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Le parole non sono di per sé povere di significati, subiscono una variabilità semantica che rendono instabile la relazione tra significante e molteplici esiti semantici che sempre si manifestano in ogni dialogo tra persone che parlano di uno stesso argomento. Le parole sono per loro natura polisemiche, mai assimilabili a singoli concetti, spesso generate per semplice analogia e sempre espressione di una pluralità di accezioni, in particolare le parole più usate. - 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.


  • Parole in forma di carezze [leggi qui]
  • Il volto e le facce [leggi qui]
  • Sempre connessi mai congiunti [leggi qui]
  • Persi dentro schermi magnetici e luccicanti [leggi qui]
  • Ambienti digitali e forza delle parole [leggi qui]
  • La ricchezza delle parole 
  • Parole inflazionate, parole ricche di significati [leggi qui]
  • La ricchezza delle parole [leggi qui]
  • Le parole dell’etica [leggi qui]
  • Una riflessione necessaria [leggi qui]
  • Oltrepassare come azione etica [leggi qui]
  • Serve uno sguardo diverso [leggi qui]
  • Alla fine del viaggio dentro le parole [leggi qui]
  • Siate cauti con le parole [leggi qui]

“Ci sono parole importanti, di uso quotidiano, il cui significato nel tempo si è dilatato fino a diventare incerto, fino a renderle vaghe e prive di contorno, così che oggi, come i liquidi prendono la forma dei recipienti che li contengono, possono essere adatte a contesti diversi senza però significare più nulla di sicuro.”  – Massimo Angelini, Ecologia della parola 

Sì, pensare non basta. Le parole non pronunciate diventano briciole, ci saziano per un istante ma si dimenticano altrettanto in fretta. Solo quando escono dalla bocca rivelano il loro valore… Però possiamo scriverle. Sì, ma allora occorre qualcuno che sappia leggerle […]”Cucinare un orso, Mikael Niemi 

Lasciaci oltrepassare la gioia e il dolore - Lasciaci oltrepassare l’astio e l’affetto - Lasciaci oltrepassare le parole dure e quelle vane, le parole vuote dell’amoreLasciaci oltrepassare.” -- Abbas Kiarostami 

“Non voglio parole che mi spieghino e nemmeno che sgroviglino né chiariscano. Non voglio parole che mi riempiano e nemmeno che mi facciano sentire sciocca e con poca scuola alle spalle. Non voglio parole che complichino senza un cuore al centro. Non voglio parole che si diano arie. Ho bisogno di parole leggere eppure capaci di sfamare e dissetare, parole che mi domandino tanto, tutta la testa da mozzare e un cuore ingenuo da allenare al passo delle bestie nella foresta, vigile e sempre a casa, eppure sempre in pericolo. Voglio parole disobbedienti ma anche candide. Parole capriole e parole solletico, parole lampi, fulmini e tuoni, parole aghi che cuciono e parole che strappano la stoffa del discorso.” Chandra Livia Candiani - Salutare le parole   - articolo della rivista Doppiozero


La ricchezza delle parole

“Spesso le parole sono solo pietre inerti, indumenti consunti e laceri. Possono anche essere erbacce, portatori di infezioni nocive, assi marce che non reggerebbero nemmeno il peso di una formica, figuriamoci la vita umana. Eppure, le parole sono una delle poche cose di cui disponiamo davvero, quando tutto sembra prendersi gioco di noi. Tienilo a mente. E tieni a mente anche una cosa che nessuno capisce: le parole più insignificanti e improbabili possono caricarsi inaspettatamente di un pesante fardello, e condurre la vita in salvo, oltre burroni vertiginosi.”

- Jón Kalman Stefánsson, La tristezza degli angeli]

 Nessuna parola è un monolite eterno, tutte hanno una loro storia, una loro forza, e non solo etimologica.

Le parole non sono di per sé povere di significati, subiscono una variabilità semantica che rendono instabile la relazione tra significante e molteplici esiti semantici che sempre si manifestano in ogni dialogo tra persone che parlano di uno stesso argomento. Le parole sono per loro natura polisemiche, mai assimilabili a singoli concetti, spesso generate per semplice analogia e sempre espressione di una pluralità di accezioni, in particolare le parole più usate.

Nessuna parola è un monolite eterno, tutte hanno una loro storia, una loro forza, e non solo etimologica. Sembrano il risultato di una caccia al tesoro nascosto in cui tutti sono coinvolti, tante creature viventi sempre in movimento, capaci di portarci al bene così come al male, all’ingiuria e all’accusa, alla verità così come al suo contrario, alla gentilezza così come alla cattiveria e alla malvagità.

Le parole hanno un ruolo diverso nella nostra vita intellettuale, nel loro essere semplicemente pronunciate, lette o scritte, sono entità vive, vivificanti, mutevoli ed eterne al tempo stesso. Cambia il loro significato[55], non il ruolo che hanno nel raccontare i cambiamenti e le regressioni, le innovazioni e le novità, la società e il mondo, l’individuo e la collettività. I racconti e le narrazioni sono condizionati dal fatto che le parole non sono gli oggetti a cui danno un nome, non sono i fatti che le parole, per come sono usate, spesso deformano e spettacolarizzano, manipolandoli, interpretandoli ed a volte, annullandoli. Tutto ciò è testimoniato dall’uso che delle parole viene fatto in tutti i talk show e gli spettacoli di intrattenimento informativo che hanno occupato da anni tutti i media televisivi contribuendo a una martellante manipolazione semantica delle parole ma soprattutto della realtà. 

Oggi le parole riempiono gli spazi del Web ma non perdono la loro forza e bellezza.

Le parole possono essere usate per dire la nuda verità anche se nella realtà attuale è diventato difficilissimo, quasi impossibile farlo. Non tanto perché il Web e le piattaforme social siano diventate una cascata di parole che pretendono di dire la verità mentendo, ma anche perché viviamo tempi nei quali le parole sono usate da chi ha il potere o è un personaggio pubblico in modi non propriamente veritieri.  Lo ha spiegato molto bene Enrico Capodaglio nel suo Palinsesto che in un capitolo sulla nuda verità parla di parole oggi usate “per mentire, per truffare, per complimentare con iperboli senza senso, per nascondere le intenzioni, per esprimere il contrario di quello che si pensa, per divertire, per giocare, per far ridere, per orientare le idee, per suscitare sentimenti per sconosciuti che fingono di soffrire, per creare adoratori di semidei presunti, per eccitare l’entusiasmo, per suscitare applausi, per illudere, per fare false promesse, per attirare in una trappola, per simulare buoni sentimenti, per farsi compiangere, per rendersi simpatici, per ricattare, per congiurare, per mercanteggiare, per fare sesso, per umiliare, per escludere, per crearsi clienti, per godere la propria vitalità”.

