La solitudine del social networker
Anno:
2014
Casa editrice:
Delos Digital

La solitudine del social networker

Siamo oltre sette miliardi ma sempre più soli.

Le tecnologie mobili e sociali e le applicazioni di social networking hanno moltiplicato i contatti tra le persone ma non sono ancora riuscite a sostituire la potenza di uno sguardo, la valenza di un gesto, il contatto faccia a faccia e le molte emozioni scatenate dai sensi e dagli affetti.

Avvertiamo tutti le potenzialità delle nuove tecnologie ma anche il rischio di maggiore isolamento, del senso di solitudine e di nuove angosce.

Argomenti affascinanti ma anche pieni di ambiguità che sollecitano riflessioni approfondite e producono opinioni antitetiche che vengono esposte in modo trasparente nel libro.

L'obiettivo finale è di illustrare come "combattere l'isolamento e la solitudine negativa, causa di sofferenza, angoscia e ansia, e dare maggiori opportunità a quella creativa, fonte di maggiore benessere (well-ness) e maggiore felicità".

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Non esiste nulla di serio

Molti vivono le loro vite come un gioco. Forse l’intera vita è tutta un gioco, quindi hanno ragione loro. Se hanno ragione, coloro che sono seri e contrari al gioco, stanno in realtà giocando anche loro. Alcuni forse stanno operando per rendere il gioco un po’ più serio.

(Tecno)utopie, cacotopie e distopie

Dentro il fallimento della politica nell’era della postmodernità, l’utopia può essere il modo per ripartire da nuove ideologie (peraltro mai morte) per dare loro una carica immaginativa prospettica che serva sia per captare l’emergente, sia per orientare e dare forma all’avvenire. Un avvenire che appare oggi a molti come portatore di utopie negative alla Brave New World (Huxley), di distopie, molte in forma di tecno-distopie come quelle descritte da Dave Eggers in Il Cerchio e soprattutto nel suo ultimo romanzo The Every.

Il tempo del disincanto

Viviamo il tempo del disincanto, percepiamo e forse abbiamo anche compreso quanto sian illusorie le promesse della tecnologia e delle sue piattaforme. Il disincanto nasce dalla consapevolezza di quanto lontana sia la felicità promessa e insufficienti le gratificazioni e i doni elargiti da piattaforme sempre più abuliche nella lororicerca affamata di dati e informazioni. Il disincanto nasce anche, per alcuni, da una accresciuta consapevolezza sull'essere stati trasformati in semplici consumatori, merci.

Metaverso: il naufragar m’è dolce in questo mare!

Il naufragare dell’Infinito di Leopardi suggerisce il viaggio che riprende dopo il naufragio e la possibilità di nuovi inizi dopo il disastro incombente. Il naufragare odierno, anche quello psichico e della mente, è invece sintomatico dello smarrimento che ci attraversa tutti, della deriva di cui siamo al tempo stesso vittime, complici e protagonisti.  In questo smarrimento, frutto anche di tanta scontentezza e malcontento, il Metaverso ci appare come una destinazione ambita perché dentro mondi irreali (nell’iper-realtà direbbe Braudillard), fuori dal mondo, in fondo al mare (novella Atlantide), lontano da una realtà percepita sempre più come complicata, incerta, infelice.

Cresce il bisogno di silenzio…mediale!

Il silenzio e il tacere sono pratiche che tutti oggi dovrebbero individualmente adottare anche nella rete e sulle piattaforme social da molti abitate in pianta stabile. Il chiacchiericcio di fondo fatto di cose, comportamenti, eventi tutti uguali impedisce qualsiasi tipo di approfondimento, di riflessione, di ascolto, di comprensione e di conoscenza. La parola ha perso di significato, la comunicazione è diventata una coazione, la libertà, la riflessione e il pensiero sono vissuti come un gioco. Un modo per allontanarsi dalla confusione che regna sovrana nel mondo reale e forse dentro ognuno di noi. In questo contesto recuperare e riscoprire il silenzio non porterà a maggiore pace e serenità ma è diventata una necessità.

Storie dalla fine del mondo

Senza catastrofismi, evitando di lasciarsi prendere dal pessimismo, dall'angoscia e dall'ansia, ma con realismo, in questi tempi di policrisi, tutti possiamo condividere la percezione di un'epoca al suo tramonto. Un'epoca che vede il declino, per alcuni la disfatta, dell'Occidente ma soprattutto il benire meno delle certezze che nel secolos corso avevano fatto immaginare un progresso e un benessere senza fine. Così non è e il terzo millennio ce lo ricorda ogni anno. Per questo riflettere sul vivere alla fine dei tempi può essere utile, anche per esorcizzare quello che non vorremmo e forse non vogliamo neppure vedere.

