Definiamo innanzitutto l'umanesimo come una riflessione sull'essenza dell'umanità, caratterizzata dalla sua natura astratta e situata in un orizzonte di universalità. In secondo luogo, sulla base di questa riflessione, l'umanesimo si occupa del benessere dell'umanità; vale a dire, ha un obiettivo normativo ed etico.
Karl Jaspers definì la metà del primo millennio a.C. "Età assiale", quel momento storico in cui Confucio in Cina, il Buddha in India, Zoroastro in Persia, i profeti ebrei in Israele e Socrate in Grecia fondarono, ciascuno a modo suo, grandi tradizioni umanistiche. Va notato che si è sempre trattato di una questione di studiosi, basata sull'uso dell'alfabeto o di un sistema di caratteri standardizzati, come in Cina. A quel tempo, catene di tradizioni orali cominciavano a essere trascritte; i testi manoscritti, riscritti a ogni copia, erano fluidi, frammentati in molteplici versioni. Quanto ai veri autori, anonimi e numerosi, spesso si nascondevano dietro l'autorità di grandi antenati mitici.
La Bibbia e la letteratura greco-romana sono le due grandi radici dell'umanesimo occidentale. Tralascerò la Bibbia, di cui non oso parlare davanti ai fratelli Maristi che ne sanno più di me sull'argomento, e mi limiterò a discutere dell'umanesimo greco-romano. La paideia greca e l'humanitas romana (che ne è la traduzione) poggiano su tre pilastri principali: la letteratura, l'apertura mentale e il senso della dignità umana.
La letteratura qui comprende la padronanza della lingua e della scrittura (grammatica), la scienza del ragionamento e del dialogo conflittuale (dialettica) e, infine, l'arte della persuasione, essenziale in questa cultura di oratori politici e giuristi (retorica). L'enciclopedia accademica presupponeva la conoscenza delle scienze del tempo e, soprattutto, un'immersione della mente nel corpus degli autori classici: poeti, drammaturghi e filosofi.
Questa apertura mentale si manifesta nella famosa massima tratta da un'opera teatrale di Terenzio (II secolo a.C.): "Nulla di ciò che è umano mi è estraneo". La frase stessa è ispirata a Menandro, un drammaturgo del periodo ellenistico.
Il terzo punto, che ancora oggi definisce il fondamento dell'atteggiamento morale umanista, è il primato della dignità umana. Si potrebbe sostenere che Romani e Greci, che praticavano la schiavitù, non fossero all'altezza dei propri principi. Forse. Ma bisogna ricordare che quasi tutte le società hanno praticato la schiavitù o la servitù della gleba, la cui abolizione risale solo al XIX secolo. Eppure, nonostante il loro status giuridico inferiore, gli schiavi potevano essere trattati "umanamente" o meno. Il drammaturgo Terenzio, che ho menzionato prima, e il filosofo stoico Epitteto nacquero schiavi e furono liberati da padroni che ammiravano il loro talento.
La storia delle tecnologie simboliche è intrecciata con quella dell'umanesimo. Durante il Rinascimento, la stampa, meccanizzando la riproduzione dei testi, rese facilmente disponibili copie e traduzioni. L'editoria divenne un'industria e la letteratura moderna fiorì. Ciò portò all'emergere dell'autore moderno, la fonte di un testo originale, che si sarebbe materializzato alla fine del XVIII e soprattutto nel XIX secolo con l'avvento del diritto d'autore.
Gli umanisti del Rinascimento curarono, corressero, tradussero e stamparono testi antichi appartenenti alla tradizione biblica e greco-latina. Emerse allora la critica testuale, ovvero la creazione di testi basati su copie divergenti. Gli studia humanitatis comprendevano lo studio dell'ebraico, del greco e del latino. Oltre alla competenza linguistica, il mestiere dell'umanista presuppone una conoscenza approfondita dei grandi testi della letteratura e della filosofia, una nuova sensibilità per la filologia, la storia e i contesti compositivi, che culminerà nel XIX secolo con la nascita dell'ermeneutica moderna.