Che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci, non ci siamo intesi affatto.” (Luigi Pirandello)

Oggi le parole riempiono gli spazi del Web ma non perdono la loro forza e bellezza. Neppure dentro uno storytelling effimero, dalle trame e dalle sceneggiature prevedibili e omologate, contrassegnato da molto rumore di fondo (non solo il ronzio elettronico degli schermi e delle notifiche di WhatsApp) e tanta superficialità. A essere protagonisti di questo storytelling siamo tutti noi come se vivere fosse parlare, lasciando liberamente fluire dalla propria mente pensieri e parole.  Come se, tanto per parlare di parole, vivere fosse sinonimo di essere o di esistere. Tutti parlano e tutti vivono, bisogna poi però saper parlare, usare con cura le parole, e saper esistere.

Parafrasando Vito Mancuso, si vive stando dentro la catena alimentare della vita, si esiste (e-sistere) perché si è capaci di venir fuori (ex-sistere), di collocarsi fuori il nostro involucro esistenziale per migliorarci, per comportarci da umani e diventare umani pienamente. Per gli autori di questo libro, per esempio, scrivere è un modo di esistere, lo è meno il mangiare. Allo stesso modo imparare a parlare bene, saper scegliere le parole necessarie, le migliori che servono, prestare attenzione e cura ai loro significati e all’effetto che esse possono avere sulle persone a cui sono rivolte, siano esse scritte o parlate, tutto questo è un modo di esistere, di essere. E non basta pensarlo in astratto, concettualmente, ma di praticarlo o, confrontandosi con il linguaggio abbrutito contemporaneo, di contrastarlo con pratiche esistenziali concrete e/o filosofiche. Fortunatamente, anche nella realtà attuale, ci sono narrazioni che alle parole danno la dovuta importanza, non contengono parole al vento ma sono usate con cura e attenzione, per farsi ascoltare, per produrre conoscenza, promuovere comportamenti virtuosi e morali, capaci di comunicare, incidere nella realtà, aiutare gli altri. 

bisogna impegnarsi contro la brutalizzazione del linguaggio, l'impoverimento delle parole che poi riflette l'appiattimento e la difficoltà di pensiero

Le parole sono oggi diventate strumento resiliente di resistenza contro l’appiattimento conformistico in atto e per custodire ciò che esse rappresentano, servono per tenere viva la memoria e l’immaginazione, per raccontare la realtà per quello che è (realtà sempre percepita) sorvegliandola e custodendola, per farla risuonare in modo nuovo, alternativo, diverso, proiettandola in scenari futuri che ancora non esistono ma che si può contribuire a costruire, anche con le parole, rendendoli reali. Le parole sono importanti anche da un punto di vista etico perché l’etica obbliga a definire bene le parole, a essere precisi nei significati a cui associarle, ad andare oltre il linguaggio e il suo utilizzo nella comunicazione quotidiana prendendo coscienza della sua componente pragmatica in termini di responsabilità, di effetti e conseguenze scatenate.

In un’epoca di crisi sistemiche e profonde, dentro populismi vari che brutalizzano realtà e futuro ma soprattutto maltrattano, seviziano e violentano le parole, usandole come semplici contenitori da riempire a proprio piacimento, costruendo asserzioni vuote di significati e non vere, discorsi senza senso, bisogna convincersi che le parole sono importanti, meritano tutta la nostra cura, attenzione e considerazione.  L’una e le altre a fondamento di un impegno, quasi un obbligo etico civile, alla verità e alla correttezza nei confronti delle persone a cui ci si rivolge parlando.

La veridicità delle parole, il loro uso per raccontare con esattezza eventi e situazioni è fondamentale per decifrare la realtà. La brutalizzazione della lingua al contrario non fa che anticipare altre forme di potenziali bestialità future, che le parole abusate dalle tante Bestie[56] in circolazione preparano (cosa sarebbe successo se al tempo della vaccinazione contro la polio ci fossero stati i social network?), in forma di avvelenamento cianurico lento ma inesorabile fatto di tante piccole gocce venefiche che sui tempi lunghi possono diventare mortali.

La pericolosità delle parole avvelenate sta nell’effetto di una mitridatizzazione al contrario. La pratica, suggeritagli dal suo medico, permise a Mitridate, re del Ponto dal quale è derivato il termine mitridatismo per riferirsi alla immunizzazione nei confronti di sostanze tossiche, di salvarsi la vita, salvo poi ricorrere, aiutato, alla propria fine attraverso la propria spada. Oggi la mitriditizzazione opera al contrario come una sorta di atrofizzazione della coscienza, una sua incarcerazione e manipolazione, una sua sottomissione a chi il veleno a piccole dosi le propina. L’avvelenamento è lento e continuo, non è fatto da un medico curante ma da entità altre che agiscono con finalità non necessariamente finalizzate alla salute del paziente. L’esposizione prolungata a parole tossiche genera insensibilità nei confronti di avvelenamenti futuri ma anche effetti collaterali che si manifestano in forma di impassibilità, indifferenza e cinismo, freddezza e imperturbabilità. Tante reazioni tra loro assimilabili che portano all’asservimento consensuale, perché dettato dalla dipendenza.

L’esposizione prolungata a parole tossiche genera insensibilità con effetti collaterali che si manifestano in forma di impassibilità, indifferenza e cinismo, freddezza e imperturbabilità

È necessario tenere sempre presente che le parole parlate e scritte condizionano il modo stesso con cui noi vediamo la realtà e da essa sono condizionate. Ne sono esempi eclatanti le parole usate, dai politici e dai media, per raccontare il fenomeno delle (im)migrazioni in atto. Tutti abbiamo sentito parlare di invasione, occupazione, sostituzione etnica. Tutte parole che richiamano concetti, significati e semantiche ben precise ma lontane dai fenomeni che con esse vengono descritti. Sempre che non ci si voglia fermare alla superficie bisogna interrogarsi sulla storia di ogni parola per poi contestualizzarla nella realtà e nelle pratiche linguistiche del momento.

