A chi viaggia può capitare spesso, come è successo anche a me in Madagascar, di chiedersi o di sentirsi chiedere quale senso abbia oggi il viaggiare, cosa sia veramente il viaggio, se il viaggio non sia diventata ormai una pura e semplice attività consumistica (in tutti i viaggi la competizione su chi è stato ovunque è sempre attiva), ludica, da ostentare poi attraverso la condivisione di messaggi, foto e video sulle mille piattaforme da tutti elette ad abitazione (realtà) preferenziale.
“Viaggiamo non per fuggire dalla vita, ma perché la vita non ci sfugga.”
Per viaggiatori Baby Boomer come me la prima risposta ovvia è che si viaggia perché il viaggio è una forma di ribellione, una forma di resistenza esistenziale, una fuga da ogni gabbia presente, verso la libertà, una corsa sfrenata dentro e fuori di sé (Jack Kerouac), perché lo si fa generazionalmente da sempre, lo si può (economicamente) fare e lo si vuole fare.
Le motivazioni possono essere varie: la semplice curiosità, la scelta di affrontare una sfida ai confini del mondo (Ryszard Kapuściński), la ricerca dell’arte e della bellezza (Robert Byron), l’esplorazione culturale profonda, la ricerca intellettuale ed estetica, l’inquietudine interiore, l’urgenza di conoscere (non basta osservare, bisogna abitare), la volontà di immergersi totalmente nella realtà dell’Altro, il bisogno di spostarsi per capire e per ritrovare un senso in un mondo che “il senso non ce l’ha”. Ma poi, per andare in profondità, la risposta la si trova solo dentro una moltitudine di risposte che sono insieme personali e filosofiche (la realtà non è mai binaria, è sempre relazionale, and/and), persino biologiche.
“Voglio trovare un senso a questa situazione
Anche se questa situazione un senso non ce l’ha
Voglio trovare un senso a questa condizione
Anche se questa condizione un senso non ce l’ha” (Vasco Rossi)
Una delle risposte possibili, per dirla sinteticamente, è che si viaggia per cercare ed esplorare: un altrove, un senso, una versione più autentica di sé, per conoscere, scoprire e comprendere.
Il mondo non è solo informazione, ma conoscenza incarnata (riferimento al mio libro NOSTROVERSO), legata al vissuto di ogni persona, “On the road”, ad un corpo sempre in movimento, segue il battito cardiaco, si manifesta nella coscienza del viaggiatore, va oltre la semplice informazione, è percezione (tempo e spazio e non solo), sensazione (meraviglia e disorientamento), significato. immaginazione ed emozioni, è scrittura del corpo in movimento (Jack Kerouac), sulla strada e ai suoi margini.
“Eravamo pazzi di vita, pazzi per essere salvati, desiderosi di ogni cosa allo stesso tempo...” - On the Road – (Jack Kerouac)
Viaggiare come esperienza incarnata è un modo per ritrovar(si)e e per ricordare, per restare in contatto, per perdersi, sospendendo le tante abitudini che si rivelano spesso nella loro stupidità, per rompere la routine, per fare i conti con l’incertezza e la sorpresa, con il nuovo e l’imprevisto.
Mettendosi in viaggio ci si può spogliare del proprio Ego, attivando un’esplorazione interiore come disciplina dell’anima. Come scriveva Peter Matthiessen autore del libro Il Leopardo delle nevi (nato come processo di elaborazione del dolore per la perdita dell’amata moglie), “non si viaggia per vedere, ma per sentire, comprendere, trasformarsi, per andare alla ricerca del vuoto, della consapevolezza spirituale, della presenza totale nel momento dato”. Anche la natura non è mai solo paesaggio ma maestra, guida, specchio interiore. Nella solitudine, nella lentezza e nella fatica del viaggio, si compie un ascolto profondo del mondo vivente. I veri viaggi accadono dentro, rallentando, restando presenti e prestando attenzione, alla ricerca di trovare quiete in un mondo frenetico e rumoroso
“Il vero viaggio non ha meta. È l’attenzione a ogni passo.” (Peter Matthiessen)
Si viaggia anche per raccontare (ciao, sono stato in Madagascar, ma se hai tempo ti racconto gli altri miei mille viaggi!), perché viaggiare e raccontare sono la medesima cosa, il viaggio è una narrazione, un atto narrativo, un modo per dare forma alla propria (individuale e collettiva) esperienza. La narrazione può assumere anche una sua dimensione empatica, partecipe, compassionevole, responsabile, etica, perché il viaggio permette di raccontare il mondo dove non arriva nessuno, di dare voce agli ultimi, di denunziare le tante ingiustizie che oggi devastano il nostro mondo raccontando la realtà nelle sue forme più crude e (dis)umane.