La critica testuale conduce impercettibilmente al pensiero critico. Lutero diede inizio allo scisma all'interno del cristianesimo latino sfidando l'autorità della Chiesa, che trasferì alle Sacre Scritture, ora disponibili nelle lingue volgari: questo è il famoso slogan "Sola Scriptura" (Sola Scrittura). Figura di spicco tra gli intellettuali europei, Erasmo da Rotterdam si guadagnò da vivere grazie alla stampa, si destreggiò in una rete intellettuale transnazionale e non esitò a criticare la società e le élite del suo tempo (come nel suo celebre *Elogio della follia*). Attraverso la sua opera monumentale, si affermò come uno dei più importanti editori, filologi, traduttori, teologi e pedagoghi d'Europa. Di fronte all'ascesa dell'odio religioso (e a differenza del focoso Lutero), Erasmo si fece promotore di un pacifico umanesimo cristiano.
All'inizio del XIX secolo, un dibattito, esemplificato in particolare dal pedagogista Friedrich Niethammer, divise le menti in Germania. L'istruzione – sempre più rivolta all'intera popolazione – dovrebbe essere incentrata su materie "utili" di natura scientifica e tecnica, o piuttosto sullo sviluppo della mente, del gusto, del giudizio morale indipendente e della capacità di partecipare a una cultura condivisa attraverso lo studio dei testi antichi?
la cosiddetta educazione umanistica è sempre più riservata a una piccola minoranza di specialisti professionisti
La prima opzione, più immediatamente pratica, si chiama filantropia. La seconda, che enfatizza lo sviluppo personale o "Bildung", si chiama umanesimo. Nel mondo occidentale, questo dibattito si è protratto fino al XX secolo inoltrato, finché la cosiddetta educazione umanistica non fu più riservata a una piccola minoranza di specialisti professionisti e non costituì più il quadro educativo della maggioranza, e nemmeno delle élite.
Nella seconda metà del XIX secolo, lo storico Jacob Burckhardt ridefinì l'umanesimo (che considerava un prodotto del Rinascimento europeo) come un orientamento filosofico e pratico verso l'autonomia dello spirito umano, emancipandosi dal clan familiare, dalla classe sociale e dall'autorità della Chiesa, che soffocava la libertà individuale. Le idee di Burckhardt ebbero una profonda influenza su Nietzsche, egli stesso filologo di professione e profondamente sensibile alla natura storica dei modi di vivere e di pensare.
Frutto di un'evoluzione iniziata già nel Rinascimento, tra il XIX e il XX secolo, l'umanesimo si concentra sul valore e sulla dignità dell'uomo, adotta un'etica universalista e si colloca in una prospettiva generale di emancipazione o di accresciuta autonomia; infine, attribuisce un'importanza privilegiata agli studi letterari e artistici per lo sviluppo personale. Questo approccio è stato oggetto di numerose critiche da parte di teologi cristiani, pensatori socialisti e detrattori della morale convenzionale. Ma non mi soffermerò qui su queste numerose sfide, che divennero particolarmente intense dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, percepita come un crollo dell'umanesimo europeo.
Se l'umanesimo è nato con l'alfabeto in un contesto alfabetizzato ed è rinato con la stampa, cosa ne è stato di esso quando la tecnologia digitale si è affermata come tecnologia simbolica dominante?
Identifichiamo le caratteristiche principali della metamorfosi del testo nel XXI secolo. Tutte le espressioni simboliche sono raccolte e interconnesse in una memoria digitale ubiqua e universale. La manipolazione dei simboli (e non solo la loro riproduzione e trasmissione) è automatizzata. I testi possono essere generati, tradotti e riassunti automaticamente. Masse di dati digitali alimentano l'intelligenza artificiale (IA) generativa, che diventa la voce probabilistica della memoria collettiva. Paradossalmente, l'IA rappresenta la tradizione con maggiore efficacia quando viene interrogata su testi del canone umanistico che sono stati frequentemente modificati, tradotti e commentati, come la Bibbia, i Padri della Chiesa, Omero, Platone, Aristotele, le grandi opere letterarie e filosofiche occidentali, per non parlare delle opere seminali e dei testi sacri di altre tradizioni. Al contrario, più ci avviciniamo alle opere e ai temi contemporanei, più l'IA esprime opinioni: le voci e gli echi della caverna di Platone, ora digitale.