Non fermarsi alla superficie significa diffidare di parole logore e stereotipate, che recingono e definiscono, spesso perché asservite a una ideologia o visione del mondo, di frasi fatte e banali. Andare oltre la superficie porta a comprendere fino in fondo il ruolo che le parole hanno nella vita di ognuno di noi, non solo relazionale ma anche personale.

Le parole non hanno confini, non nascono per caso anche se spesso a caso sono usate, come quelle adoperate dalle legioni di imbecilli a cui Umberto Eco ha regalato il suo ultimo strale mediatico prima della sua morte ("todos los que habitan el planeta, incluyendo los locos y los idiotas, tienen derecho a la palabra pública..." – intervista a El Mundo). Imbecilli che richiamano gli zii ‘cretinosi’ riferiti a Lombroso di Leonardo Sciascia definiti come “quelli che partecipano della cretineria mostrando di far uso degli strumenti dell’intelligenza[57]”. Le parole sono originate da concetti che nella nostra mente sono stati portati all’esistenza da “una lunga associazione di analogie create a livello inconscio nel corso di molti anni […] e che poi questi concetti alimentano per tutto il resto della vita[58] ”.

Le parole non hanno confini, non nascono per caso anche se spesso a caso sono usate

Proprio perché le parole nascono dai concetti, la ricchezza a esse associate è illimitata e incommensurabile. È anche indefinita, non assimilabile a quella limitata che pur traspare, per ogni parola, dai dizionari che le parole analizzano e contengono. Una ricchezza raramente sfruttata nell’uso quotidiano che le persone fanno delle parole e i cui significati solo eccezionalmente vengono messi in discussione, oggi ancor più di ieri, considerando come e quanto le parole online viaggiano ormai in forma di semplici memi. Parole dalla forte capacità e versatilità espressiva se veicolate da immagini (spesso immagini + testo), ma dalla genericità elevata che ne penalizza contenuti semantici e significati o suggeriscono interpretazioni univoche del messaggio di cui il meme è portatore. Ma le parole non hanno interpretazioni univoche, non quelle sofisticate ma neppure quelle ordinarie con cui diamo esistenza a oggetti, eventi, situazioni e azioni irrilevanti.

Bisogna poi misurarsi con le nostre interazioni con una realtà che è sempre complicata, molteplice e caotica, spesso abitata da altri come noi, seppur diversi. Non viviamo mai esperienze uniche, siamo sempre immersi in situazioni che si sovrappongono e si influenzano tra di loro, mescolandosi: intrecci di parole conducono a intrecci di esistenza, nodi di commistione etica, linguistica e tecnologica. Le nostre parole nascono da questo caos, dalle mille sollecitazioni da esso ricevute che innescano meccanismi nei quali proviamo a dare un senso, anche con le parole, alle situazioni che viviamo, alle emozioni che le accompagnano, ai pensieri che si formano e alle azioni che ne derivano.

Dentro tutte queste situazioni tra loro simili ed esperienze nelle quali siamo costantemente impegnati a dare senso alle cose e alle parole, il dialogo tra persone, per seguire il pensiero di Lévinas, nasce in primo luogo dalla presenza intesa come incontro con un volto che richiama ogni identità ad alzare lo sguardo dal proprio ombelico e ad aprirsi all'alterità, dalla voce, poi dalla comunicazione dei messaggi attraverso le parole. In Lévinas è quindi il volto, come apertura alla dimensione ulteriore del reale, a generare il linguaggio: prezioso perché formato da parole di 'carne' per altra 'carne', tra delicatezza e forza.

le parole hanno sempre un significato particolare come strumento di comunicazione e relazione con l’Altro, di libertà e (com)partecipazione

In questo testo, focalizzato nel sostenere l’importanza del sapere Oltrepassare e andare Oltre, Altrove, verso dimensioni nelle quali il nostro Sé si lasci incontrare (riempire) e (ri)conoscere, le parole assumono un significato particolare come strumenti di comunicazione e relazione con l’Altro, di libertà e (com)partecipazione.

L’una e l’altra espressione della possibilità positiva di contrastare la violenza prevaricatrice che tanto caratterizza oggi il dialogo privato e pubblico, assumendo una responsabilità etica (essere responsabili di, essere custodi di) nei confronti dell’Altro ma anche di sé stessi (“Quando pensi a te,  Pensa anche un po' per me”). Assumersi questa responsabilità facilita l’ascolto, la comprensione, l’accoglienza del diverso da noi (all’origine come scriveva Hegel della nostra stessa autocoscienza[59]), anche nel linguaggio e nelle parole usate, crea il contesto ideale per la condivisione. Non quella con cui siamo ormai abituati a descrivere semplici funzionalità algoritmiche online, ma quella che nasce dalla prossimità, dalla prossemica e dalla presenza.

Una condivisione che prima ancora delle parole fa uso della reciprocità della stretta di mano, dell’abbraccio dello sguardo e delle braccia, di carezze, di conversazioni, di contrasti e confronti, di collaborazioni e commerci.[60] Una condivisione che poi trova anche nelle parole una sua espressione fatta di senso, significati, analogie, (dis)ordine dentro il caos della vita quotidiana. Le parole sono importanti anche nella pratica del dialogo, inteso come strumento di conoscenza, non solo delle tematiche trattate ma anche degli interlocutori coinvolti. Meno come strumento usato per prevaricare o provare la propria abilità dialettica per ergersi a vincitori su altri considerati vinti. Pratica questa oggi facilmente riscontrabile abitando le piattaforme di social networking online e che evidenzia la difficoltà al dialogo socratico (in quello Zen avviene la stessa cosa), fatto di domande con l’intento di mettere alla prova le idee dell’altro, confutandole, dialettizandole, non per avere la meglio ma per conoscere, approfondire, apprendere. Anche imparando a usare meglio e con precisione le giuste parole.