Disorientati e in fuga nel Metaverso

Il Metaverso è già qui e non se ne andrà perché viviamo già dentro mondi virtuali scambiati per reali. Dobbiamo imparare a conviverci, provare ad abitarlo e sperimentarlo, in tutte le forme nelle quali si materializzerà. Conviene però farlo con disincanto, (tecno)consapevolezza, capacità critica, ricordandosi sempre di essere umani. Ibridati e aumentati tecnologicamente, trasformati digitalmente, ma sempre esseri umani, persone prima ancora che individui, capaci di libero pensiero e di libertà di scelta. Il Metaverso prossimo venturo in formazione come ambiente proprietario spingerà verso mondi disincarnati, (f)utilitaristici e individualisti, ma non potrà mai essere separato dal mondo reale.

Eventi, cornici e social network

La nostra vita è piena di eventi, tutto è vissuto come un evento, oggi sempre declinato al presente continuo del tempo tecnologico a cui siamo assuefatti. Ogni evento determina nuovi orizzonti di senso, il modo con cui percepiamo e ci relazioniamo alla realtà.

Intelligenza artificiale e…Ucraina

Mentre tutti ci stiamo trasformando in esperti di geopolitica, conviene diventare edotti che la complessità del mondo ha generato elevata fragilità umana. Nella catastrofe percepita tra gli effetti c’è la difficoltà a cogliere l’intero e la perdita del valore complessivo della vita. Bisogna ritornare a pensare, a esercitare il sentire e l’immaginazione, soprattutto bisogna interrogarsi sugli orizzonti di senso delle nostre esperienze. Pensare non basta, bisogna che il pensiero sia radicale, capace cioè di rompere il modo di pensare consolidato e conformistico, un pensiero quindi non conformista, aperto a visioni larghe e informate.

Distanti e online, per rimanere vivi?

Lo sguardo è ricettacolo di verità e illusione, parole e pensieri, responsabilità e sregolatezza, rughe di pensiero ed espressioni di inconsapevolezza. È dentro lo sguardo che si scontrano da un lato il bisogno di un altro volto, fatto di carne e di sguardi, che possa incrociarlo, comprenderlo o “salvarlo”. Pensiamo allo sgurado di un bambino di Gaza o di una bambina ucraina che vive con terrore i bombardamenti dei luoghi in cui abita.

Ma cos’è questa crisi!

La crisi è tema ricorrente di narrazioni mediali, almeno di quelle poche che ancora sono ancorate alla realtà e ai problemi reali emergenti quali disoccupazione, precarietà del lavoro, povertà (preferiamo non vederla), disuguaglianza, immobilità dell’ascensore sociale, paura del futuro, ansia e disturbi psichici, tristezza e aumento dei suicidi. A confermare queste narrazioni c’è la percezione di tutti, soprattutto delle nuove generazioni, di sentirsi con le spalle al muro, senza più certezze, incapaci di fare delle scelte e di decidere perché in difficoltà a immaginare futuri diversi (“Predire il futuro non si può, lo si deve. Lo si deve perché non lo si può”), primo passo per provare a imprimere agli eventi correnti una direzione per realizzarli.

OLTREPASSARE – Intrecci di parole tra etica e tecnologia

Dentro mondi virtuali, in assenza di corpo, di volti e di sguardi, viviamo pseudo-vite digitali, determinate dal volere di codici stranieri, algoritmi prepotenti e servitù volontarie. Il disincanto tecnologico emergente suggerisce il distacco dal tempo presente per andare oltre e altrove, per mettersi in viaggio, oltrepassare, alla ricerca esperienziale di nuove formule esistenziali utili a vivere dentro le innumerevoli crisi di questo mondo. Obiettivo di questo viaggio, tra etica e tecnologia, è la riscoperta del valore umano dell’esistenza e di nuovi orizzonti di senso, è il recuperare una socialità incarnata che permetta di incontrare ed entrare in contatto con l’Altro nella sua alterità e unicità, inteso come persona con la quale ritrovarsi. Lungo questo cammino, il primo passo consiste nel tornare a porre attenzione alle parole, al linguaggio, al parlare comune.