L'umanesimo non è mai stato così criticato come nel XXI secolo.
Il postumanesimo denuncia le nostre illusioni sulla permanenza di un'umanità ormai obsoleta, ibridata o superata da macchine e biotecnologie. L'ambientalismo e l'antispecismo criticano il nostro antropocentrismo: essendo diventati consapevoli delle devastazioni dell'Antropocene, del cambiamento climatico e del collasso della biodiversità, dobbiamo rinunciare all'umanesimo che vede l'umanità come "padrona e possessore della natura". Infine, per i sostenitori di alcune sociologie critiche (marxismo, antimperialismo, femminismo intersezionale), l'umanesimo universalista maschera il dominio di una parte dell'umanità su un'altra.
L'umanità non è obsoleta.
Ma non dobbiamo confondere l'umanesimo con la sua ipocrita invocazione o caricatura. L'umanità non è obsoleta. Gli ultimi sviluppi tecnologici confermano, se mai ce ne fosse bisogno, la singolarità al tempo stesso terribile e meravigliosa della nostra specie. È proprio perché noi – come esseri umani – possediamo una capacità simbolica che ci apre alla coscienza morale che dobbiamo assumerci la responsabilità della biosfera e difendere la dignità intrinseca di tutti gli esseri umani.
Seguendo la sua evoluzione storica e le controcorrenti che l'hanno sia contrastata che arricchita, vorrei ora articolare la mia versione dell'umanesimo nel XXI secolo. Enuncerò alcuni principi molto semplici che, a mio avviso, dovrebbero guidare la comunità delle "scienze umanistiche" ormai digitale.
La mia versione dell'umanesimo nel XXI secolo
Alla sua radice si trova un certo rapporto con il linguaggio e la tradizione. Un umanista riconosce il peso esistenziale del linguaggio e lo considera il mezzo preminente di significato. In un'epoca di demistificazione e critica diffusa, dobbiamo (re)imparare a coltivare un rispetto per i testi e i simboli. Invece di rifiutare ciecamente le tradizioni, con un approccio "da tabula rasa", dovremmo impegnarci a raccoglierle, non a reificarle o a mantenerle immutate, ma a dar loro vita nel presente, reinterpretarle e tramandarle.
Le tre pratiche umanistiche per eccellenza – lettura, scrittura e pensiero – sono interdipendenti.
La lettura è essenzialmente una relazione con la biblioteca, che il suo supporto sia carta e inchiostro o schermo ed elettronica. Come umanista, la mia vocazione è quella di abbracciare, per quanto possibile, la fonte virtualmente infinita di significato che la biblioteca offre. Nella lettura, scopro, sotto un testo, una voce viva che mi parla. Per cogliere il significato del testo, non mi limito a un'unica metodologia, ma attingo alla filologia, all'analisi formale, alla storia e alle influenze. Ogni testo può essere interpretato sullo sfondo di una molteplicità di corpora (quello dell'autore, dell'epoca, del genere, dell'argomento, ecc.), così che la forma unica del testo dà origine a diverse forme a seconda della prospettiva. L'intelligenza artificiale non dovrebbe mai sostituire la lettura. Nulla può sostituire il rapporto diretto con un testo. Tuttavia, l'intelligenza artificiale può migliorare la lettura attraverso spiegazioni, commenti, riferimenti e persino l'evocazione della letteratura secondaria. Smettere di leggere in prima persona significa smettere di imparare e rinunciare alla comprensione.