Le parole sono importanti nella pratica del dialogo, inteso come strumento di conoscenza

Non tutte le parole che emergono nella mente o vengono evocate inconsciamente sono parole dotate di senso e capaci di portare ordine nel caos. Sempre più spesso, anche a causa della tecno-lingua, sempre più Neo-lingua alla Orwell, da molti introiettata come unica lingua possibile, le parole sono diventate semplici etichette, sequenze lineari di lettere e di caratteri stampati o di suoni, che danno forma a una “lingua di plastica[61]. Sono parole incapaci di tradurre la ricchezza pluridimensionale dei concetti, parole che comunque danno a chi le usa l’impressione di identificarsi perfettamente con quello che voleva dire. Ma ciò che si voleva dire poteva essere detto con parole diverse, parole migliori, parole che, per dirla con Ivano Dionigi[62], allungano la vita.

Tutt’altra cosa dall’effetto prodotto dalle innumerevoli parole violente, violate, sconciate, umiliate, usate a sproposito, ecologicamente inquinanti, sporche e pericolose che abitano la cosiddetta infosfera e alimentano le molteplici forme di populismi digitali da social. Da tempo si assiste “al tramonto di parole uniche, inalterabili e immodificabili, che non riusciamo più a pronunciare come abbiamo fatto per secoli” e al depauperamento di significato di parole importanti come amicizia, comunità, socialità, condivisione, interazione, relazione e molte altre, simili per ricchezza di significato, orizzonti di senso ruolo e importanza. Un depauperamento semantico che evidenzia come la parola senza pensiero sia un suono vuoto, una parola morta, e che va di pari passo con quella che il cardinale Gianfranco Ravasi ha chiamato “anoressia del pensiero contemporaneo che produce una ipertrofia della chiacchiera che è la parola degenerata”. 

viviamo tempi di anoressia del pensiero che produce una ipertrofia della chiacchiera che è la parola degenerata

Nell’era connessa e globalizzata che ci è dato testimoniare e sperimentare, i mezzi di comunicazione sono così potenti e diffusi da rendere a tutti possibile accedere a una quantità di informazioni come mai era successo nella storia (la historia) passata e recente. Al surplus informativo a cui si è esposti tuttavia non è associato un aumento della comprensione (compehendere - accogliere nella mente, nell’intelletto, afferrare il senso di qualche cosa, stabilire una relazione tra più idee o fatti) e della conoscenza.

Non afferrando il senso di ciò in cui siamo immersi («Salve ragazzi! Com’è l’acqua oggi?») finiamo per credere che il senso da dare alle cose sia quello assegnato a esse in modo computazionale dalle intelligenze artificiali che governano gli algoritmi delle piattaforme che frequentiamo. Ciò che non è possibile al di fuori di entità di senso come noi siamo, composte da corporeità ed emozioni, desideri e affettività, storie personali e relazioni con gli altri, lo si certifica come reale, assegnandolo (regalandolo) a semplici macchine capaci solo di funzionare ma non di esistere, di esserci e di sentire. Macchine che per di più non possiedono la complessità neuronale del nostro cervello e non sono facilmente scomponibili in semplici meccanismi o elementi spacchettabili come se fossero componenti elettronici di un qualsiasi dispositivo tecnologico. 

La realtà ci sfugge da ogni parte, pensiamo di sapere di più ma in realtà capiamo sempre meno. Uno strumento come Internet, così ricco di possibilità e opportunità, sta producendo un nichilismo culturale pernicioso che apre le porte alle false notizie, alle narrazioni inventate e alla facile e colpevole creduloneria. La manipolazione mediale e politica è accompagnata dalla manomissione costante e pervasiva delle parole che genera disinformazione crescente e misinformazione. Usate in modo improprio le parole diventano strumenti potenti per edulcorare la realtà, per manipolarla e nasconderla o per ricoprirla di una spessa polvere che rende impossibile riconoscerne la sua artificialità e provenienza.

La realtà ci sfugge da ogni parte, pensiamo di sapere di più ma in realtà capiamo sempre meno.

Tutto ciò ha effetti concreti sulla lingua che parliamo e sull’uso che ne facciamo. Si parla sempre più come si mangia (nessun riferimento a Ludwig Feuerbach) con ricadute sia lessicali sia sintattiche ma ancor più semantiche che si manifestano in “costrutti semplificati, frasi nucleari, paratassi spinta nei testi più meditati oppure di periodare ipertrofico e inconcluso, disordinato e sempre riformulato in quelli improvvisati[63]”. 

L’impoverimento crescente del linguaggio usato, si manifesta in termini lessicali (povertà di parole usate, vocaboli utilizzati in modo improprio, distorto o inappropriato), morfologici (struttura grammaticale della frase e delle parole) e semantico (si dice una cosa volendo dirne un’altra), ma anche sintattici (struttura della frase, concatenazione e funzione delle varie parti del discorso) e ortografici (sparizione della punteggiatura, delle maiuscole, accenti, ecc.), oltre alla crescente sgrammaticatura  e diffusa difficoltà nell’uso di quelle sottigliezze linguistiche che permettono di elaborare e formulare un pensiero complesso. A tutto questo va aggiunta la crescente difficoltà alla lettura e l’aumento dell'analfabetismo funzionale che in Italia (dati del 2020, fonte OCSE) è attestato al 47%. 

Il depauperamento del linguaggio ha molte origini ma nasce dalla cattiva salute di cui godono le parole, ormai ridotte a semplici comparse dentro un chiacchiericcio, spesso in forma di cicaleccio incontenibile e felicitante, generalizzato e superficiale che impedisce il rigore e il collegamento con la realtà vissuta, sia essa virtuale e online o fattuale e offline. Senza parole come si fa a elaborare e articolare pensiero complesso capace di raccontare la diversità, la pluralità e l'eterogeneità del mondo, della realtà e delle nostre esistenze? Assistiamo tutti a un decadimento della capacità di parlare, all’uso del linguaggio come mero strumento di comunicazione. Ma quanti ne sono responsabilmente consapevoli? Si assiste anche a un decadimento delle idee e alla sparizione di quella battaglia delle idee che secondo Karl Popper costituisce la sostanza della civiltà occidentale. La sparizione è determinata dalle troppe persone in giro che semplicemente parlano, chiacchierano. Senza idee vengono meno anche le azioni. 

