Come indica la K., Ursula (nata a Berkley nel 1929) è figlia di Alfred Lewis Kroeber, illustre antropologo, principale allievo di Franz Boas, il fondatore della scuola statunitense di quella disciplina. E la madre, Theodora Covel Brown Kracaw, è ugualmente molto nota, in quanto autrice di Ishi in Two Worlds (1961), storia di vita del “Last Wild Indian in North America”.
Ursula studia in scuole prestigiose; nel 1951 vince una borsa Fulbright per proseguire gli studi in Francia, e allora sulla Queen Mary conosce lo storico Charles A. Le Guin, che sposa pochi mesi dopo a Parigi.
Il suo primo romanzo, Planet of Exile, è pubblicato nel 1966. Nel 1968 nasce Earthsea, il fantastico mondo che fa da sfondo a quattro libri. Un’altra serie di romanzi è dedicata all’Ekumene, la lega di tutti i pianeti civilizzati di un remoto futuro. Tra Science Fiction e Fantasy, i libri di Le Guin si muovono all’interno di generi consolidati – ma sempre andando al di là dei luoghi comuni. Si tratta sempre di libri inconfondibili: la costruzione di mondi possibili permette l’esercizio estremo della fantasia; ma anche l’affermazione di idee forti: utopie politiche, femminismo.
Dietro ogni romanzo (così come nella raccolta di saggi ) si coglie il solido impianto intellettuale, dove si fondono due filoni: la psicanalisi, di matrice junghiana, e soprattutto l’antropologia. I romanzi di Le Guin, infatti, sono finissimi esercizi di antropologia immaginaria. Sono testi rigorosi da un punto di vista scientifico. Ma sono, in più, esercizi di assoluta, liberissima fantasia. L’autrice, scrivendoli, fa i conti con le ingombranti immagini paterna e materna.
Negli Anni Sessanta emerge negli States, soprattutto in ambienti californiani, si afferma una cultura giovanile, alternativa, lontana dall’approccio politico-ideologico, scolastico-marxista, tipica del Sessantotto europeo. In America prevalgono atteggiamenti orientati all’‘allargamento dell’area della propria coscienza’, ad una più profonda consapevolezza, ad una visione ecologica. Anche attraverso l’uso di marijuana e Lsd, attraverso un avvicinamento alle culture orientali. E anche attraverso un diverso uso della tecnica. Personal Computer, Internet, in effetti, allargano l'area della coscienza. Il Web è un inconscio collettivo aperto ad una nuova possibile conoscenza.
Le Guin scrive a partire da questo nuovo atteggiamento di fronte alla vita, alla società, al tempo: ci parla di rinascita, di riscoperta di un sé rotondo ed equilibrato, aperto alle differenze, lontano dall'egoismo.
La donna e l’uomo di Le Guin si liberano e si emancipano prendendo coscienza di radici ancestrali, rammemorando, rivivendo tradizioni, riportando alla luce valori e atteggiamenti, capacità psichiche e mnemoniche che erano (e sono) patrimonio di culture cosiddette primitive – e che la vita moderna, ed il ricorso così facile e passivo a strumenti tecnologici ci hanno fatto perdere e dimenticare.
Leggere oggi Always Coming Home
Lo sguardo di Ursula Le Guin, il suo lento raccontare, sono un antidoto che ci può curare dall'aridità di un pensiero impoverente, giudicante, che oggi ci viene imposto.
E' così fastidiosa questa retorica per cui ci sentiamo continuamente dire che le macchine fanno parte della società allo stesso modo degli umani, che le macchine sono cattedrali la cui bellezza non sappiamo vedere, e che le macchine sono agenti di cultura, e che le macchine ci insegnano, e che a similitudine dell'intelligenza umana, anche l'intelligenza della macchina è incarnata...
Verrebbe da dire ai tecnologi, ai computer scientist, ai filosofi di complemento: siete anche voi umani: accettate la bellezza dell'umano; accettate la differenza; accettate che la macchina sia un'altra cosa.
Credo che gli articoli scientifici non bastino, né a chi li scrive, né a chi li legge.
La superficiale propaganda che circola sui media non aiuta certo a capire.
Torniamo perciò a leggere le pure narrazioni di Ursula Le Guin.
Credo che questo orientamento a cercare l'imitazione macchinica dell'umano, e ad esaltare i pregi del non-umano, siano tratti prevalentemente maschili.
Sono quindi importanti le voci femminili.
