Go down

Le strade e le metropolitane sono piene di persone con lo sguardo fisso sul loro telefonino. Rischiano sempre di urtare qualcuno, mai di andargli incontro  Sbattergli addosso, rimanendo turbati da quello che si percepisce, permetterebbe forse di cogliere la sua differenza e diversità, di sperimentare la curiosità che nasce dalla non conoscenza, dalla casualità dell’incontro e dai concatenamenti che potrebbe determinare. L’incontro a cui faccio riferimento non è quello tra profili digitali e facce virtuali che può essere condotto attraverso scambi di messaggi e informazioni.


Lo schermo è una cornice, una finestra, il libro è una PORTA che porta a un’altra PORTA, aperta ancora su un’altra porta, ecc. ecc. Un gioco degli specchi fatto di incantesimi percettivi, di magie sciamaniche, di rimandi speculari continui, senza alcuna discontinuità. Finito un libro se ne incomincia un altro e si continua così perché se un lettore si ferma in realtà è perduto. Parlo da lettore forte, onnivoro, malato di “concupiscenza libraria” (G.Manganelli). Leggere è come entrare in un labirinto multicursale con percorsi che, anche dotati di fili di Arianna, impongono sempre delle scelte, che instillano dubbi. L’uscita può essere una sola, sempre che la si voglia raggiungere, ma le strade che conducono a essa sono molteplici. Perdersi può essere una scelta oltre che una soluzione!

I più preferiscono finestre

La realtà italiana racconta una storia diversa. Più che alle porte e ai labirinti le moltitudini amano un presente addomesticato, si adeguano a un futuro colonizzato, anche cognitivamente. Per questo hanno scelto le FINESTRE dello schermo e il labirinto unicursale, con uscite ben segnalate (il successo dei libri di ricette collegati a programmi televisivi ne è un esempio, ma anche quello dei libri presentati a Che tempo che fa) e facili da raggiungere. Non c’è da meravigliarsi visto che in Italia la cultura continua a essere percepita come un bene improduttivo, per persone che hanno tempo libero da perdere e si vogliono dare un tono (e io mi do un tono?). A pochi sembra interessare il potere del libro nel fare cultura, come strumento di formazione e di apprendimento, risorsa individuale e collettiva per una testa ben fatta, veicolo per la circolazione e condivisione della conoscenza, un bene comune.

Evoluzione o involuzione? 

L’arrivo della televisione ha cambiato la vita dei Baby Boomers silenziando le conversazioni familiari e anestetizzando la sensibilità. I social hanno avuto effetti simili sui Millennial che sembrano comunicare ma in realtà lo fanno senza veramente dialogare e conversare. Con l’effetto di allargare l’effetto anestetico. Ciò che in apparenza i media hanno reso possibile, con un allargamento di vedute sul mondo e un accesso generalizzato all’informazione, in realtà non si è tradotto in maggior conoscenza e consapevolezza, nemmeno in più grande solidarietà e responsabilità. E i fatti della guerra raccontati di questi tempi di crisi non fanno che confermare tutto questo. Sommersi dal surplus informativo, dalla bolgia di immagini che ci impediscono di vedere e di pensare, dall’occupazione narcisistica degli spazi televisivi da parte di anchorman (woman) tuttologi e presenzialisti, operiamo una rimozione morale che non vale solo online ma è presente anche nella vita fattuale di tutti i giorni. 

Quando non vediamo l’aumento dei senza tetto e dei mendicanti, quando respingiamo il pakistano che ci offre una rosa per un euro mentre ci stiamo abbuffando in un ristorante costoso, quando ci difendiamo emotivamente diventando ciechi e sordi. Ma anche quando non sentiamo nostra la battaglia per i diritti e per un salario equo dei raider o per la difesa del posto di lavoro dei dipendenti delle numerose aziende e fabbriche che vengono delocalizzate. Infine, quando continuiamo in modo cinico e irresponsabile a far finta che non ci sia alcun cambiamento climatico in atto anche perché, nel caso fosse reale, sta interessando con i suoi effetti aree diverse da quelle nelle quali viviamo. In una parola siamo sempre più spettatori invece di attori e creatori consapevoli, responsabili e solidali della nostra vita e di quella degli altri. E non facciamoci ingannare dalle tante azioni e forme di solidarietà che si sono attivate per aiutare gli ucraini in fuga. Chi si mobilita è pur sempre una percentuale minima, anche se coraggiosa e neppure politicamente insignificante. I fatti di questi primi decenni del terzo millennio ci obbligano a interrogarci se e quanto siamo coscienti di una evoluzione umana durata secoli che forse si sta tramutando in una involuzione. Nulla di nuovo, visto che situazioni simili si sono create anche nel passato, ma la differenza è che di questa involuzione siamo testimoni e responsabili noi. 