Tutti hanno imparato a comunicare e ad argomentare attraverso i mille meccanismi e le molteplici funzionalità dello strumento tecnologico ma il linguaggio, ormai fatto di parole elettroniche, ha perso la sua capacità di appropriarsi delle cose del mondo e di trasformazione della realtà. Che poi sarebbe un modo di appropriarsi di sé stessi, anche attraverso lo scambio e l’interazione con l’Altro. Di questa realtà si parla senza interruzione ma spesso senza una adeguata conoscenza e proprietà, senza saper ascoltare, neppure sé stessi. Si parla tanto, si comunica molto, si chiacchiera sempre e in continuazione ma senza veramente parlare, dialogare. Senza saper cogliere le possibilità di sviluppo che le parole offrono per incidere nella vita di tutti i giorni, nella realtà di esseri viventi e del loro bisogno di relazioni sociali incarnate, ben al di là di ciò che si pensa o si dice. 

Senza silenzio, immersi nel brusio sfrigolante di schermi surriscaldati, si perdono i suoni del mondo, i rumori da noi prodotti e quelli causati dalle vite degli altri

Non si coglie neppure l’importanza del silenzio perché online il silenzio non può esistere. Senza silenzio, immersi nel brusio sfrigolante di schermi surriscaldati, si perdono i suoni del mondo, i rumori da noi prodotti e quelli causati dalle vite degli altri. Dove manca il rumore, dove la parola è assente, subentra l’ascolto. In assenza di silenzio non si riesce a prestare attenzione alle vibrazioni che ogni rumore o suono, anche della voce o di una parola, può generare e alle reazioni emozionali che suscitano in noi. Senza silenzio è impossibile persino sapere che cosa esso sia, conoscerne la voce e la presenza, sperimentarne le capacità nascoste, paragonabili a quelle dei caricatori elettrici oggi usati per mantenere sempre in carica i nostri smartphone. 

La comunicazione digitale obbliga all’interazione perenne, sempre veloce e quasi mai ragionata, a volte neppure guidata dal pensiero. Il silenzio che ci serve è quello vivo della comunicazione non verbale, del corpo, dello sguardo parlante ed espressivo, delle mani sulla spalla o che si stringono, dello stare in compagnia con l’Altro, che non obbliga a ricorrere alle parole per comunicare, comprendere e capirsi.  

Il tempo è sempre più coniugato al presente, sembra scomparso l’uso del congiuntivo, del condizionale e dell’imperfetto, delle forme composte del futuro e del participio passato. È come se, anche linguisticamente, ci si fosse dimenticati del passato, di ciò che ci lega all’antico e si fosse al tempo stesso diventati incapaci di proiettarsi nel futuro (“[…] viviamo in un’epoca che afferma l’ideologia del presente, dove il passato diventa spettacolo, mentre nessuno parla più del futuro […][64]”). In carenza di parole, strumenti generativi e potenti in grado di aprire ogni tipo di porta, scompare il pensiero, senza pensieri non esiste pensiero critico (“Il pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è pensabile è anche possibile.”[65]). Senza pensiero critico non c’è libertà, anche interiore, forse neppure democrazia. 

Il mondo è pieno di parole, non solo quelle che troviamo nei libri che leggiamo ma anche le parole che abitano tutta la nostra vita e le nostre relazioni, parole che spesso stanno al confine della lingua ufficiale o delle altre lingue che utilizziamo. Riflettere sulle parole e sui mondi che rappresentano, comunicano e raccontano, sulla loro distorsione semantica e degenerazione, e sulla loro sparizione (parole italiane sostituite da anglicismi[66] come follower, influencer, smartworking, transformation, blastare, da to blast, ecc., il volto che esprime lo stato d’animo sostituito dalle facce di Facebook, semplici interfacce digitali in forma di profilo), è un modo per difendere la libertà di pensiero. Una maniera per sostenere l’elaborazione di pensiero critico e complesso, fatto di capacità di selezionare, dubitare e scegliere, per ridare senso, significato e dignità valoriale a parole che negli anni si sono trasformate in cadaveri, in contenitori vuoti o di parte. 

Tutti sono chiamati a ridare senso, significato e dignità (valoriale) a parole ormai trasformate in cadaveri, in contenitori nuovi o di parte

Libertà è una di queste parole cadaveriche, diventata tale per i significati a essa associati in questo periodo pandemico di infodemia, di No-Vax e No-Green Pass. Quando una parola così ricca di significati finisce per essere semanticamente usata per sostenere opinioni contrapposte, nobilitanti così come ripugnanti, significa che quella parola è moribonda, non significa più nulla. In una condizione simile anche la libertà dell’internauta è sempre più costretta e limitata, quindi contraddittoria e negata.  Ridotta in modo utilitaristico alla libertà di (iper)consumare, è declinata in modo manipolatorio nella trasparenza di ambienti digitali nei quali l’unica vera trasparenza è quella dell’utente che produce dati e informazioni commercialmente utilizzabili e usate da altri per trasformarlo in semplice merce e consumatore. Nel suo essere prigioniero del suo cellulare, termine che non a caso richiama etimologicamente e semanticamente il cellulare che si usa per la custodia di detenuti in trasferimento dal carcere al tribunale[67].

Una prigione forse destinata a migliorare nelle sue forme architettoniche grazie al Metaverso di Meta (la Marca che ha sostituito quella di Facebook e che ora la comprende) ma che non muterà le sorti di coloro che vi saranno imprigionati. Con esiti peraltro potenzialmente distopici che si intravedono già nell’uso che della parola Metaverso che ha fatto Zuckerberg nell’annunciare la sua nuova creatura destinata alla creazione di una prigione digitale dominata dalle sue tecnologie (Oculus, Metaverse, Facebook, ecc.), dalle sue interpretazioni della realtà che nascono a partire delle parole usate. Non è un caso che i molti impegnati da anni nella realizzazione di tecnologie di Metaverso Open abbiano chiesto interventi statali perché: “The problem isn’t just that Mark Zuckerberg is unfit to be the unelected, perpetual lifestyle czar of 3 billion people — it’s that no one should have that job.[68]” 

impegnamoci tutti a ridare senso alle parole note in modo da superare la loro attuale inadeguatezza nel raccontare la realtà ma anche per inventarne di nuove

La riflessione (…attenzione al significato polisemico della parola) è un modo per ridiventare padroni della propria lingua, per ridare senso alle parole note in modo da superare la loro attuale inadeguatezza nel raccontare la realtà ma anche per inventarne di nuove (anche nuovi concetti, nuove categorie e classificazioni, “costellazioni e correlazioni di concetti[69]” lontani da ogni riduzionismo) perché i tempi che viviamo sono pieni di rivolgimenti, sono formidabili e imprevedibili, pieni di crisi in formazione, eccezionali e incredibili al tempo stesso, soprattutto inconsueti, incomprensibili e alieni ai più. 

