo il primo a sentire le strettoie e la meschinità delle condizioni nelle quali viveva. (p. 352, parte sesta, cap. VII)
Ciò che lo distingueva era il livello insolito, persino tra i concittadini eruditi, di cultura formale che, quando si manifestava, suscitava altrettanto stupore quanto rispetto. (p. 397, parte settima, cap. III)
Thomas "discorrendo di cose molto pratiche", cita Heine. Ha una moglie musicista. Il superiore livello culturale è fonte del suo successo: fa di Thomas un imprenditore migliore dei suoi concorrenti. Ma allo stesso tempo rende più difficile il mantenersi nei confini del ruolo: la cultura più vasta, l'intelligenza più duttile si traducono in macerazioni, in dubbi; e questo è un peso che grava sulle spalle del solo Thomas, un costo aggiuntivo che i suoi concorrenti non devono pagare.
La diversità è un vantaggio/svantaggio: remunera fin quando si riesce a mantenerla tra le righe. Quando invece si manifesta nella sua dolorosa pienezza diventa un peso in più, un rischio mortale. (Dal punto di vista della morale borghese l'arte è un difetto, se non addirittura una maledizione: distrae dagli affari).
Carattere
Anch'io (Thomas parla alla sorella Tony, l'argomento è l'atteggiamento del fratello Christian, ndr) ho riflettuto su questa angosciosa, vanitosa, curiosa preoccupazione di sé, perché una volta avevo anch'io questa inclinazione. Ma mi sono accorto che rende distratti, inetti al lavoro, senza spina dorsale... E questa spina dorsale, cioè l'equilibrio, è quello che più conta per me. (...)
Ci saranno sempre uomini che hanno il diritto di occuparsi di se stessi, di osservare minutamente in propri sentimenti, cioè i poeti, i quali sanno esprimere con bellezza e sicurezza la loro vita interiore privilegiata, e possono arricchire così il mondo sentimentale degli altri. Ma noi, cara mia, siamo semplici commercianti, le nostre osservazioni personali contano ben poco. (...) Sarebbe meglio, perdio, metterci a lavorare e rendere come hanno reso i nostri predecessori... (p. 260-261, parte quinta, cap. II,)
(Il fratello Christian attacca Thomas, ndr) - Tu ti sei conquistato un posto nella vita, una posizione onorata, e di lì respingi consapevole e freddo tutto ciò che potrebbe farti deviare un istante e turbare il tuo equilibrio, poiché l'equilibrio è per te la cosa più importante.(...) Come sono stufo di tutto ciò, del tatto, della finezza, dell'equilibrio e della dignità e austerità... (p. 551-552, parte nona, cap. II)
L'accanimento nel sostenere l'importanza di questa 'spina dorsale' ha motivi profondi: Thomas sa che solo con la forza del carattere può tenere a bada le pulsioni, indirizzare le energie e la creatività verso mete lavorative, consone al ruolo.
Lo spirito acquisitivo mercantile e imprenditoriale
Thomas Buddenbrook era un uomo d'affari o un ponzatore scrupoloso? (Thomas lo chiede a se stesso, ndr) Certo, questo era il problema: era sempre stato il suo problema, da quando aveva incominciato a pensare! La vita era dura e la vita negli affari era, con la sua mancanza di riguardi e di sentimentalismi, una copia della vita in grande. E Thomas era forse piantato saldamente con le due gambe, come il suoi padri, in quella vita dura e pratica? Troppo spesso aveva avuto motivo di dubitarne! Troppo spesso, fin dalla giovinezza, aveva dovuto correggere i suoi sentimenti di fronte a quella vita... Usare durezza, incontrare durezza e non sentirla come tale, ma come cosa ovvia e naturale... Non doveva forse impararlo mai? (...)
Rammentava l'impressione che gli aveva fatto la catastrofe del '66. (...) Per la prima volta (...) aveva dovuto sentire, in tutta la sua estensione e sulla propria pelle, la crudele brutalità degli affari dove tutti i sentimenti buoni, dolci e gentili si ritirano davanti all'istinto rozzo, nudo e imperioso della conservazione e dove una sventura subita non suscita negli amici, negli amici migliori della pietà, bensì la diffidenza, la fredda, ostile diffidenza. Ma lui non l'aveva saputo? Era portato a stupirsene? Quante volte più tardi, nelle ore migliori e di maggior energia, si era vergognato di essersi indignato in quelle notti insonni, di essersi ribellato, inguaribilmente ferito e schifato, contro la durezza perversa e spudorata della vita!
Com'era stato sciocco! Com'erano stati ridicoli quei moti dell'animo! -com'era possibile che sorgessero in lui? Infatti, ripetendo la domanda, era un uomo pratico o uno svenevole sognatore?