Carta o schermo pari (non) sono?

In un contesto dominato dalla tecnologia digitale e dalle nuove conoscenze delle neuroscienze e della psicologia cognitiva, interrogarsi sul ruolo della lettura nello sviluppo del nostro cervello e nell’apprendimento può essere un viaggio utile e pieno di sorprese. Immersi dentro il surplus informativo della nostra epoca tecnologica e digitale, il rischio è di vedere messa in crisi l’emergenza della conoscenza e l’apprendimento, ma soprattutto la capacità della lettura profonda.

Metaverso e Nostroverso

Viviamo un’era tecnologica caratterizzata dalla sparizione del corpo, trasformatosi ormai in profilo digitale, avatar, simulacro, semplice riflesso dentro uno schermo specchio. Senza dover attendere il Metaverso, siamo già dentro mondi virtuali nei quali viviamo pseudo-vite digitali determinate da codici stranieri (software), algoritmi e intelligenze artificiali. Mentre aspettiamo di vedere il “Metaverso mondo” che ancora non esiste, è arrivato il tempo del disincanto, del distacco, dell’andare oltre ed altrove. Per farlo bisogna praticare l’Oltrepassare: pensare, porsi delle domande, approfondire, scegliere. Con l’obiettivo di recuperare una socialità incarnata, il con-tatto con l’Altro inteso come persona con la quale ritrovarsi, cambiare il ritmo della propria vita e tornare a esistere, davvero.

Guarda in alto, oltre lo schermo!

Una riflessione sul film Don't Look Up per dire che il vero messaggio del film è il richiamo a guardare con occhi diversi, attenti, non superficiali ma profondi, con razionalità ed emotività, alla realtà e a cosa ci sta succedendo, alla stupidità diffusa, al linguaggio che pratichiamo, a come si è ridotta la politica, alle emergenti tendenze antiscientifiche in forma di teorie complottiste, alla tanta disinformazione circolante e in particolare alla misinformazione da noi stessi auto-alimentata.

Mondi reali e mondi falsamente felicitari

I dati Istat degli ultimi anni raccontano la disperazione e l’infelicità crescente di moltitudini di persone diventate più povere, precarie e depresse. Invece di parlarne alla ricerca di soluzioni concrete per combattere la situazione corrente, elaborare teorie e pratiche volte a cambiarla, nelle forme e nelle condizioni materiali, ci si cimenta nella celebrazione di teorie, approcci e pratiche felicitarie.

Sentirsi diversi e all’antica

La consapevolezza di essere diversi può portare a ricercare l’anonimato. O semplicemente a sognare un mondo diverso, all’antica, non ancora governato dalle macchine e dalla loro pervasiva penetrazione nella vita di ogni giorno. Ecco che allora, mentre tutti ormai sognano Metaversi mirabolanti, ChatGPT dall’attrattiva e ambigua parlantina, c’è chi si ritrova a sognare mondi all’antica, abitati da diversi, persone solitarie, amanti della solitudine e dell’isolamento, refrattari a ogni forma di celebrazione e visibilità online, persi dentro libri di filosofia, in ascolto di Arvo Part, Leonard Cohen, David Darling e Jan Garbarek.

Labirinti e metaversi

Non tutti i labirinti sono uguali, imparare a conoscerli e capirli è indispensabile, soprattutto perché il labirinto moderno è ibridato tecnologicamente, è diventato digitale e virtuale, cognitivo e psichico. A differenza del labirinto di Cnosso, dal percorso pauroso ma lineare e di quello unicursale che porta a qualche centro o punto cieco, il labirinto digitale non è un’esperienza esistenziale (incontro con il Minotauro, prove da superare, ecc.) ma è mediato e condizionato dalla parzialità e limitatezza degli spazi sperimentati che impediscono ogni visione globale. È contagioso, virale, porta alla cecità (leggete Saramago) e quindi a muoversi a tentoni. Per questo è inutile cancellarsi dai social o staccare la spina.

Sorpresi di essere sorpresi?

Complessità, incertezza e fragilità dominano il nostro quotidiano, hanno distrutto le nostre illusioni postmoderniste, forse anche la nostra immaginazione. Eppure, le crisi attuali sono per tutti una grande opportunità. Di ripensamento e di riflessione, di presa di coscienza e consapevolezza con l’obiettivo di recuperare la complessità dell’umano e provare a (re)immaginare nuovi scenari futuri, diversi da quelli ai quali ci siamo quasi rassegnati.