Passiamo ora alla scrittura. Scrivere significa iscriversi nel tempo, mantenere una relazione con il passato, il presente e il futuro. Nel suo rapporto con il passato, la scrittura si confronta con canoni e opere consolidate. L'autore solista non canta mai se non accompagnato dal coro spettrale di generazioni scomparse. Nel presente vivente, partecipo a un dialogo di studiosi in cui la memoria collettiva (forse trasportata dall'intelligenza artificiale) e la memoria personale si intersecano. Articolo una voce viva che si rivolge all'altro per far emergere un significato contemporaneo. Nel mio rapporto con il futuro, contribuisco a una memoria collettiva che aiuta a formare l'intelligenza artificiale e che potrebbe toccare le menti delle generazioni future. Che responsabilità! A parte i compiti amministrativi, l'intelligenza artificiale non deve mai sostituire la scrittura. Ma può prepararsi scrivendo schede o organizzando appunti, proprio come farebbe un assistente. Può anche perfezionare un testo lavorando alla sua revisione o alla bibliografia. Smettere di scrivere in prima persona significa smettere di pensare.
E precisamente, cosa significa pensare umanisticamente?
Inizia con l'arricchimento della nostra memoria personale, che è il fondamento del pensiero vivo. Solo perché "tutto" è su Internet non significa che dovremmo smettere di coltivare la nostra memoria individuale. Questo proprio perché il pensiero è un dialogo di ricordi. È intessuto, infatti, da una dialettica tra la memoria collettiva, rappresentata oggi dall'intelligenza artificiale, la memoria personale di ognuno di noi, e il dialogo aperto – contraddittorio e collaborativo – con i nostri coetanei e contemporanei. Più ricca è la nostra memoria personale, meglio possiamo sfruttare le risorse dell'intelligenza artificiale, porre le domande giuste, identificare le illusioni e illuminare i punti ciechi. L'intelligenza artificiale non può in nessun caso sostituire l'ignoranza. Ma può fungere da consulente e allenatore per il nostro apprendimento. Se siamo ignoranti, saremo manipolati e fuorviati dai modelli linguistici. Al contrario, più siamo informati, meglio possiamo padroneggiare l'intelligenza artificiale, che, sebbene sia attualmente l'ambiente del pensiero o il nuovo sensorio, è ancora solo uno strumento.
Se siamo ignoranti, saremo manipolati e fuorviati dai modelli linguistici. Al contrario, più siamo informati, meglio possiamo padroneggiare l'intelligenza artificiale
Testo originale in lingua francese
Humanisme et Intelligence Artificielle
Il s’agit là du texte – simplifié et raccourci – de la communication que j’ai délivrée le 28 octobre 2025 à la PUC-RS à Porto Alegre devant les étudiants en maîtrise et doctorat de sciences humaines accompagnés de leurs professeurs.
Définissons l’humanisme d’abord comme une réflexion sur l’essence de l’Homme qui se caractérise par son abstraction et se situe dans un horizon d’universalité. Deuxièmement, fondé sur cette réflexion, l’humanisme se préoccupe du bien de l’Homme, c’est dire qu’il a une visée normative, éthique.
Karl Jaspers a nommé “période axiale” le milieu du premier millénaire avant notre ère, ce moment de l’histoire où Confucius en Chine, le Bouddha en Inde, Zarathoustra en Perse, les prophètes hébreux en Israel et Socrate en Grèce ont fondé, chacun à leur manière, de grandes traditions humanistes. On notera qu’il s’agit toujours d’une affaire de lettrés, basée sur l’usage de l’alphabet ou d’un système de caractères standardisés comme en Chine. En ce temps là, les chaînes de traditions orales commençaient à être notées, les textes manuscrits, réécrits à chaque copie, étaient fluides, éclatés entre de multiples versions. Quant aux auteurs réels, anonymes et pluriels, ils se dissimulaient souvent sous l’autorité de grands ancêtres mythiques.
La Bible et la littérature gréco-romaine sont les deux grandes racines de l’humanisme occidental. Je laisse de côté la Bible que je n’ose évoquer devant des frères maristes qui en savent plus que moi sur ce sujet et je me contenterai d’évoquer l’humanisme gréco-romain. La païdéia grecque et l’humanitas romaine (qui en est la traduction) reposent sur trois grands piliers: les lettres, l’ouverture d’esprit et le sentiment de la dignité humaine.