Solo in mancanza di migliori definizioni Always Coming Home, 1985 (la traduzione italiana, 1986, è da tempo esaurita) può essere definito ‘romanzo’.
Non un racconto lineare, ma documenti raccolti da una antropologa. Con una attenzione minuziosa rivolta alle strutture elementari della parentela, alle lingue, agli usi alimentari, ai riti e ai miti: nessun manuale universitario è così utile per chi vuole avvicinarsi all’etnografia.
Con meravigliosa immaginazione, Le Guin inventa una cultura, una rete di relazioni sociali e di storie, una lingua. Anche una musica: il libro era accompagnato da una cassetta audio.
Immaginate la California di un lontano domani, in un quadro geografico e economico e storico irrimediabilmente mutato da una catastrofe.
Il popolo dei Condor vive nella Città è rigido, patriarcale, gerarchico, militarista ed espansionista.
I Kesh vivono nella valle sono pacifici e auto-organizzati, attenti a preservare tradizioni e valori, capaci di meditare, immersi nella natura.
Non dichiarate questi umani retrogradi, incapaci di comprendere l'importanza della tecnica e delle macchine e del valore delle informazioni.
Perché Le Guin ci mostra come la City of Man e la City of Mind convivono nel rispetto riconoscente delle reciproche differenze.
Brani scelti
Pietra Che Narra si riferisce alle città del Condor con la parola kach, che è la traduzione del loro termine; normalmente la parola è usata soltanto in due parole composte: tavtak, la Città dell’Uomo, e yaivkach, la Città della Mente. Entrambe queste parole richiedono qualche spiegazione.
Yaivkach: la Città della Mente:
Circa undicimila siti sull’intero pianeta sono occupati da comunità indipendenti, chiuse e autoregolantisi di “esseri” o dispositivi cibernetici: computer con estensioni meccaniche. Questa rete di centri in comunicazione tra loro costituisce una singola entità: la Città della Mente.
Yaivkach indica sia i singoli siti o centri, sia l’intera rete o entità. Molti dei siti sono piccoli, con un’area di poche migliaia di metri quadrati, ma molte vaste Città del deserto servono come centri di produzione e come stazioni sperimentali, o contengono acceleratori, rampe di lancio e simili. Tutte le strutture sono collocate sottoterra, all’interno di cupole, per ridurre i rischi di danneggiamento dell’ambiente e da parte dell’ambiente. Pare che un numero sempre crescente di siti siano situati su altri pianeti o corpi del sistema solare, su satelliti o su sonde viaggianti nello spazio.
Tavkach: la Città dell’Uomo:
La parola può essere tradotta come civiltà, o come storia.
Il periodo storico, l’epoca dell’esistenza umana che ha fatto seguito all’Era neolitica per la durata di alcune migliaia di anni in varie parti del mondo, e da cui sono specificamente escluse la preistoria e le ‘culture primitive’, pare essere quello che intendono i Kesh con le frasi ‘il tempo esterno’, ‘quando vivevano all’esterno del mondo’, e ‘la Città dell’Uomo’.
I confini di questa area–era, la Città dell’Uomo, non sono nelle date. Le cronologie lineari sono lasciate alla Memoria della Città della Mente. E in effetti, la Città della Mente, la rete dei computer, Exchange comprese, veniva definita come ‘esterna al mondo’, eppure esisteva e si manifestava anche nello stesso territorio della Città dell’Uomo, della civiltà.
– (Chiede Pandora, l’antropologa, ndr) Dunque le biblioteche diventerebbero enormi, se non gettaste via gran parte dei libri e di tutto il resto. Ma come decidete che cosa va conservato e cosa va distrutto?
– (Risponde l’archivista, ndr) E’ difficile. E’ una cosa arbitraria, ingiusta ed eccitante. Noi ripuliamo le biblioteche (…) ogni tanti anni. Qui nel Madrone di Wakwaha la Loggia ha ogni anno una cerimonia di distruzione, tra l’Erba e il Sole. E’ segreta. Soltanto i membri. Una sorta di orgia. Un accesso di desiderio di pulizia; l’istinto di accumulare, la spinta a collezionare, viene rovesciata su se stessa, è invertita. Liberarsi.
– Distruggete i libri preziosi?
– Certo; non vogliamo finire seppelliti sotto quelli.
– Ma i documenti importanti e le opere letterarie di pregio potreste conservarle in qualche archivio elettronico, alla Exchange, dove non occuperebbero spazio.