L’importanza del racconto sta nel fatto che il vero viaggio comincia quando si è tornati a casa. Solo allora si comincia a riflettere, a elaborare, a capire cosa di quel viaggio ci si è portati appresso. Nel viaggio in Madagascar una riflessione che mi sono portato a casa è quella di Andrea. Alla mia domanda su possibili nuovi viaggi, Andrea mi ha risposto di non volerne programmare alcuno, tanto era stato colpito dalla povertà e dalla sofferenza incontrate nel nostro viaggio nell’ovest del Madagascar. Una risposta dalla grande sensibilità umana, che non può che nascere da un pensare etico, consapevole e responsabile.
“Per conoscere davvero una persona o un popolo, bisogna sapere ascoltare il silenzio.” (Ryszard Kapuściński
Si può viaggiare senza viaggiare, leggendo le opere dei tanti autori che sul viaggio hanno scritto nel passato come Omero (Odissea), Marco Polo, Michel de Montaigne (Saggi), Jean Jaques Rousseau, Friedrich Nietzsche, Walter Benjamin, Immanuel Kant (Italo Calvino, Goethe, Gasyon Bachelard (La poetica dello spazio), Byron, Platone (il viaggio come percorso dalla caverna alla luce), Dante Alighieri (la Divina Commedia è un viaggio metafisico dell’anima tra Inferno, Purgatorio e Paradiso), Friedrich Nietzsche (il viaggio come divenire e superamento di sé), Emmanuel Levinas (l’alterità come incontro radicale, che può essere vissuto come viaggio verso l’altro), Paul Ricœur (il viaggio come metafora del percorso di vita, della narrazione e della costruzione di sé), e molti altri.
Si può viaggiare esplorando territori e spazi interiori attraverso autori interessati alla spiritualità e all’Oriente come Tiziano Terzani, Iyer e Mattgiessen, al cammino e alla lentezza come Bouvier, Solnit e Rumiz, all’esplorazione urbana o interiore come Antonio Tabucchi, Colin Thubron e Italo Calvino (Le città invisibili), alla storia e alla politica come Kapuściński e Magris, al viaggio (anche lisergico) e alla ribellione come Kerouac e Chatwin.
Si dice che i viaggi sono la levatrice del pensiero, ma ci si può preparare a viaggiare anche leggendo, imparando a viaggiare attraverso memorie, luoghi e loro anima, dai racconti degli altri che, condividendo la loro esperienza, ci aiutano a riflettere e ad aprire i nostri sensi.
Poi però c’è ancora dell’altro…
Si viaggia spostandosi da un luogo all’altro, ma il viaggio non è mai un semplice spostamento fisico. Quando si viaggia si entra in una dimensione esistenziale, spirituale (non religiosa), mistica, meditativa e antropologica. Viaggiare, mettersi in viaggio, è un modo per distaccarsi dalle consuetudini del vivere quotidiano per ritornare a riscoprire l’umanità che abbiamo da tempo perduto. Viaggiare è riconoscere che l’essere umano è sempre stato nomade, un viandante, nel senso che la sua natura è sempre dinamica, mai statica. Il nomadismo è utile per interrogarsi sul senso della vita, della cultura e del movimento, sul cammino dell’anima umana verso la conoscenza.
“Ogni viaggio è un tentativo di trovare un significato. Ma il significato non è là fuori: nasce nell’incontro fra luogo e viaggiatore.” - (Colin Thubron)
Scrivere questo mi riporta a momenti del viaggio da poco terminato nei quali sono stato dialogicamente messo in discussione come “filosofo” con la canonica frase: “un conto è filosofare, un conto è la realtà”. Questo testo nasce anche come tentativo di mostrare come dietro ogni realtà (Ma cosa è la realtà direbbe Philip Dick?) non ci sia soltanto la nostra personale interpretazione del mondo ma qualcosa di più profondo che ci interroga nel nostro essere umani su questa Terra.