Les lettres comprennent ici la maîtrise du langage et de l’écriture (la grammaire), la science du raisonnement et du dialogue contradictoire (la dialectique), l’art de convaincre, enfin, essentiel dans cette culture d’orateurs politiques et d’avocats (la rhétorique). L’encyclopédie lettrée supposait la connaissance des sciences de l’époque et surtout une immersion de l’esprit dans le corpus des auteurs classiques : poètes, dramaturges et philosophes.
L’ouverture d’esprit se manifeste dans cette maxime célèbre tirée d’une pièce de Térence (2e siècle avant notre ère) : “Rien de ce qui est humain ne m’est étranger”. La phrase est elle-même inspirée de Ménandre, auteur de théâtre de l’époque hellénistique.
Le troisième point, qui définit encore aujourd’hui le fondement de l’attitude morale humaniste, est le primat de la dignité humaine. On pourrait prétendre que les romains et les grecs, qui pratiquaient l’esclavage, n’ont pas été à la hauteur de leurs propres principes. Sans doute. Mais il faut rappeler que presque toutes les sociétés ont pratiqué l’esclavage ou le servage, dont l’abolition ne date que du 19e siècle. Or, malgré leur statut juridique inférieur, on pouvait traiter les esclaves de manière “humaine” ou pas. L’auteur de théâtre Térence, que j’ai cité plus haut, et le philosophe stoïcien Épictète sont nés esclaves et ils ont été affranchis par des maîtres qui admiraient leurs talents.
L’histoire des technologies symboliques rythme celle de l’humanisme. À la Renaissance, l’imprimerie, en mécanisant la reproduction des textes, rend disponible les copies et les traductions. L’édition devient une industrie et la littérature moderne se développe. Il en résulte la naissance de l’auteur moderne, source d’un texte original, qui se matérialisera à la fin du 18e et surtout au 19e siècle par l’apparition du droit d’auteur.
Les “humanistes” de la Renaissance éditent, fixent, traduisent et impriment les textes anciens qui appartiennent aux traditions bibliques et gréco-latines. Émerge alors la critique textuelle, à savoir l’établissement des textes à partir de copies divergentes. Les studia humanitatis regroupent alors la connaissance de l’Hébreu, du Grec et du Latin. Au-delà de la compétence linguistique, le métier d’humaniste suppose une intimité avec les grands textes de la littérature et de la philosophie, une nouvelle sensibilité à la philologie, à l’histoire et aux contextes de rédaction qui aboutira au 19e siècle à la naissance de l’herméneutique moderne.
La critique textuelle mène insensiblement à l’esprit critique. Luther initie le schisme de la chrétienté latine en contestant l’autorité de l’Église qu’il déplace sur les Écritures saintes, désormais disponibles en langues vernaculaires: c’est le fameux slogan “Sola scriptura“. Première figure de l’intellectuel européen, Érasme de Rotterdam vit de sa plume grâce à l’imprimerie, navigue dans un réseau intellectuel transnational, n’hésite pas à critiquer la société et les élites de son temps (comme dans son son célèbre Éloge de la folie), et s’établit par son œuvre monumentale comme un des principaux éditeurs, philologues, traducteurs, théologiens et pédagogues de l’Europe. Face à la montée des haines religieuses (et contrairement au boute-feu Luther), Érasme défend un humanisme chrétien pacifique.
Au début du 19e siècle un débat, particulièrement illustré par le pédagogue Friedrich Niethammer, partage les esprits en Allemagne. Faut-il centrer l’éducation – qui vise de plus en plus l’ensemble du peuple – sur les matières “utiles” de type scientifique et technique ou bien plutôt sur le développement de l’esprit, du goût, du jugement moral autonome et sur la capacité à s’inscrire dans une culture partagée grâce à l’étude des textes anciens? La première option, plus immédiatement pratique, se nomme alors philanthropie. Quant à la seconde option, qui insiste sur la formation de la personne ou “bildung”, elle est baptisée humanisme. Dans le monde occidental, ce débat va durer jusqu’au 20e siècle inclus, jusqu’à ce que la formation dite humaniste ne soit plus réservée qu’à une petite minorité de spécialistes professionnels et ne constitue plus l’armature de l’éducation de la majorité, ni même celle des élites.