Siamo in un labirinto

Senza rendercene conto ci siamo costruiti la nostra caverna, a forma di acquario dalle spesse pareti e a forma di voliere dalle grate insuperabili. In realtà la caverna è un immenso e rizomatico labirinto, che si va deteriorando e ammuffendo, noi con esso. Le crepe che lo caratterizzano (“There is a crack, a crack in everything That’s how the light gets in“ – Leonard Cohen) permetterebbero di cercare la luce e aprire dei varchi per volare fuori, come novelli Icaro alla ricerca di libertà. Mentre ci si crogiola al calduccio del labirinto le sue crepe e fessure si riempiono di muffa oscurando anche i pochi sprazzi di luce filtranti e aumentando il decadimento generale. La muffa è pervasiva, (dis)informativa, mediatica, cognitiva, ludopatica, manipolativa, diseducativa, presentista, conformista (non fare nulla di diverso dagli altri!), omologante, massificante.

Memoria umana e documanità

Il filosofo Ferraris sostiene da tempo una visione del futuro come radicale cambiamento rispetto al passato per la capacità che ci è data di registrare (documentare) ogni cosa. Grazie alla tecnologia digitale, una registrazione è oggi alla base di ogni comunicazione e interazione, tutto ciò che è registrato diventa sociale. Anche perché più che parlare, oggi scriviamo, più che telefonare, chattiamo e messaggiamo. Tutto questo sta determinando l’emergere di una nuova umanità, una documanità, il risultato di una evoluzione di uomini documentali che attraverso la tecnica hanno sempre lasciato tracce di sé, come Homo faber prima ancora che come Homo sapiens.

Serve una riflessione critica sulla tecnologia e i suoi effetti

La critica è necessaria. Serve a mettere in discussione i modelli correnti proponendo nuovi approcci basati sulla lentezza, sulla maggiore attenzione agli strumenti che usiamo, sulla relazione e non sulla connessione, sull’esperienza incarnata. Bisogna riconoscere che dispositivi, piattaforme, robot, algoritmi ci stanno rendendo meno umani, simili a macchine, che la tecnologia ha impatti sull’umanità intera incidendo sui nostri sensi e pensieri, sulle decisioni e i giudizi, sull’attenzione, sui desideri, sul nostro essere cittadini, sulle nostre relazioni, su come ci informiamo e rimaniamo informati, persino sulla comprensione della realtà, di cosa significhi essere umani, di chi siamo e cosa dovremmo fare per costruire i nostri possibili futuri.

In assenza di corpi ci innamoriamo di macchine

Siamo sempre in movimento verso Altrovi virtuali e digitali, dovremmo farlo attraverso esperienze esistenziali fatte di scelte e di azioni etiche capaci di dare un senso alla vita, anche a quella degli Altri, rivalutando i loro volti e gli sguardi. Nella consapevolezza che il nostro essere è bisognoso dell’Altro, dipende dalla vicinanza e dalla presenza, dalla comunicazione con e dal riconoscimento dell’Altro, dal suo desiderio a noi rivolto che poi è un desiderio di farsi riconoscere, uguale al nostro. Anche nella conflittualità che ne deriva. A caratterizzare l’incontro è lo sguardo, a volte reificante, giudicante, sconvolgente e destabilizzante ma anche rincuorante perché fa sentire meno soli, capiti, compresi, ci identifica, ci fortifica, riempie il nostro vuoto, attiva in noi nuove possibilità e ci realizza, pur nella contrapposizione, nella negatività e nella conflittualità. Recuperare corpo, volto e sguardo è diventata una missione per tutti ma per realizzarla serviranno coraggio, capacità di pensiero e tanta cura.

Abbiamo perso il sonno?

Nell’era del brusio digitale pervasivo che agisce come un acufene inguaribile e patologico tutti sentiamo forte il bisogno di silenzio mediale. Alla ricerca di tranquillità, anche psichica, di riposo, rilassatezza e “profondissima” quiete. Questo bisogno di silenzio non trova facilmente soddisfazione. Non lo soddisfa neppure il sonno ristoratore di cui tutti abbiamo bisogno. Di silenzio c’è bisogno per prendere sonno e per dormire, ma oggi si dorme male, si dorme sempre meno o non si dorme affatto.

