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Il silenzio e il tacere sono pratiche che tutti oggi dovrebbero individualmente adottare anche nella rete e sulle piattaforme social da molti abitate in pianta stabile. Il chiacchiericcio di fondo fatto di cose, comportamenti, eventi tutti uguali impedisce qualsiasi tipo di approfondimento, di riflessione, di ascolto, di comprensione e di conoscenza. La parola ha perso di significato, la comunicazione è diventata una coazione, la libertà, la riflessione e il pensiero sono vissuti come un gioco. Un modo per allontanarsi dalla confusione che regna sovrana nel mondo reale e forse dentro ognuno di noi. In questo contesto recuperare e riscoprire il silenzio non porterà a maggiore pace e serenità ma è diventata una necessità.


Non so voi ma io sento crescere un grande bisogno di tranquillità (“l’Infinito silenzio” e la “profondissima quiete” di Leopardi), di SILENZIO, non legato all’umore e nemmeno al capriccio, non artificioso e tantomeno compiacente ma prudente, disincantato, politico. 

Il SILENZIO è diventato forse l’unico varco possibile dentro l’oscurità delle crisi quotidiane

Saranno l’età, l’insofferenza, il cinismo e lo scetticismo, la saggezza (?), la (tecno)consapevolezza, ma il SILENZIO è diventato forse l’unico varco possibile dentro l’oscurità delle crisi quotidiane che turbano l’esistenza, tolgono il sonno occupandolo di incubi, suggeriscono pratiche diverse dalle abituali per rallentare fino a fermarsi, tacere fino ad ascoltarsi, spegnere lo specchio-schermo per guardarsi dentro. Il silenzio va di pari passo con la fuga dai media (non solo mia, visto che tutti i talk show e i telegiornali sono in crollo verticale di ascolti) che sembrano ormai perseguire l’obiettivo della creazione di un mondo virtuale, fatto di storytelling dopanti finalizzati ad avvolgere tutto il reale in modo che scompaia la differenza tra vero e falso, tra originale e copia, tra realtà e suoi simulacri. 

Viviamo in un’epoca in cui il silenzio è stato bandito. Il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori. Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini. Oggi manderebbero ben altro che diluvi.” – Giovanni Pozzi, Monaco

Il silenzio, direbbe Chandra Candiani, è cosa viva, ma forse non fa miracoli, quindi meglio non illudersi. Potrebbe addirittura evidenziare, come ha scritto Alessandro Amadori, l’interiorizzazione del reale come presenza latente nella forma di un meccanismo di difesa, rispetto a qualcosa vissuto come molto preoccupante (la pandemia, la guerra, le crisi prossime venture in formazione). Il silenzio è oggi (forse) la scappatoia ideale per provare a trovare forme di benessere esistenziale, per placare l’ansia della propria mente e il dolore del proprio cuore, per provare a sperimentare emozioni vere e forti, come la compassione, non veicolate da immagini artefatte che scorrono sugli schermi televisivi, mostrate ad arte per fare audience, per parlare la pancia e spegnere il cervello. 

Il silenzio non spegne la mente 

Praticare il silenzio non comporta lo spegnimento della propria mente, neppure la fuga dalla realtà. Significa anzi alimentare la mente, predisporsi a conoscere meglio la realtà della realtà. Non significa necessariamente entrare in uno stato meditativo di immobilità in modo da percepire il battito cardiaco o il proprio respiro meditando, ma di interrompere e silenziare il flusso di parole che alimenta il surplus informativo e mediale. Ricordando sempre che “[…] su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Ludwig Wittgenstein), massima che dovrebbero praticare prima di tutto i giornalisti impegnati in maratone TV e talk show, tanto bulimici di parole quanto superficiali e mistificatori, strumenti di propaganda che hanno trasformato parole un tempo ricche di significato in semplici gusci vuoti. Un esempio su tutti le immagini ripetute di bambole e peluche con sullo sfondo la distruzione della guerra in Ucraina, gli attacchi terroristici affiancati da video/pubblicità di gattini, ecc. 

Tacendo si potrebbe ascoltare, distinguere, creare con udito e vista, cervello e cuore, aspettare, sentire, esplorare, riflettere, meditare, dialogare, comprendersi! 