Dans la seconde moitié du 19e siècle, l’historien Jacob Burckhardt redéfinit l’humanisme (qu’il conçoit comme un fruit de la Renaissance européenne) comme une orientation philosophique et pratique vers l’autonomie de l’esprit humain s’émancipant du clan familial, de la classe sociale et de l’autorité de l’église qui étouffent la liberté individuelle. Les idées de Burckhardt auront une grande influence sur Nietzsche, lui-même philologue de profession et fort sensible au caractère historique des manières de vivre et de penser.
Résultant d’une évolution qui avait commencé dès la Renaissance, entre les 19e et 20e siècles, l’humanisme se centre sur la valeur et la dignité de l’Homme, adopte une éthique universaliste, se situe dans une perspective générale d’émancipation ou de gain d’autonomie ; enfin, il accorde une importance privilégiée aux études littéraires et artistiques pour le développement de la personne. Cette approche a fait l’objet de nombreuses critiques en provenance des théologiens chrétiens, des penseurs socialistes et des contempteurs de la morale ordinaire. Mais je ne m’attarderai pas ici à ces nombreuses contestations, qui sont devenues particulièrement vives à partir de la fin de 1ère guerre mondiale, perçue comme un effondrement de l’humanisme européen.
Si l’humanisme naît avec l’alphabet dans un milieu lettré et renaît avec l’imprimerie, que devient-il lorsque le numérique s’affirme comme la technologie symbolique dominante? Déterminons les principaux caractères de la métamorphose du texte au 21e siècle. Toutes les expressions symboliques sont rassemblées et interconnectées dans une mémoire numérique universelle omniprésente. La manipulation des symboles (et non seulement leur reproduction et leur transmission) est automatisée. Les textes peuvent être générés, traduits, et résumés automatiquement. Les masses de données numériques entrainent l’intelligence artificielle générative (IA), qui devient la voix probabiliste de la mémoire collective. Paradoxalement l’IA représente d’autant mieux la tradition qu’on l’interroge sur des textes du canon humaniste souvent édités, traduits et commentés tels que la Bible, les pères de l’Église, Homère, Platon, Aristote, les grandes œuvres littéraires et philosophiques occidentales, sans oublier les œuvres capitales et textes sacrés des autres traditions. En revanche, plus on s’approche d’œuvres et de thèmes contemporains et plus l’IA exprime l’opinion : la rumeur et les échos de la caverne de Platon, désormais numérique.
L’humanisme n’a jamais été autant critiqué qu’en ce 21e siècle. Le posthumanisme dénonce nos illusions sur la permanence d’une humanité désormais obsolète, hybridée ou dépassée par les machines et les biotechnologies. L’écologisme et l’antispécisme critiquent notre anthropocentrisme : ayant pris conscience des ravages de l’anthropocène, du changement climatique et de l’effondrement de la diversité biologique il nous faudrait renoncer à l’humanisme qui voit en l’Homme le « maître et possesseur de la nature ». Enfin, pour les tenants d’une certaine sociologie critique (marxisme, anti-impérialisme, féminisme intersectionnel), l’humanisme universaliste masquerait la domination d’une partie de l’humanité sur une autre.
Mais il ne faut pas confondre l’humanisme avec son invocation hypocrite ou sa caricature. l’humanité n’est pas obsolète. Les derniers développements de la technique confirment, s’il en était besoin, la singularité à la fois terrible et merveilleuse de notre espèce. C’est précisément parce que nous avons – en tant qu’êtres humains – une capacité symbolique qui nous ouvre à la conscience morale que nous devons prendre la responsabilité de la biosphère et défendre la dignité intrinsèque de tous les êtres humains.
Dans le prolongment de son évolution historique et des contre-courants qui s’y sont opposés tout en l’enrichissant, je voudrais maintenant articuler ma propre version de l’humanisme au 21e siècle. Je vais énoncer quelques principes fort simples qui, à mon sens, devraient guider la communauté des “humanités” désormais numériques.