La riflessione aiuta a Oltrepassare le parole nel loro uso corrente andando alla ricerca dei loro significati veri, legati alle loro radici e storie ma anche contestualizzati nella realtà turbolenta presente, resa crudele dalla pandemia, e nelle narrazioni traditrici che la caratterizzano. Oltrepassare le parole dentro la crisi non può essere demandato a stregoni, guru e para-guru, maghi e influencer, medium, sciamani e ciarlatani vari come quelli numerosi che si (auto)celebrano online. È un esercizio (esercitazione) che deve essere fatto da soli, non in isolamento ma comunitariamente, sempre in compagnia di altri compagni di viaggio con i quali condividere la difficoltà dell’esercizio e la ricerca di senso così come di nuovi livelli di coscienza. 

In questo esercizio di oltrepassamento alcune parole richiamano più di altre attenzione e cura. 

Sono parole il cui valore semantico è anche etico. Parole spesso (ab)usate a sproposito e fuori luogo ma che tutti dovrebbero adottare in modo cosciente, consapevole e responsabile perché rappresentano un bene comune e possono cambiare la realtà oltre che la vita, personale e relazionale, individuale e collettiva. 

Le parole sono tutte importanti ma alcune lo sono più di altre, tutte vanno esplorate e oltrepassate alla ricerca di ciò che, per ogni parola, non sapevamo di sapere, spesso per quanto superficialmente le usiamo, le scriviamo (oggi in particolare sulle piattaforme social) e le ascoltiamo. 

Queste parole valgono più della loro semplice etimologia e dei loro significati, contano per la loro storia e per la loro capacità generatrice, per l’orizzonte di senso al quale rinviano e che alimentano, per gli scenari futuri a cui danno forma, per cambiarne la prospettiva e immaginarne (costruirne) di nuove, per ricondurle a gesti e narrazioni, sempre nella consapevolezza che la totalità e la ricchezza del loro significato continueranno sempre a sfuggirci.

imparare a parlare bene, saper scegliere le parole necessarie, le migliori che servono, prestare attenzione e cura ai loro significati è un modo di esistere, di essere

 

Note

[1] Parola deriva dal termine latino paraula, dalla fusione del dittongo au in ‘o’. Paraula a sua volta è un’evoluzione di parabola, dal greco para+ballo. Para è un prefisso che indica vicinanza, ciò che sta accanto, mentre il verbo ballein significa gettare, porre.

[2] Chandra Livia Candiani

[3] Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti, Vuoi parlare con me? Dialogare nell’esistenza, Edizioni Tassinari

[4] Kornei Chukovsky ha coniato il concetto di genialità linguistica per raccontare il passaggio dalla lingua parlata alla lingua scritta, uno sviluppo della comprensione delle parole e dei loro molteplici impieghi da parte del bambino, prima nel discorso e poi nella scrittura.

[5] Dante, Paradiso, canto XVII, versetto 58-60

[6] Il concetto di infosfera senza aggettivi a cui si fa riferimento è quello usato da Berardi Bifo che correttamente usa il concetto sia per descrivere l’epoca alfabetica (infosfera alfabetica) sia quella digitale (infosfera digitale)

[7] Umberto Galimberti “Se le nuove tecnologie rendono inutile comunicare”, pubblicato nel libro Il primato delle tecnologia -Guida per una nuova iperumanità

[8] Berardi Bifo: La sollevazione – Collasso europeo e prospettive del movimento, Edizioni Manni, 2011 Pag. 104

[9] Il motion capture (conosciuto con l'abbreviazione mocap, in italiano, "cattura del movimento"), è la registrazione del movimento del corpo umano (o di altri movimenti) per l'analisi immediata o differita grazie alla riproduzione. È principalmente utilizzato nel campo dell'intrattenimento, militare, sportivo o medico. (Wikipedia)

[10] La performance capture è una tecnologia cinematografica utilizzata per catturare movimenti ed espressioni facciali di un soggetto/attore reale per poi applicarli a un personaggio virtuale. La tecnica è stata usata in numerosi film ma per la prima volta da Robert Zemeckis nel film 'Polar Express'. Il film più famoso costruito sul perfezionamento della performance capture è stato sicuramente Avatar di James Cameron.

[11]Dietro l’immagine non c’è nulla se non l’immagine stessa […]: essa si moltiplica sempre in modo identico” – Marc Augé

[12] Wilhelm Reich, il padre della psicoterapia corporea moderna.

[13] Miguel Benasayag Funzionare o esistere, Vita e Pensiero, 2019

[14] Intesa come lo spazio nel quale esercitiamo la nostra esperienza esistenziale della vita nel mondo, dalla semplice osservazione e contemplazione, all’attività tarsformativa, sempre in bilico tra esistenza ed essenza.

[15] Totalità e Infinito, Saggio sull'esteriorità, Edizioni Jaca Book, dodicesima ristampa 2021

[16]  Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis, 2021. Pag 55

[17] Emmanuel Lévinas (1906-1995), Epifania del volto

[18] Definizione dello scrittore tedesco Thomas Macho

[19] Uno spunto tratto da un articolo di Umberto Galimberti

[20] Un giorno credi di Edoardo Bennato: “metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi/Quando ti alzi e ti senti distrutto fatti forza e vai incontro al tuo giorno”

[21] Termine usato da Pier Aldo Rovatti per un suo libro pubblicato nel 2019 da Elèuthera

[22] Ernst Bloch, Il principio speranza

[23] C'è una breccia in ogni cosa ed è da lì che entra la luce

[24] La setta degli uomini senza volto conservano i volti di coloro muoiono nel loro santuario. Li appendono alle pareti come maschere macabre da usare durante le loro attività criminali. Le maschere tuttavia sono molto più di semplici maschere, chi le indossa, assume l'aspetto della persona a cui il volto apparteneva.