Il viaggio ha una sua filosofia, una sua metafisica, perché il viaggio è da sempre metafora della condizione umana.
La filosofia del viaggio nasce come riflessione profonda sul senso, sulla natura e sulle implicazioni dell’andare altrove, tocca temi come la malinconia, la nostalgia, la fuga, il desidero di “casa”, la rinascita simbolica e molto altro. È una filosofia che attraversa letteratura, pensiero filosofico e narrazione, non è solo un tema letterario o un’esperienza pratica: è un modo di interrogare la realtà, il sé, la relazione con l’altro e con il mondo.
Fare filosofia del viaggio significa interrogarsi sul perché si viaggia (motivazioni esistenziali, spirituali, estetiche, ecc.), su cosa significhi andare altrove, su come il viaggio possa trasformare il viaggiatore, sul rapporto tra spazio, tempo e movimento, sul viaggio come metafora della vita, della ricerca e della morte.
Ecco allora che parlare di viaggio va oltre il semplice resoconto o diario di viaggio. Implica parlare della nostra natura di essere umani, nomadi per definizione, da sempre, immersi nella natura anche se sempre intenti a cercare di dominarla. Il viaggio in Madagascar, dentro la sua umanità nomade, giovane, gentile e sorridente, in costante cammino, mi ha ricordato che “la nostra specie è nata per camminare” (Bruce Chatwin), per abitare il mondo con il corpo e resistere alla velocità del mondo moderno, che viaggiare significa perdersi (Antonio Tabucchi) andando alla ricerca di qualcosa che non si sa, che non si viaggia per cambiare il mondo, ma per lasciarsi cambiare da esso (Nicolas Bouvier).
Viaggiare è un modo per abitare il tempo andando alla ricerca delle proprie radici umane, per spogliarsi delle proprie certezze, per compiere un’atto politico, poetico e filosofico, per riflettere e meditare, per allontanarsi dalla vita sedentaria alla quale ci siamo ormai legati, per ritornare a uno stato originario, forse più autentico, se abbiamo ancora la capacità e la sensibilità di coglierne l’essenza e il significato. Non si viaggia mai per solo turismo, anche se le molte espressioni di “turistificio” (turismo di massa, massificato, malato) attuali sembrano smentire l’asserzione.
Nella situazione attuale viaggiare contro il turismo di massa è diventata una scelta consapevole e di ribellione che mette al centro l’esperienza autentica, il rispetto dei luoghi e delle culture, la valorizzazione del viaggio come pratica di conoscenza profonda e di trasformazione personale. È una posizione critica verso il turismo consumistico, omologante e spesso distruttivo, che riduce il viaggio a prodotto da consumare velocemente, spesso a discapito dell’ambiente, delle comunità locali e della qualità stessa dell’esperienza. È un modo per resistere all’omologazione e alla superficialità, per ricercare e praticare la lentezza e l’autenticità, per viaggiare come pratica etica, per provare a contrastare la mercificazione costante del viaggio.
Invece di riempire spazi, da Piazza San Marco alle cime dell’Everest, meglio assumere una postura asceticamente laica, meglio praticare il viaggio come esperienza di consapevolezza, meglio svuotarsi per fare spazio al mondo, abbandonare la massa chiusa raccontata da Elias Canetti, per correre il rischio di perdersi, ma così facendo trovando il tempo e il modo di ricomporsi in modo nuovo, di (ri)focalizzare l’attenzione, di sentire e vedere veramente, oltre il visibile, in profondità, sapendo osservare e ascoltare nel silenzio, senza colonizzare il racconto, nel rispetto dei luoghi, abbandonando ogni velleità e forma di consumo.
Di queste cose ho parlato nel mio libro NOSTROVERSO – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso. Un libro nel quale ho provato a raccontare il viaggio come esperienza collettiva (non un semplice spostamento individuale o di fuga, ma come un verso comune, un cammino che si fa insieme agli altri e che crea comunità temporanee, legami umani autentici, relazioni profonde con i luoghi attraversati), come atto di responsabilità (il viaggio visto come un modo per prendersi cura del mondo, per rispettare le culture e l’ambiente, opponendosi al turismo di massa e consumistico. Una pratica di sostenibilità, attenzione e ascolto), come costruzione di senso (il viaggio sia un processo creativo, un modo di scrivere “versi” nella grande poesia della vita e della storia collettiva. Ogni viaggio contribuisce a un racconto condiviso che arricchisce la comunità e il mondo).