À la racine se trouve un certain rapport à la parole et à la tradition. Un humaniste reconnait le poids existentiel de la parole et considère le langage comme le milieu éminent du sens. À une époque de démystification et de critique tous azimuts, il faut réapprendre à cultiver une révérence pour les textes et les symboles. Plutôt que de rejeter aveuglément les traditions, dans une logique de “table rase”, nous devrions travailler à les recueillir, non pour les réifier ou les maintenir inchangées mais pour les faire vivre au présent, les réinterpréter et les transmettre.
Les trois pratiques humanistes par excellence – lire, écrire, penser – se conditionnent mutuellement.
La lecture est essentiellement un rapport à la bibliothèque, que son support soit l’encre et le papier ou l’écran et l’électron. En tant qu’humaniste, ma vocation est d’accueillir, autant que possible, la source de sens virtuellement infinie de la bibliothèque. En lisant, je dé-couvre sous un texte une parole vivante qui s’adresse à moi. Afin de recueillir le sens du texte, je ne m’enferme pas dans une seule méthodologie mais je mobilise la philologie, les analyses formelles, l’histoire, les influences. Chaque texte peut être interprété sur le fond d’une multiplicité de corpus (celui de l’auteur, de l’époque, du genre, du sujet, etc.) si bien que la figure unique du texte donne lieu à plusieurs formes selon les perspectives. L’IA ne doit jamais se substituer à la lecture. Rien ne remplace la relation directe avec un texte. En revanche, l’IA peut augmenter la lecture par des explications, des commentaires, des références, voire l’évocation d’une littérature secondaire. Ne plus lire à la première personne, c’est cesser d’apprendre et renoncer à comprendre.
Passons maintenant à l’écriture. Écrire, c’est s’incrire dans le temps, entretenir un rapport au passé, au présent et à l’avenir. Dans la relation au passé, l’écriture se confronte aux canons et aux corpus. L’auteur soliste ne chante jamais qu’accompagné par le chœur fantomatique des générations disparues. Dans le présent vivant, je participe à un dialogue de lettrés où se croisent mémoire collective (peut-être portée par l’IA) et mémoire personnelle. J’articule une parole vivante qui s’adresse à l’autre pour faire jaillir un sens contemporain. Dans mon rapport à l’avenir, j’ajoute à une mémoire collective qui contribue à entraîner les IA et qui touchera peut-être l’esprit des générations futures. Quelle responsabilité! Sauf pour les tâches administratives, l’IA ne doit jamais se substituer à l’écriture. Mais elle peut la préparer en rédigeant des fiches ou en organisant des notes, comme le ferait un assistant. Elle peut aussi parfaire un texte en travaillant à son édition ou à sa bibliographie. Ne plus écrire à la première personne, c’est cesser de penser.
Et justement, qu’est-ce que penser en humaniste ? Il s’agit d’abord d’enrichir notre mémoire personnelle, qui est le fondement de la pensée vivante. Ce n’est pas parce que “tout” se trouve sur internet que nous devons cesser de cultiver notre mémoire individuelle. Et cela précisément parce que la pensée est un dialogue des mémoires. Elle se tisse en effet dans une dialectique entre la mémoire collective représentée aujourd’hui par l’IA, la mémoire personnelle de chacun d’entre nous et le dialogue ouvert – contradictoire et complice – avec nos pairs et contemporains. Plus riche est notre mémoire personnelle et mieux nous pouvons exploiter les ressources de l’IA, poser les bonnes questions, repérer les hallucinations, éclairer les angles morts. En aucun cas l’IA ne peut se substituer à l’ignorance. Mais elle peut servir de conseillère et d’entraîneuse pour nos apprentissages. Ignorants, nous serons manipulés et induits en erreur par les modèles de langue. Par contraste, plus nous sommes savants et mieux nous pouvons maîtriser l’IA qui, quoiqu’elle soit aujourd’hui l’environnement de la pensée ou le nouveau sensorium, n’est jamais qu’un outil.