“Secondo Spinoza, le due emozioni fondamentali dell’essere umano sono la paura e la speranza. L’incertezza è il modo in cui viviamo le possibilità che derivano dai molteplici rapporti tra paura e speranza. […] Quando a paura è tale da far perder completamente la speranza, l’incertezza al ribasso si trasforma nel suo opposto, cioè nella certezza del destino.” – Boaventura De Sousa Santos, La fine dell’impero cognitivo. L’avvento delle epistemologie del sud – Castelvecchi, Roma 2021, Pag. 423
In un libro di M. De Giuli e N. Porcelluzzi pubblicato da Nero edizioni, il sottotitolo relativizzava la parola fine ricordando che il mondo che starebbe finendo sarebbe quello attuale, ma “per quello che lo conosciamo”. Utile chiarificazione perché non è detto che noi oggi si conosca realmente il mondo a cui pensiamo o crediamo di appartenere. Anche considerando il livello attuale di disinformazione e manipolazione raggiunto, favorito dal surplus informativo e dalla credenza diffusa di essere tutti informati che ingannano le mappature cognitive della realtà di molti se non di tutti noi. Due anni di pandemia ci hanno fatto capire che non siamo più padroni “né a casa nostra né nei nostri corpi”. E ora una guerra dalle conseguenze imprevedibili ci fa capire che anche ciò che sembra impossibile è in realtà sempre possibile. E mentre tutto ciò succede, parafrasando una annotazione di Kafka nel suo diario: “La Russia ha attaccato l’Ucraina. Nel pomeriggio post su Linkedin, acquisto su Amazon, e poi lezione di tennis, in serata una bella serie distopica su Netflix.”
Vivere alla fine dei tempi
Trent’anni di rivoluzione tecnologica ci hanno fatto credere che nulla avrebbe potuto fermare la gioiosa macchina “da guerra” del progresso. Chi prova o ha provato a raccontare una storia diversa non ha avuto molti follower, oggi non può neppure gioire per avere fatto la previsione giusta. Eppure, oggi più di ieri, è diventato utile, oltre che urgente, smontare alcune credenze diffuse per provare a demistificarle, rovesciarle e capovolgerle. Avendo chiaro in testa che l’apocalisse in arrivo non contempla una nuova guerra fredda ma, come ha scritto Slavoj Žižek una “pace calda, una pace che assomiglia a una guerra ibrida permanente”, cronica. La guerra ibrida si accompagna con l’ampliamento delle dimensioni interessate al conflitto, dentro un’epoca che ha visto la rottura di tutti gli schemi. In un contesto nel quale si confrontano tante tigri di carta che, proprio per questo, sono molto più pericolose delle tigri vere. Tigri di carta che assomigliano a ciechi che si impuntano nel guidare altri ciechi!
Problemi in paradiso
Ciò a cui assistiamo in questi giorni di guerra è la testimonianza più dolorosa e più forte di quanto fosse illusorio il paradiso di pace e di prosperità dello storytelling conformisticamente egemone. Con il risultato di nascondere il fatto che stiamo vivendo uno dei periodi storici più pericolosi. Forse è tempo di ammettere che qualche problema in paradiso c’è. In un mondo nel quale domina la disuguaglianza, cresce la povertà, le democrazie sono a rischio e la prosperità non riguarda che una minoranza dei cittadini del mondo, la pace è un semplice eufemismo, un placebo narrativo. E la guerra in Ucraina è l’ennesima dimostrazione che non ci sia nulla di più vero tranne le esagerazioni. I problemi sono distribuiti ovunque e stanno alimentando la lava sotterranea che esploderà. La cosa interessante è che lo percepiamo tutti ma preferiamo sentirci colpevoli di non fare nulla piuttosto che fare qualcosa. Tra le certezze che abbiamo c’è oggi l’idea che tolto di mezzo il tiranno di turno tutto tornerà come prima. Una pia illusione perché se si vuole risolvere veramente il problema bisogna impegnarsi a trasformare la stessa realtà che a quel tiranno ha dato origine. Ma l’impegno non può essere (es)temporaneo, la mobilitazione non può essere una pseudo-partecipazione. Deve andare oltre le semplici manifestazioni per la pace, oltre la solidarietà verso le popolazioni colpite dalla guerra.
Quando la frittata è fatta!