“Viaggiare serve a regolare l’immaginazione con la realtà, e invece di pensare come dovremmo essere, si finisce col vivere, semplicemente.” - da La polvere del mondo (Nicolas Bouvier)
Non si viaggia quasi mai neppure per avventura. Il viaggio come racconta Marco Aime è sempre un incontro, mai un semplice prodotto, una prestazione, una esperienza confezionata a spettacolarizzata, da consumare. Il viaggio è sempre incontrare l’Altro nella sua realtà, è andare incontro a qualcosa, sospendendo ogni giudizio perché non esiste un solo modo di vivere e di interpretare la realtà e il mondo, bisogna saper mettere in discussione la propria cultura, mettersi nella condizione di ascoltare senza voler capire tutto subito. Il viaggio implica lentezza, suggerisce la capacità di accettare il disagio rinunciando all’idea del controllo, porta sempre ad immergersi in qualcosa di nuovo, non solo storia o geografia ma anche in noi stessi, per vivere l’incertezza e l’inquietudine, per assaporare l’ombra del possibile. Il viaggio non conduce necessariamente a una meta ma spalanca sempre nuove possibilità, evidenzia ambiguità, fa sorgere nuove domande. Il tempo del viaggio non è mai lineare e misurabile, si fa esperienza soggettiva, carica di senso e di attesa, è un tempo circolare, interrotto, retrospettivo. Terminato un viaggio si viaggia ricordando, sognando altri luoghi da visitare, immaginando nuove mete e destinazioni, novi viaggi. Anche lo spazio non è mai solo geografico, ma sempre un luogo simbolico.
“L’altro non è uno spettacolo, ma un mistero da rispettare.” - (Pico Lyer)
Viaggiando non si può evitare di riflettere consapevolmente su come guadiamo le cose e le persone. Ogni nostro sguardo, ogni nostro comportamento, ha un impatto. Non possiamo usare il mondo solo per sentirci migliori, possiamo però trarre vantaggio da ogni viaggio per guardare alla nostra casa con occhi nuovi, diversi. Viaggiare serve a tornare a casa diversi, con una visione più ampia e compassionevole. Viaggiare non è scappare, ma allargare il cuore e lo sguardo (Pico Lyer).
“L'altro non è uno specchio, ma un mondo da rispettare anche se non lo comprendiamo del tutto.” - (Marco Aime)
Il viaggio è sempre una forma di ricerca, umana, etica, narrativa. La ricerca è spesso motivata dal desiderio di fuga (fuggire non è da codardi) che sempre abita l’animo umano di tutti, anche di coloro che si dicono immuni da questo desiderio, ma sperimentano l’irrequietezza che è alla base dello stesso. Il viaggio è sempre un pellegrinaggio, esistenziale, intellettuale, narrativo (pretesto per raccontare storie e non solo per mostrare fotografie), relazionale (attraverso l’Altro si scopre sé stessi), a volte vitale, un modo per dare risposte concrete al proprio bisogno di libertà. Si viaggia per esplorare e conoscere il mondo, le sue trame popolate da personaggi reali e/o leggendari, si viaggia per cercare risposte alle grandi domande esistenziali che sempre sono con noi (troverò un nuovo lavoro? Riuscirò ad andare in pensione? Quanto sono realmente felice?).
Il viaggio è sempre un atto politico (il diritto di viaggiare per le donne), di libertà e di conoscenza. Lo sostiene Rebecca Solnit che da attivista, saggista e femminista, racconta il viaggio come un viaggio nell’incertezza, ma sempre situato nel mondo, sempre collegato al potere, ai privilegi, ai corpi e agli spazi, come un modo per perdersi creativamente, per camminare dentro la storia, la geografia e l’immaginazione, come pratica intellettuale, politica e poetica, mai neutra, mai solo personale.