Carezzare le parole - Oltrepassare come azione etica

Di parole in forma di carezze tutti hanno oggi un grande bisogno, forse ne hanno anche un insopprimibile desiderio. Un bisogno diventato urgenza a causa di un contesto comunicazionale e relazionale, mediato tecnologicamente e dentro l’infosfera, nel quale a prevalere è la brutalità del linguaggio, spesso declinato in parole violente, velenose, nella forma di schiaffi, calci e pugni in faccia, ma anche la sua auto-referenzialità, il cinismo, la comunicazione tautologica e centrata sul sé che lo caratterizzano. Il bisogno insoddisfatto che genera solitudini, ansie, disturbi psichici e depressioni, alimenta solipsismi e crea “eremiti di massa che comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo, separati l’uno dall’altro, chiusi nel loro guscio come i monaci di un tempo sui picchi delle alture.” - 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.

Carezzare le parole: Il volto e le facce

La proliferazione di simulacri, avatar, simbionti e cyborg vari che hanno la pretesa di umanizzare la macchina non sopprime una specificità tipicamente umana, l’unicità del volto di ogni persona, il fatto che noi siamo differenza. 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.

Carezzare le parole - Persi dentro schermi magnetici e luccicanti

La solitudine, anche della parola, è vissuta dentro schermi lucidi e trasparenti, attrattivi e magnetici, totemici, oggetti magici da strofinare come vere e proprie lampade di Aladino. Schermi capaci di inaridire ogni forma di empatia; specchi riflettenti dentro i quali singoli individui possono vedere la propria immagine riflessa così come un pesciolino in un acquario vede la propria dentro la parete trasparente che lo tiene prigioniero illudendolo di essere in mare aperto - 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.

Carezzare le parole - Ambienti digitali e forza delle parole

L’ambiente digitale nel quale tutti sperimentiamo la vita, ben diverso da quello naturale e ostile che percepiamo nelle crisi climatiche in atto, e il valore delle parole che lo raccontano si è fatto atmosfera, piattaforma, apparato. - 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.

Carezzare le parole - La ricchezza delle parole

Le parole non sono di per sé povere di significati, subiscono una variabilità semantica che rendono instabile la relazione tra significante e molteplici esiti semantici che sempre si manifestano in ogni dialogo tra persone che parlano di uno stesso argomento. Le parole sono per loro natura polisemiche, mai assimilabili a singoli concetti, spesso generate per semplice analogia e sempre espressione di una pluralità di accezioni, in particolare le parole più usate. - 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.

Carezzare le parole - Sempre connessi mai congiunti

Siamo tutti connessi ma non più congiunti (collegati) con gli altri, forse neppure con noi stessi. Alla costante ricerca di esperienze gratificanti, viviamo allegramente una nevrotizzante esperienza  di schizofrenia diffusa, condivisa con altri come noi, che produce frustrazione e impedisce di sperimentare nuove esperienze. - 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.

La lezione del tram. L'intelligenza umana nell'era dell'automazione assistita

A volte succede: su un tram qualunque, in coda all'ufficio postale, nel margine d'attesa che separa un impegno dal successivo, avvengono incontri che nessun algoritmo saprebbe orchestrare. Persone reali, lontane dai riflettori digitali e dal narcisismo da guru su LinkedIn, condividono pensieri non richiesti, osservazioni sgrammaticate ma autentiche, frammenti di vissuto capaci di smontare certezze. Non si tratta di conversazioni memorabili per stile o profondità, ma per la loro capacità di introdurre un dubbio fertile, un cambio di prospettiva. A ben vedere, è da queste crepe nel quotidiano che filtra la luce dell'apprendimento più umano: non riproducibile, non scalabile, ma trasformativo.

Nei labirinti della tecnologia

Un testo usato come premessa del mio libro 𝗡𝗲𝗶 𝗹𝗮𝗯𝗶𝗿𝗶𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮, pubblicato con Delos Digital a fine 2014. "Il labirinto è tutto tecnologico, reticolare, virtuale e reale al tempo stesso. Non è nato da solo, lo abbiamo costruito noi su misura, per divertimento e per soddisfare bisogni e necessità. Poi ci siamo persi al suo interno e abbiamo scoperto i numerosi Minotauri che cercano di dominarlo. Oggi lo abitiamo in modo incosciente e pieni di dubbi, correndo numerosi pericoli, dei quali non siamo sempre consapevoli, e sperimentandone anche le molteplici opportunità. Uscirne non è facile e forse neppure lo vogliamo."