[25] Emmanuel Lévinas: Totalità e infinito, Edizioni Jaka Book

[26] Il termine è stato coniato da Wilhem Reich per descrivere l’energia vitale, o energia pre-atomica, di cui sarebbe pervaso l'universo e che nell'uomo si manifesterebbe come energia sessuale e libido.

[27] Termine coniato da Carlo Mazzucchelli nel suo libro I pesci siamo noi - Prede, pescatori e predatori nell'acquario digitale della tecnologia, pubblicato da Delos Digital

[28] Marc Augé, Cuori alle schermo – Vincere la solitudine dell’uomo digitale. Pag. 114

[29] Francesca Rigotti, L’era del singolo, Einaudi Editore, 2021, Pag. 4

[30]Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa.

[31] Andrea Colamedici e Maura Gancitano, L’alba dei nuovi dei. Da Platone ai Big Data - 2021, Pag 42

[32] Da un articolo di Walter Siti sul quotidiano Domani: Nella società dello spettacolo diventiamo attori di noi stessi

[33] Umberto Galimberti: Il libro delle emozioni, Feltrinelli Editore, 2021

[34] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Pag 44

[35] Il termine persona è scelto intenzionalmente per marcare la differenza con la parola individuo. A considerare individui i propri membri è la società moderna. Una società nella quale, come ha ben raccontato nei suoi libri sulla liquidità moderna Zygmunt Bauman, è sempre l’individuo che decide cosa sia buono o cattivo, lecito o illecito. Una società individualista nella quale è l’individuo ad attribuire valore alle cose.

[36] Jean Baudrillard: Il delitto perfetto – La televisione ha ucciso la realtà?

[37] Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito - Saggio sulla esteriorità, Jaka Book, prima edizione 1971, ristampa 2021, Pag 211

[38] Franco <<Bifo>> Berardi, La Congiunzione, NERO Edizioni, 2021

[39] Vanni Codeluppi, La vetrinizzazione della vita sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, 2007

[40] Anagramma di One, eletto

[41] Ugo Foscolo, Sonetti

[42] Federico Campana, Magia e tecnica - La ristrutturazione della realtà - Edizioni Tlon, 2021,Pag. 161

[43] Autore del libro Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola

[44] Silvia Ferrara, Il Salto. Segni, figure, parole: viaggio all’origine dell’immaginazione - Feltrinelli Editore, 2021, Pag. 192

[45] Da un articolo su NOVA di Piero Dominici

[46] Cosimo Accoto, Il mondo dato, cinque brevi lezioni di filosofia digitale, EGEA, 2017, Pag. 113

[47] L’uomo è antiquato (Die Antiquiertheit des Menschen), Primo volume pubblicato nel 1956, il secondo nel 1980

[48] “Il linguaggio è la dimora dell’Essere”. Gadamer, Verità e metodo, Pag. 524

[49] Donatella Di Cesare, Utopia del comprendere, da Babele ad Auschwitz, Edizioni Bollati Boringhieri, 2021, Pag. 40

[50] Montaigne: Saggi, Edizioni Giunti/Bompiani, 2019, Pag. 863

[51] Ibid Pag 863

[52] “Le manifestazioni No Vax sono organizzate da persone che parlano di libertà, ma si rendono schiave delle proprie idee non mettendole in discussione. Gli antivaccinisti non scendono in piazza per manifestare un’opinione diversa, ma corrono il rischio di diffondere il virus diventando un pericolo per gli altri: i dati dei contagi del Friuli Venezia Giulia lo dimostrano. È un fenomeno che deriva ancora una volta dal collasso della nostra cultura e della nostra scuola, non più in grado di formare menti critiche. È il prodotto della mancanza di buona educazione e di dialogo: elementi in assenza dei quali si resta bulli che si nutrono di informazioni infondate”. Umberto Galimberti

[53] Il riferimento è al capolavoro di Elias Canetti Massa e potere

[54] Edgar Morin, La testa ben fatta

[55] “[…] la parola significato si può definire così: il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio” Ludwig Wittgenstein

[56] Il riferimento è al team di social media manager che affiancano il leader della Lega, Salvini, nelle sue attività di comunicazione social

[57] Leonardo Sciascia, Processo per violenza in Il mare color del vino

[58] Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander: Superfici ed essenza. L’analogia come cuore pulsante del pensiero

[59] “L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perchè è in sé e per sé per un’altra: ossia essa è soltanto come qualcosa di riconosciuto” - Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduzione di E,de Negri, 1963, Pag. 153 vol.1

[60] E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza

[61] Ornella Castellani Pollidori: La lingua di plastica

[62] Ivano Dionigi: Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo. Edizioni Cortina, 2020

[63] Vittorio Coletti, accademico della Crusca. La frase è contenuta in un suo articolo sull’Italiano della politica pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca

[64] Marc Augé: Cuori allo schermo, vincere la solitudine dell’uomo digitale

[65] Ludwig Wittgenstein

[66] Quando si parla di anglicismi tutti dovrebbero riflettere sulla quantità di parole che rientrano in questa categoria e delle quali non si ha più alcuna percezione della loro provenienza straniera. Ne è un esempio la parola sport (da cui sportivo, sportivamente). Ma l’elenco è lungo: marketing, hobby, party, bar, film, baby, e-mail, manager, partner, convention, wi-fi, backstage, auditing, endorsement, fake news, leggings, sexting, cyborg, ecc. 

[67] L’esempio è stato fatto dallo psicologo Luciano De Gregorio

[68] Cory Doctorow

[69] Edgar Morin, Per un'educazione al pensiero complesso 

[70] Edoardo Bennato, L’isola che non c’è

[71] Lo slogan di Vittorio (Vik) Arrigoni, attivista rapito e ucciso in Palestina

[72] Edgar Morin: “La benevolenza permette di considerare gli altri non solo per i loro difetti e le loro mancanze, ma anche per le loro qualità, nello stesso tempo nelle loro intenzioni e nelle loro azioni”.

[73] Il riferimento è alla concezione dell’etica di Paul Ricoeur

[74] Duccio Demetrio, All’antica- Una maniera di esistere, Raffaello Cortina Editore, 2021, Pag. 23

[75] Edgar Morin, Il Metodo 6 Etica, edizioni Cortina, 2005, Pag. 111

[76] Definizione usata da Francesco Varanini nel suo libro: Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. E perché bisogna trasgredirle.