(...) Ma era troppo perspicace per non ammettere che in realtà egli era un misto dei due aspetti. (p. 454-455, parte ottava, cap. IV)
Per i commercianti di Lubecca, "semplici borghesi onesti e limitati", la "crudele brutalità degli affari" è un dato di realtà ovvio e indiscutibile. Adattarvisi non comporta fatica né turbamenti. Per Thomas la durezza è invece frutto di apprendimento, di applicazione, di disciplina.
Profezie che si autoavverano
- Che dici Tom? (Thomas conversa con la sorella, ndr) Ma spiegami: ier l'altro, giovedì, perché sei stato così taciturno tutto il pomeriggio? Si può sapere?
- Oh, che vuoi? Affari mia cara. Ho dovuto vendere una partita di segale non molto piccola, non molto vantaggiosamente... o diciamo con franchezza: una grossa partita tutt'altro che vantaggiosamente...
- Via, Tom, son cose che capitano. Oggi ti tocca così e domani recuperi tutto. Non è il caso di guastarsi subito il buonumore.
- Sbagliato, Tony, - disse scuotendo il capo. - Il mio buonumore non è sotto zero perché ho avuto una perdita, ma viceversa. Di questo sono convinto: dunque è esatto. (...)
Ho l'impressione che qualche cosa incominci a sfuggirmi, che non mi riesca di tenere in pugno questa cosa indeterminata come a suo tempo... Che cosa è successo? Una forza segreta indescrivibile, il senso di essere guardingo e pronto, la coscienza di esercitare una pressione sui moti della vita intorno a me con la mia sola esistenza, la fede nella docilità della vita in mio favore... Il successo e la fortuna sono in noi. Noi dobbiamo tenerli: saldi, profondamente. Appena qua dentro qualche cosa incomincia a cedere, a stancarsi, a perder forza, tutti intorno a noi si sentono liberi, si ribellano, recalcitrano, si sottraggono al nostro influsso. Allora un guaio viene dopo l'altro, batoste su batoste, e si è liquidati. (p. 414-416, parte settima, cap. V)
Se prima aggrediva il futuro, ora Thomas vede di fronte a se "un lavoro infinito", ma privo di prospettive di successo. Ora tutto gli risulta faticoso e privo di interesse. Si sente vuoto di energie, sfiduciato e diffidente. Ha perduto il paradiso "dell'immediatezza e della normalità". Ha perduto quel tocco felice, quella leggerezza che si possiede solo quando si gode di una sintonia profonda con le proprie emozioni. Sintonia che si traduce anche in capacità decisionale, in istinto vincente.
Mann, più vicino a Weber che a Marx, ci insegna a cercare le radici dei comportamenti nelle 'verità interiori' prima che 'fatti esterni'.
Fisiognomica
Come si trasformava il suo viso, quand'era solo, fino a diventare quasi irriconoscibile! I muscoli della bocca e delle guance, che di solito erano disciplinati e costretti all'obbedienza e al servizio d'un incessante sforzo di volontà, si allentavano, si afflosciavano; come una maschera la sua espressione conservata artificialmente, espressione di energia e di gentilezza, di intelligenza aperta e guardinga, cadeva da quel viso lasciando i segni di una stanchezza tormentosa (...) (p. 451, parte ottava, cap. IV)
Thomas è abituato da sempre a fare violenza su se stesso per stamparsi sul volto l'immagine del decoro, della affabilità, dell'autorevolezza. Ma la fatica si accumula. Recitare la parte diventa ogni volta più difficile.
Stallo
Lo slancio della fantasia, il vivace idealismo della sua giovinezza erano finiti. Lavorare nel gioco e giocare col lavoro, tendere con ambizione tra seria e ironica a mete cui si riconosce soltanto un valore di paragone: per siffatti compromessi scettico-sereni e per tali ambiguità intelligenti ci vogliono molta freschezza e senso umoristico: Thomas invece si sentiva ineffabilmente stanco e svogliato. (p. 581, parte decima, cap. I)
Thomas aveva tentato di restare fedele al suo modo di essere, aveva cercato di piegare i vincoli del lavoro al suo desiderio di piacere e di gioco. Ma gli sono mancate le forze necessarie per resistere alla pressione dell'ambiente.