Il viaggio in Madagascar (due ore per percorrere quaranta brevi chilometri) mi ha ricordato Paolo Rumiz e il suo viaggiare a piedi, in treno, in bicicletta, in nave, un modo per viaggiare in lentezza e in profondità. Che poi è una scelta etica e conoscitiva, un modo per entrare davvero dentro i luoghi, saper cogliere le sfumature, sentire l’odore delle cose
“Solo viaggiando lentamente si possono capire i confini, i silenzi, i mutamenti del paesaggio.” - “Il mondo è pieno di persone che aspettano solo di raccontarsi, basta fermarsi e ascoltare.” (Paolo Rumiz)
Il viaggio è sempre un modo per dialogare con l’Alterità, con l’Altro, insegna ad andare Oltre, Altrove, a Oltrepassare che poi altro non significa che lasciarsi cambiare dall’incontro con gli altri. Si viaggia per incontrare l’Altro ma anche luoghi di confine, periferie geografiche e cultural, fratture della Storia, zone dimenticare che rivelano verità più profonde a cui noi occidentali non siamo più abituati. Non lo siamo neppure dentro casa nostra quando cerchiamo di riscoprire le nostre radici, andando alla ricerca di una memoria collettiva e della nostra pluralità identitaria (sul tema Poalo Rumiz ha scritto un bellissimo libro: "La leggenda dei monti naviganti". Il racconto di un viaggio attraverso l’Italia alla ricerca dell’identità dimenticata dell’Appennino). Una pluralità che, a dispetto delle tante stupidate diventate mainstream dei nostri tempi malati, racconta le ibridazioni avvenute nel tempo permettendo di esplorare le identità ibride, accogliere tutte le contraddizioni, non accontentarsi di risposte semplici, continuando a coltivare il dubbio e a porsi delle domande.
“Il vero domicilio dell’uomo non è una casa, ma la strada, e la vita stessa è un viaggio da fare a piedi.” (Brice Chatwin)
Il viaggio si fa sempre narrazione, anche se pochi viaggiano oggi con la Moleskina, che sempre accompagnava Bruce Chatwin nei suoi viaggi in Patagonia, in Australia, ovunque andasse, usate per scritti e schizzi pittorici. Il viaggio che si fa storia serve a raccontare un’esperienza ma anche a far riflettere su temi più grandi quali il destino dell’umanità, della democrazia e della libertà, dell’Europa, del mondo.
“I luoghi non sono mai vuoti. Parlano. Bisogna solo saperli ascoltare.” (Paolo Rumiz)
Come ci hanno raccontato grandi viaggiatori come Chatwin e Rumiz, si viaggia per un impulso esistenziale, quasi istintivo, fuori dal tempo e dalla modernità, in spazi ampi e remoti, per incontrare l’Altro, ma anche per capire il mondo e sé stessi, prestando attenzione al tempo storico, alla memoria, ai cambiamenti nel tempo. “Un viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi.” (Tiziano Terzani) Per me il viaggio è tutto questo ma anche altro. Come scriveva Tiziano Terzani, il viaggio non è mai solo uno spostamento nello spazio, è sempre un viaggio di trasformazione interiore. Se si ha la capacità e la sincerità di ammetterlo. Ogni viaggio comporta una qualche forma di ricerca spirituale, un atto di resistenza contro la superficialità del mondo (malato) (post)moderno. Ecco allora che si parte per vedere cose e si scopre che viaggiare è conoscere, è entrare nei luoghi, nel tempo, nelle solitudini e nel ritmo degli altri, Che poi significa saperli ascoltare, vivere con loro, non solo fotografarli, guardarli da fuori. Il viaggio è sempre ricerca di senso, alla ricerca di verità, di risposte (che ci faccio qui?), di silenzio, di pace interiore, un modo per provare a interrogarsi, spogliarsi, rinascere (la compagna di viaggio Anna potrebbe dirlo meglio), rifuggire dalle paure che sempre ci portiamo appresso, affidarsi al destino (anche questa volta l’aereo non è caduto!), esercitare un atto di libertà intellettuale (per chi ha la fortuna di poterlo fare) che significa in poche parole, non lasciarsi omologare ad alcun potere e continuare a pensare con la propria testa. |
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“Alla fine il vero viaggio è quello dentro di noi.” (Tiziano Terzani)
Il viaggio ci porta a immergersi nella nostra memoria. Ce lo ha insegnato Claudio Magris con il suo libro Danubio (1986), nato da un viaggio lungo il corso del fiume Danubio, dalle sue sorgenti alla sua foce. Un racconto, un viaggio nella memoria, attraverso luoghi, epoche storiche, imperi, ideologie, guerre, utopie, rovine, dentro un’Europa frammentata, dominata dalla complessità e dalla sua criticità, dalle mille stratificazioni culturali. Il viaggio nella memoria non è mai indolore, sfocia nel disincanto, ossia nella consapevolezza di quante volte la storia abbia tradito sé stessa, di quanto spesso siamo stati traditi, delle illusioni e delle false promesse.