[77] Metaverso (Metaverse) è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar.  Quella di Stephenson è una visione futuristica dell'internet moderna, frequentata dalle fasce della popolazione medio alte ove la differenza tra le classi sociali è rappresentata dalla risoluzione del proprio avatar, e dalla possibilità di accesso a luoghi esclusivi. Esempi di metaverso sono considerati i MMORPG e le chat in tre dimensioni come Second life o Active Worlds.

[78] Francesco Varanini

[79] Jón Kalman Stefánsson: "Paradiso e Inferno", Pag 11

[80] Ode su un'urna greca di John Keats, pubblicata nel 1819

[81] Eugenio Borgna: Le parole che ci salvano

[82] Riferimento all’opera di Søren Kierkegaard Timore e Tremore pubblicata nel 1843 con lo pseudonimo di Johannes de Silentio

[83] La gentilezza che cambia le relazioni digitali - La gentilezza per le relazioni nell’era digitale, per recuperare lentezza, attenzione verso sé stessi e gli altri, la buona educazione e le buone maniere., Delos Digital, 2018 

[84] Daniel Gamper: Le parole migliori, Treccani Editore, 2021, Pag. 134

[85] LEdgar Morin L’homme e la mort - Seuil, Paris 1970, trad. ital., Newton Compton, Roma 1980

[86] Un concetto espresso dal filosofo del linguaggio Lev S. Vygotskij

[87] Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei propri avversari politici, dei propri nemici in un conflitto bellico, e sim.).

[88] Gianrico Carofiglio La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, 2021, Pag. 57

[89] Il libro di Carlo Mazzucchelli “Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta. Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale” è pubblicato in formato digitale e cartaceo da Delos Digital

[90] Il fenomeno della «retrotopia» deriva dalla negazione della negazione dell’utopia, che con il lascito di Tommaso Moro ha in comune il riferimento a un topos di sovranità territoriale: l’idea saldamente radicata di offrire, e possibilmente garantire, un minimo accettabile di stabilità, e quindi un grado soddisfacente di fiducia in sé stessi. (Zygmunt Bauman, trad. di Marco Cupellaro, Repubblica, 3 settembre 2017, Robinson, p. 16) 

[91] Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». 

[92] Binge watching è un termine della lingua inglese con cui si indica l'atto del binge-watch, ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente la pratica di usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste. Traducibile in italiano con "maratona televisiva", in inglese per tale azione sono anche usati i termini binge viewing e marathon viewing.  Evoluzione di tale pratica è il binge racing (tradotto in italiano come gara di abbuffata), ovvero il guardare l'intera serie tv in sole 24 ore; tale pratica, che coinvolge circa 8,4 milioni di fruitori, è praticata specialmente sulle piattaforme televisive, in cui gli episodi delle serie tv vengono rilasciati insieme simultaneamente. (Wikipedia)

[93] Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta. (Wikipedia)

[94] Il concetto è stato spesso usato nei suoi libri dal Cardinal Ravasi, riprendendo una terminologia usata da Teilhard de Chardin per il quale il linguaggio diventa epifania e trasparenza della rivelazione divina. In esso si manifesta la potenza del Logos del prologo giovanneo, già evocato, secondo la semantica semitica sottesa. In ebraico, infatti, dabar, “parola”, significa contemporaneamente anche “atto, evento”. Dire e fare s’intrecciano.

[95] I concetti qui espressi fanno riferimento al pensiero di Paul Ricoeur

[96] Spunti tratti dal pensiero di Iris Murdoch

[97] Edgar Morin, Etica, Cortina Editore, Pag. 51

[98] Daniel Gamper; Le parole migliori, Treccani editore, 2021, Pag. 68

[99] Ece Temelkuran, La fiducia e la dignità, Bollati Boringhieri Editore, 2021,

[100] Spunti tratti dal libro di Ermanno Bencivenga: Parole che contano

[101] È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire io sono pensato. – Scusi il gioco di parole. IO è un altro. Questa formula ricorre in due lettere della Corrispondenza di Arthur Rimbaud: nella lettera del maggio 1871 a Georges Izambard – professore di Rimbaud al collegio, ma anche amico e confidente che lo iniziò alla letteratura; ed in quella immediatamente successiva a Paul Demeny amico di Izambard, a sua volta poeta, risalente al 15 maggio 1871.

[102] Come ha per tempo ben spiegato il filosofo Maurizio Ferraris nei suoi libri lo smartphone è usato più per scrivere che per parlare. Più che un telefono è una lavagna trasparente e condivisa.

[103] Lamberto Maffei, Elogio della parola, Edizioni Laterza, 2018, Pag. 7

[104] La poesia nella sua versione in inglese: Be Careful of Words - Be careful of words, even the miraculous ones. For the miraculous we do our best, sometimes they swarm like insects and leave not a sting but a kiss. They can be as good as fingers. They can be as trusty as the rock you stick your bottom on. But they can be both daisies and bruises. Yet I am in love with words. They are doves falling out of the ceiling. They are six holy oranges sitting in my lap. They are the trees, the legs of summer, and the sun, its passionate face. Yet often they fail me. I have so much I want to say, so many stories, images, proverbs, etc. But the words aren’t good enough, the wrong ones kiss me. Sometimes I fly like an eagle but with the wings of a wren. But I try to take care and be gentle to them. Words and eggs must be handled with care. Once broken they are impossible things to repair.

[105] Anne Sexton (Weston, 4 ottobre 1974) è stata una scrittrice e poetessa statunitense. Dopo diversi tentativi di suicidio, il 4 ottobre del 1974, anno del suo divorzio, Anne Sexton scese in garage e dopo aver acceso il motore della sua macchina si lasciò morire inalando il monossido di carbonio. È sepolta al Forest Hills Cemetery & Crematory a Jamaica Plain, Boston, Massachusetts.

[106]La frase è una riflessione di Donatella Di Cesare fatta nel suo libro Utopia del comprendere, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2021, Pag.22

[107] Byung-Chul Han (2014). Razionalità digitale. La fine dell’agire comunicativo

[108] Spunti tratti dal libro di Zygmunt Bauman Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.

[109] Termine utilizzato da Emmanuel Lévinas per rappresentare la dimensione dell’alterità e dunque il senso della comunità e della responsabilità.

[110] Zygmunt Bauman: Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.


StultiferaBiblio

Pubblicato il 08 maggio 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

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