In un’era che celebra la scomparsa dei riti (riferimento a un libro di Byung-Chul Han), assistiamo da anni a una ritualità rumorosa, autoreferenziale, fatta di tempeste di parole, usate per esibire e promuovere sé stessi e le merci che pagano i programmi, a scapito dell’autenticità e della verità, della deontologia e dell’eticità. Il surplus informativo generato non è creativo ma portatore di rumore, viene da fuori, genera un chiasso di informazioni che producono deconcentrazione. È pensato per rompere ogni silenzio, soprattutto quello interiore, per occupare l’immaginario e l’attenzione. Impedisce il ritorno critico su sé stessi, l’auto-osservazione e l’auto-riflessione, necessarie alla consapevolezza. Bisognerebbe saper tenere la bocca chiusa, o usarla in modo parsimonioso per favorire ascolto, concentrazione e ricettività, in fondo per imparare a tacere («non parlare quando si potrebbe o dovrebbe parlare»), a trattenersi, a non esprimersi.

Il silenzio e il tacere (umanità allo stato puro scriveva Giovanni Pozzi in TACET) sono pratiche che tutti oggi dovrebbero individualmente adottare anche nella rete e sulle piattaforme social da molti abitate in pianta stabile. Il chiacchiericcio di fondo fatto di cose, comportamenti, eventi tutti uguali impedisce qualsiasi tipo di approfondimento, di riflessione, di ascolto, di comprensione e di conoscenza. La parola ha perso di significato, la comunicazione è diventata una coazione, la libertà, la riflessione e il pensiero sono vissuti come un gioco. Un modo per allontanarsi dalla confusione che regna sovrana nel mondo reale e forse dentro ognuno di noi. In questo contesto recuperare e riscoprire il silenzio non porterà a maggiore pace e serenità ma è diventata una necessità.  

I suoni del mondo 

Ieri i suoni erano quelli dei camion militari che a Bergamo smistavano i cadaveri dei morti da Covid-19, oggi i suoni sono quelli delle bombe ma da inizio pandemia sono anche quelli, ancor più rumorosi, dell’infodemia. Rumori mediali ma anche autoprodotti che hanno cancellato la distanza tra un silenzio che sempre precede la parola e quello successivo che sempre si genera quando la parola tace. La sparizione di questa distanza, pensateci, è tragica. Impedisce di percepire il contesto, lo sfondo, interiore ed esteriore, sul quale innestare una propria riflessione personale, elaborare pensiero, fare delle scelte traducibili in azioni e di reagire. Nulla di nuovo visto quanto ormai siamo asserviti alla binarietà automatizzata della realtà digitale.

I suoni dei nostri tempi hanno bandito il silenzio[1]. Scegliere il silenzio di questi tempi allora, oltre a permettere di esercitare l’ascolto, favorisce il pensiero, la lettura e la scrittura, tutti utili alla comprensione e alla riflessione, a porsi delle domande, a cercare e darsi delle risposte, valide per altre domande (la contraddizione dentro). La risposta è la domanda stessa, a volte la risposta è il silenzio, perché il silenzio ha sempre l’ultima parola (pensate alla morte e non solo), condizione necessaria per la ricerca di un invisibile Altro, per la scoperta dell’Altro come colui che ci costituisce, come volto (l’uomo parla la lingua del volto, anche in silenzio), sguardo, corpo, per puntare verso un Altrove in fuga dal reale, esercitando la pratica dell’andare Oltre, Oltrepassare. 

Cosa fare?

Per me il silenzio è diventato oggi un evento da ricercare. Un modo per liberarsi da un sistema mediale che non lascia spazio a nulla che non sia la crisi del momento.

Per ascoltare bisogna tacere[2]. E tu sei capace di ascoltare? Ascoltare anche il tuo silenzio? Quanto sei disponibile a trattenerti dal parlare e dallo scrivere?


Note

[1]Dall'albero del silenzio pende il suo frutto, la pace.“ — Arthur Schopenhauer

[2] “Bisogna far tacere il lavorio del proprio pensiero, sedare l'irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni. Nulla come l'ascolto, il vero ascolto, ci può far capire la correlazione fra il silenzio e la parola.”

 

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Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – STULTIFERANAVIS Co-founder

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