Rassegnazione
Quel che aveva potuto raggiungere lo aveva raggiunto e sapeva bene che da parecchio aveva superato il vertice della vita seppure, soggiungeva tra sé, di vertice si poteva parlare in una vita così mediocre. (p. 581, parte decima, cap. I)
Egli si sentiva vuoto nell'anima e non vedeva più progetti allettanti e lavori avvincenti ai quali dedicarsi con gioia e soddisfazione (p. 583, parte decima, cap. I)
Thomas si era sforzato invano di essere un vero borghese, un moralista del rendimento, e si ritrova invece ad essere un campione del nietzchiano eroismo della debolezza. La troppa finezza gli ha impedito di competere fino in fondo sul mercato; la tradizione di famiglia gli ha impedito di scegliersi un'altra professione. E' rimasto in bilico tra vocazione e abbandono, tra immediatezza poetica e consapevolezza filosofica, tra Kultur -civiltà spirituale- e Zivilisation -tensione al progresso materiale.
Della morte e del suo rapporto con l'indistruttibilità del nostro essere in sé
Thomas Buddenbrook infatti, a quarantotto anni, pensava già che i suoi giorni fossero contati e prevedeva la morte vicina. 20(p. 617, cap. V parte decima)
"Morirò", diceva tra sé, e allora chiamava il figliolo e lo esortava: - Posso andarmene, figlio mio, più presto di quel che pensi. E allora devi essere al tuo posto. Anch'io vi sono stato chiamato presto... Io voglio sapere se sei deciso con gioia e con coraggio... Credi di aver denaro abbastanza e non aver bisogno di lavorare? Se vorrai vivere, e viver bene, dovrai lavorare, lavorare duramente, più duramente di me... (p. 618, parte decima, cap. V)
Devi pensare a diventare un bravo commerciante e a far quattrini. Lo farai? - E Johann rispondeva: -Sì.(p. 597, parte decima, cap. II)
Ma anche Hanno morirà, poco dopo il padre. Morirà, nella minuziosa cronologia del romanzo, nel 1876, un anno dopo la nascita di Thomas Mann. Un modo di segnare un legame e anche una differenza: l'autore ha saputo elaborare il proprio passato -e ha saputo scegliere per sé quel ruolo di intellettuale che nella finzione del romanzo ha negato, in nome del senso del dovere, a Thomas Buddenbrook.
La fine
I due fanti si disposero di fronte, batterono i tacchi, irrigidirono il collo, gonfiarono il torace e presentarono l'arme con scatti precisi. In mezzo a loro passò piuttosto in fretta, togliendosi il cilindro, un signore di media statura che teneva un po' inarcato uno dei sopraccigli biondi e aveva le guance bianche dalle quali sporgevano i lunghi baffi a punta. Il senatore Thomas Buddenbrook lasciava il municipio molto tempo prima che fosse terminata la seduta. (...) Fece mezzo giro su se stesso e andò a sbattere con le braccia aperte sul lastrico bagnato. (...) Era caduto col viso in giù, e lì sotto incominciò subito ad allagarsi una pozza di sangue. Il cappello era ruzzolato un tratto per strada. La pelliccia era tutta inzaccherata di fango e acqua di neve. Le mani, nei guanti di pelle bianca, giacevano in una pozzanghera.
Così stette e così rimase finché alcune persone accorsero e lo rivoltarono. (p. 643 parte decima, cap. VII)
E lento, lento, lungo, triste e solenne il corteo funebre di Thomas Buddenbrook si avviò, mentre alle finestre il vento faceva schioccare le bandiere a mezz'asta. Gli impiegati e chi scaricatori di grano seguivano a piedi. (p. 655, parte decima, cap. IX)
Giunge il momento in cui il peso della maschera che il manager è costretto a indossare è eccessivo, non è più bilanciato dal successo della recita. Stare nel ruolo, accettare le regole del gioco diviene troppo faticoso, ed è allora che l'equilibrio si spezza, la volontà cede, le motivazioni vengono meno, il corpo si ammala, e il declino fisico porta con sé la rovina economica.
Thomas Buddenbrook, che era stato fanatico del decoro, dell'aspetto irreprensibile, cade nel fango. Così la sua vicenda personale ci appare come un monito: ecco i doveri della classe dirigente. Ed ecco i rischi a cui si va incontro pretendendo troppo da se stessi.
Riferimenti bibliografici:
I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia, trad. di Ervino Pocar, Milano, 1930 e Milano, Mondadori, 1950 (ora Oscar Mondadori); trad. di Anita Rho, Torino, Einaudi, 1952.
Edizione originale: Buddenbrooks. Verfall einer familie, Berlino, 1901. (Le citazioni sono riprese dalla classica traduzione di Pocar. I numeri di pagina rimandano all'edizione "I Nobel", Club degli Editori e Utet, 1964. Per facilitare la ricerca dei brani su edizioni diverse si sono aggiunti i riferimenti al capitolo)
Nota:
Questo testo è apparso sulla rivista Sviluppo & Organizzazione, Settembre-ottobre 1992, nella rubrica da me curata Il Principe di Condé. E poi nel libro Romanzi per i manager. La letteratura come risorsa strategica, Marsilio, 2000.