Abbiamo tutti bisogno di utopie
La tecnologia ha ucciso le Utopie e favorisce le distopie. Alimenta mondi illusori e ludici che hanno trasformato le utopie in videogiochi e metaversi, gli spazi più lontani possibile da ogni forma di utopia.
In una realtà che crea e racconta distopie, continuare a pensare a utopie ed eutopie (“utopie per”) future possibili è un toccasana mentale, psichico, politico e intellettuale. Il contesto nel quale le possibili utopie potrebbero prendere forma non è favorevole come poteva esserlo in anni nei quali molti sognavano l’impossibile, agivano per cambiare le cose in meglio per sé e per gli altri.
La crisi ha investito tutto e tutti determinando un’incertezza generale densa di ansie e di angosce che impedisce il ricorso allo strumento (non modello) dell’utopia come dimensione progettuale, la sua stessa elaborazione e immaginazione. Non rimane che la fuga nella fantascienza, nella realtà virtuale dei mondi online in attesa di metaversi prossimi venturi o la passiva accettazione di distopie in formazione, oggi anticipate da innumerevoli serie televisive, film e narrazioni mediali nelle quali amiamo perderci ogni sera seduti su un divano.
Breve storia dell’utopia
Per riscoprire l’utopia può essere utile riprendere le utopie letterarie del passato. Facendone una breve storia si può partire dalle molte età dell’oro descritte da autori come Omero, Esiodo e Virgilio ma soprattutto Platone (La Repubblica) con la sua colonia cretese di Magnesia del libro Le Leggi. Dopo quasi quindici secoli di letargo persi alla ricerca del Regno di Dio (le Apocalissi dell’anno Mille e i Milenarismi vari), vivificati dalle utopie eretiche dentro e fuori la Chiesa, l’utopia risorge con Thomas More (utopia come nessun luogo, un “da nessuna parte”) e si espande attraverso Erasmo da Rotterdam (Elogio della Follia), Leon Battista Alberti, Tommaso Campanella con la sua Città del sole, Rabelais, Bacone (La nuova Atlantide), Hobbes con il suo Leviatano, il secolo dei Lumi, fino la Rivoluzione Francese. Alla base di questa elaborazione intellettuale c’è l’annuncio di mondi possibili, anche se alla rovescia, la denuncia della presunta legittimità dei mondi alla diritta. Poi vano ricordate le molte Utopie minori raccontate da autori come Fènelon (Telemaco), Morelly (Basiliade), Voltaire (Candido), Fontenelle, Restif de la Bretonne, Diderot, Swift (da roscoprire e rileggere I viaggi di Gulliver), Cyrano de Bergerac e molti altri. A seguire l’utopia si trasforma in utopia politica e socialista con Owen, Fourier, Weitling, Saint Simon, Cabet (Viaggio in Icaria), Bellamy, Morris, Hertzl (La vecchia nuova terra), Zola e Kropotkin, fino a Huxley (Il migliore dei mondi), Zamiatin e Orwell.
“You wouldn't abandon ship in a storm just because you couldn't control the winds.”―
Quasi tutte queste utopie hanno raccontato la creatività umana e come l’immaginazione non sia mai separabile dall’utopia. Con una valenza duplice: la storia ha dato origine alle utopie (anche letterarie) e le utopie hanno fatto la storia. Ne sono testimonianza le tante pratiche utopistiche che nel tempo si sono ispirate a utopie più o meno letterarie e/o politiche. A proiettare l’utopia nella modernità ci ha pensato Ernst Bloch con il suo principio speranza. Ha ricordato a tutti quanto ci sia sempre bisogno di una visione a distanza, unico modo per penetrare anche la prossimità più vicina. Poi sono arrivati Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Asimov e soprattutto Philip Dick. Dopo di lui l’utopia è diventata fantascienza e oggi si è trasformata in tecno-utopia.
Ma cosa è l’utopia?
In mondi tecnologici che hanno reso impossibile costruire visioni di mondi futuri che non siano digitali e ibridati tecnologicamente, in assenza di una letteratura moderna che si richiami alle utopie del passato per svilupparne di nuove, non rimane che interrogarci se e quanto l’utopia possa rappresentare ancora per molti un percorso esperienziale e intellettuale possibile.
Nel praticare questo esercizio si può forse riscoprire il valore intrinseco dell’utopia e del suo richiamo, sempre attuale. Oppure convincersi che l’utopia è morta anche perché spesso portatrice del suo opposto.
Per articolare le domande che servono può essere utile partire da ciò che sull’utopia nel tempo si è detto:
- L’utopia è collegata ad aspetti negativi ma la storia è stata fatta da persone che hanno realizzato l’irrealizzabile
- L’utopia vale per la tensione verso di essa che genera
- L’utopia è un non-luogo che non esiste, cambia continuamente nel tempo
- L’utopia è sempre dipendente da una certa formazione mentale che però solo poche persone hanno
- L’utopia è generatrice di fanatismi e distopie
- L’unica utopia realizzata e ancora viva, come un Matrix reale, è quella del Realismo Capitalista descritto da Mark Fisher
- Più che sognare utopie rivoluzionarie meglio vivere il presente senza rimandare a scenari futuri, forse realizzabili ma solo lontano nel tempo e dal cuore
- Il valore dell’utopia sta proprio nella sua impossibilità di vederla realizzata con i propri occhi
- L’Utopia è una utopia, più che volere il cambiamento i più vogliono stare bene, sicurezza e protezione
- L’unica vera utopia è star dentro le cose del momento (il presentismo dell’era presente)
- L’utopia si porta sempre appresso qualcosa di etico, per questo è sempre maledettamente ambigua
- Bisogna lavorare per l’utopia, unico modo per rendere possibile l’ottimismo
- L’utopia è sempre qualcosa che sta al di là, che deve venire
- Bisogna smetterla di pensare all’utopia visto che oggi siamo già tutti nella “merda”…
Utopie presenti e tecno-utopie
L’utopia che resiste è oggi quella tecnologica, strettamente collegata al mito del progresso perpetuo. La letteratura è piena di racconti e narrazioni che si richiamano ad essa, anche se a prevalere è l’aspetto fantascientifico. Racconta di dinosauri riportati in vita e biotecnologie, di nanorobot ed esseri umani potenziati geneticamente, cyborg transumani dotati di intelligenza artificiale e protesi tecnologiche, e molto altro ancora.
La tecno-utopia oggi prevalente è la negazione dell’utopia perché ne ha cancellato il lato misterioso, la tensione, la fascinazione e l’immaginazione. Ha cancellato l’utopia perché distoglie dal presente e crea devianze non prevedibili. Meglio la riproduzione ripetitiva di ciò che è già noto e dello status quo, il ritorno del sempre uguale (Byung-Chul Han). Contiene la narrazione di mondi chimerici come quelli nei quali la miseria sarà sparita, il lavoro sarà svolto da macchine, tutti potranno arricchirsi, il tutto in obbedienza alle leggi bronzee della tecnologia. Chi descrive scenari apocalittici in formazione è minoranza o semplicemente tenuto a distanza.
Eppure, qualcuno deve pur svelare la distanza esistente tra il presentismo e il realismo presente rispetto alla immaginazione e all’utopia. Qualcuno deve pur provare a tenere viva la fiamma dell’utopia, testimonianza di come la ricerca di riscatto e di felicità non sia possibile senza l’idea forte di utopia.