Ormai la frittata è fatta, con il consenso generale. “Tra concorrenti, ballerine, mostri, autorità e consigli per gli acquisti the egg is broken paisà”, cantava Edoardo Bennato. Ora mancano persino le uova per farne un’altra. La frittata è la metafora della crisi sistemica in atto, dell’entropia che monta in tante parti del sistema Terra, delle criticità improvvise e inattese che si manifestano. Concentrati come siamo sulla frittata non cogliamo le trasformazioni in corso a partire dalle semplici uova (alcune di struzzo) da cui si è originata. Non cogliamo neppure la metafora tanto il nostro linguaggio si è impoverito, con effetti evidenti sul pensiero e di tipo cognitivo. Nel frattempo, la Storia accelera e ciò che fino a ieri sembrava impossibile diventa possibile, ciò che alcuni avevano immaginato, diventa per tutti reale. Oggi, a guerra iniziata, ancora meno riescono a immaginare verso quali scenari il tutto sia destinato ad arenarsi e/o a schiantarsi. Molti hanno intanto compreso che stiamo sperimentando la frantumazione delle illusioni di un’intera epoca storica e la crescente difficoltà a dialogare. Tutto ciò mentre le situazioni cambiano rapidamente, soprattutto cambiano le emozioni e gli stati d’animo, forieri, in positivo o negativo, di scenari futuri non prevedibili e capaci di spaventare.
Usiamo il cervello
Il nostro naturalmente, non quello artificiale e ibridato tecnologicamente in costruzione. Un cervello che, insieme a tutti gli altri componenti del corpo umano con cui pensiamo e interagiamo con gli oggetti, la realtà e noi stessi, non sembra essere stato capace di cogliere le emergenze in via di formazione, forse perché dotato di capacità cognitive inadeguate a comprenderle. Usando il cervello il punto da cui partire è che, se ci troviamo qui a parlare di fine del mondo forse è perché, della sua potenziale fine, ne siamo responsabili. Un altro modo per capire a cosa mi riferisco è il passaggio dalla cancel culture recente alla russofobia attuale che oggi si manifesta con la cancellazione stupida, poi ritrattata, di un corso su Dostoevskij alla Bicocca di Milano, così come ieri si voleva bandire stupidamente i libri di Philip Roth per la sua presunta o reale misoginia. Il richiamo a usare il cervello non è alla semplice razionalità ma all’istinto di sopravvivenza che dovrebbe portarci a riconoscere i numerosi fatti inquietanti che ci stanno intristendo e psichicamente rovinando l’esistenza. Ad esempio, portandoci a chiederci se dopo la pandemia e la guerra siano già pronte altre crisi della cui emergenza non siamo consapevoli. Covid-19, guerra in Ucraina, crisi ambientale, ecc. non fanno altro che aumentare le nostre dissonanze cognitive che ci spingono più a negare l’evidenza che a comprenderla, a ignorare più che a conoscere, a rifugiarci nella paura, nei sensi di colpa e nell’ansia più che ad impegnarci per informarci di più e meglio, a riflettere, a pensare, ad analizzare, insomma a usare la nostra mente e il nostro cervello, anche per vincere la fatale attrazione per apocalissi future e fini del mondo variamente raccontate. Ma anche per superare il fatalismo, forse coltivato ad arte, che non ci siano più alternative. Al contrario basterebbe superare l’apatia immaginativa collettiva indotta per capire che lo spazio del possibile non è poi così circoscritto come ci si racconta. Il primo passo dopo la conoscenza, la consapevolezza e la responsabilità è il ritorno all’impegno civile, politico, da cittadini.
Non ci salverà una magia
Ora impegniamoci tutti in difesa del popolo ucraino e contro la guerra, ma non dimentichiamo che la fine della guerra non può essere il punto di arrivo del nostro impegno. Siccome le magie non sono possibili è necessario immettersi fin d’ora, a partire dalla (tecno)consapevolezza su nuovi percorsi, nella società così come nella propria interiorità. Nella società per dare forma concretamente a nuove idee di futuro. Dentro di sé perché dobbiamo tutti tornare a essere umani, meno cyborg e più corpi in movimento, meno facce e più volti, meno dita e più mani, meno schermi e più sguardi, meno algoritmi e più codici e valori umani, più intelligenza e meno intelligenza artificiale, meno tempo presente e più futuro, più natura e meno metaversi.
Viviamo un'epoca senza etica, di vuoto morale, dentro una dimensione apocalittica del presente: collasso ecologico, riduzione dell'umano alla macchina, controllo digitale sulle nostre vite