– La Città della Mente lo fa già. Vuole una copia di ogni cosa. E noi gliene diamo una certa quantità. E poi lo ‘spazio’ di cui parli è solo una questione di volume più o meno grande: c’è dell’altro.
– Ma gli intangibili… le informazioni…
– Tangibile o intangibile, o ti tieni una cosa o la dai via. Noi riteniamo più sicuro darla via.
– Ma i sistemi di archiviazione e di recupero dei dati servono proprio a questo! Il materiale è conservato perché sia a disposizione di chi ne ha desiderio o ne ha bisogno. L’informazione viene fatta circolare… l’azione centrale della cultura umana.
– “A tenere, cresce; a donare scorre”. Donare richiede una notevole dose di discriminazione; come attività, forse richiede un’intelligenza più disciplinata che non conservare.
E’ nell’interesse della Città conservare e incoraggiare la diversità di forme e di modi di esistenza che stanno alla base delle informazioni che sono la linfa vitale della sua esistenza. Qualsiasi cosa era farina da macinare per il mulino della Mente; dunque, niente veniva distrutto.
Terminali di computer, collegati a Città vicine, della terra o su satellite, e attraverso queste all’intera vastissima rete, erano situate nelle comunità umane di tutto il pianeta. Ciascun gruppo stabile di almeno cinquanta persone poteva avere un Exchange, che veniva installato, dietro richiesta della comunità umana, dai robot della Città; tramite robot ed esseri umani la Città garantiva poi la manutenzione preventiva e le riparazioni. (…)
Attraverso gli Exchange, le informazioni correvano nei due sensi; la natura e la quantità delle informazioni dipendevano dal lato umano dall’interesse umano per la partnership. La Città non forniva informazioni che non fossero direttamente richieste; a volte chiedeva delle informazioni, ma non le esigeva mai.
Nei gruppi umani sedentari con forme di interscambio ben stabilite, come la popolazione della valle del Na, l’addestramento all’uso del computer rientrava nella normale formazione di tutti; nella valle, questo insegnamento riguardava soprattutto l’apprendimento del TOK. Un utile effetto di questa situazione era l’uso del TOK (che poteva essere pronunciato, oltre che battuto sulle tastiere dell'Exchange) come lingua franca dei commercianti di tutto il mondo, dei viaggiatori e di quanti intendevano comunicare con persone di un’altra lingua madre, o direttamente o mediante le Exchange. Nella valle, in realtà, questo secondo uso del TOK faceva perdere di vista il suo scopo originale. Ma chiunque desiderasse lavorare con il terminale poteva aumentare a volontà la propria competenza.
Nella Memoria non c’erano “informazioni riservate” e non c’era modo di impedire a qualcuno di ottenere qualche genere di informazioni; un messaggio in codice era sempre accompagnato dalla descrizione del codice.
I dati che venivano richiesti nel modo corretto venivano sempre forniti, indipendentemente dal fatto che si trattasse della ricetta per fare lo yogurt o di un aggiornamento sulle armi incredibilmente sofisticate e letali.
“La libertà della Città è l’inverso della nostra libertà”, sosteneva l’archivista di Wakwaha. “La città mantiene. Mantiene ciò che è morto. Quando abbiamo bisogno di qualcosa di morto, ci rivolgiamo alla Memoria. Il morto non ha corpo, non occupa né spazio né tempo. Nelle Biblioteche teniamo cose pesanti, grosse, che richiedono tempo. Quando muoiono, noi le togliamo. Se la Città vuole, se le prende. E le prende sempre. E’ un eccellente accordo.”
La Città della Mente, vista dalla Città dell’Uomo, appare come "una delle innumerevoli elementi che formavano il mondo, tutte interconnessi tra di loro, come una foresta, o un formicaio, o le stelle”. A molti, forse alla maggior parte delle persone, non interessa sapere come ‘funziona la macchina’, però essa appare un collegamento utile e necessario con “certi elementi della vita”: “i terremoti, gli incendi, gli stranieri, gli orari dei trasporti”.
Lasciando il progresso alle macchine, facendo in modo che la tecnologia procedesse nei propri termini, e scegliendo in essa, con quella che a noi può sembrare una cautela eccessiva, un’esagerata modestia, un’inutile limitazione, gli strumenti coerenti con la loro cultura, pochi ma totalmente adeguati, è possibile che così scegliendo di non muoversi in 'avanti', o non solo in 'avanti', questa gente sia riuscita davvero a vivere la storia umana con energia, libertà e grazia?