Nessuno si salva da solo 

I comportamenti di molti, in questa fase post-pandemica e ora anche di guerra, sembrano indicare che forse non abbiamo imparato niente. Molti però hanno maturato la certezza che da soli non ci si salva. Viviamo i tempi dell’individualismo, del narcisismo, tempi abitati dagli egosauri di Pier Aldo Rovatti, tutti intenti in modo illusorio a celebrare sé stessi sui social senza rendersi conto di essere diventati ciechi, sordi, incapaci di empatia ed emozioni vere, di pensare fuori dai binari e ormai asserviti a reazioni binarie dominate dal semplice accettare o rifiutare. Incapaci di accettare la fragilità che ci caratterizza tutti, in modo da avvertire la nostra appartenenza alla comunità degli Altri. Una comunità fatta di tanti legami multipli, di tante trame sociali dentro le quali si sviluppano gli orizzonti di senso che ci fanno sentire vivi, attraverso contesti, esperienze, eventi e situazioni fatti di corpi, volti e sguardi, non confrontabili con quelli virtuali e disincarnati online.

"E se non imparassimo niente, se avessimo dimenticato a farlo'?"

La differenza consiste nel fatto che noi umani non siamo solo informazione, l’esistenza non procede attraverso scambi comunicazionali di fatti, dati, rappresentazioni o informazioni. La nostra realtà è complessa, non può essere orientata a piacimento, è difficile da quantificare, impossibile ridurla a macchina algoritmica, è sofferente quando la si vuole costringere dentro vincoli produttivistici, economicisti e utilitaristici. Tiene insieme molte cose, pensieri ed emozioni, razionalità e irrazionalità, mente e corpo, immaginazione, pulsioni e desideri, credenze, esperienze e cultura. Siamo macchina complessa come individui, persone e cittadini, collettività, sempre immersi in reti di legami (non connessioni) che coinvolgono il nostro vissuto e la nostra interiorità, anche spirituale, e i vissuti e le interiorità degli altri. La sensazione di condividere con altri la tristezza, la paura, la sofferenza, il disagio di questi giorni ci da sollievo e ci fa sentire meno isolati, meno soli. Ma la condivisione non è quella sperimentabile su piattaforme online, bensì quella che nasce dentro contesti fisici attraverso l’incontro di corpi, sguardi, pelle, mani e volti. 

L’incontro è la soluzione 

Le strade e le metropolitane sono piene di persone con lo sguardo fisso sul loro telefonino. Rischiano sempre di urtare qualcuno, mai di andargli incontro  Sbattergli addosso, rimanendo turbati da quello che si percepisce, permetterebbe forse di cogliere la sua differenza e diversità, di sperimentare la curiosità che nasce dalla non conoscenza, dalla casualità dell’incontro e dai concatenamenti che potrebbe determinare. L’incontro a cui faccio riferimento non è quello tra profili digitali e facce virtuali che può essere condotto attraverso scambi di messaggi e informazioni.

È un incontro in presenza nel quale si sperimenta l’alterità dell’Altro e la sua capacità di modellarci e cambiarci, nel quale si prende tempo, si esercita la responsabilità morale, etica, si pratica la cura, l’attenzione e l’amore, si accettano l’imprevedibilità e la sorpresa. In tempi nei quali ci siamo abituati a ragionare e ad agire come individui, a cui dare visibilità e reputazione online, è arrivato il tempo di ragionare e muoverci come persone, tutte diverse e mai identiche, come soggetti che si costruiscono nella relazione con gli altri, accettando e confrontandosi con la loro alterità e estraneità in una relazione accogliente di responsabilità.  

Nell’incontro non si comunica, ci si parla, ci si apre all’ascolto, al dialogo e alla comprensione, ci si rivela nella propria vulnerabilità e fragilità, ci si ritrova scoprendo sé stessi, attraverso il volto dell’Altro. Tanti concetti ripresi dal libro, da me scritto con Nausica Manzi, OLTREPASSARE – Intrecci di parole tra etica e tecnologia, ispirato dal filosofo Lèvinas, concetti dalla feroce attualità in un’Europa precipitata in una guerra spaventosa e densa di presagi infausti per gli scenari futuri del mondo e dell’umanità. 

StultiferaBiblio

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – STULTIFERANAVIS Co-founder

c.mazzucchelli@libero.it http://www.solotablet.it