Per tentare una conclusione...
Viaggiare non è soltanto spostarsi da un luogo all’altro, ma intraprendere un percorso di crescita che tocca più ambiti della nostra esperienza. Attraverso il contatto con culture diverse, si sviluppa empatia, apertura mentale e consapevolezza globale. Lontani dalla routine quotidiana, emergono opportunità straordinarie di apprendimento, creatività e riflessione interiore . Viaggiare aiuta a confrontarsi con l’ignoto, rafforzando fiducia in se stessi, autonomia e capacità di adattamento
Il viaggio non riguarda solo il viaggiatore, ma coinvolge anche le comunità ospitanti attraverso scambi culturali, economici ed empatici. Tuttavia, queste ricchezze possono esistere solo se promuoviamo un turismo rispettoso e sostenibile, che valorizzi i territori e le identità locali.
Il vero valore del viaggio risiede nella sua capacità trasformativa: permette non soltanto di esplorare il mondo, ma di ritrovarsi in esso, condividere storie, creare legami e tornare a casa con uno sguardo diverso, più ricco e consapevole.
Bibliografia
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Ryszard Kapuściński, EBANO - In questo capolavoro, Kapuściński racconta decenni di viaggi in Africa: non come esploratore europeo, ma come uomo tra gli uomini. È un libro che unisce reportage, poesia e riflessione filosofica. Un inno alla dignità, alla sofferenza e alla forza del continente africano
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Antonio Tabucchi, Un’allucinazione (1992) - Ambientato a Lisbona, in una dimensione sospesa tra sogno e realtà, questo breve romanzo è un viaggio interiore e letterario. Il protagonista incontra voci, fantasmi, memorie (forse anche lo spirito di Pessoa) in una Lisbona allucinata. Un viaggio mentale, lento, denso di riflessioni, che mostra come Tabucchi intenda l’altrove come metafora del sé.
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Marco Aime (con F. Dei) . In questo saggio, Aime analizza come l’Occidente ha costruito l’immagine dell’“altro” nei secoli — spesso come qualcosa di esotico, misterioso o inferiore. È una lettura fondamentale per capire i meccanismi culturali dietro al viaggio, e come la narrazione può distorcere l’esperienza se non è consapevole.
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Nicolas Bouvier, La polvere del mondo (L’usage du monde, 1963) - Considerato uno dei capolavori della letteratura di viaggio. Racconta il viaggio compiuto tra il 1953 e il 1955 da Ginevra all’Afghanistan, passando per i Balcani, la Turchia, l’Iran. Non è solo un diario, ma un’opera letteraria piena di filosofia, ironia, delicatezza. È un libro che non “parla del viaggio”, è esso stesso un viaggio — nella scrittura, nel tempo, nella sensibilità.
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Jack Kerouac - On the Road (1957) - Un’icona della Beat Generation. Viaggio fisico e spirituale negli Stati Uniti, attraverso libertà, ribellione e poesia. Scritto in stile spontaneo e pulsante, racconta i viaggi attraverso gli USA compiuti da Kerouac e i suoi amici tra il 1947 e il 1950. Più che un racconto lineare, è un urlo di libertà che ha ispirato generazioni di viaggiatori.
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Robert Bysron - The Road to Oxiana (1937) - Diario di viaggio attraverso il Medio Oriente fino in Afghanistan, alla ricerca delle meraviglie dell’arte islamica. Considerato il capolavoro della letteratura di viaggio del Novecento in lingua inglese, influenzò autori come Bruce Chatwin e Patrick Leigh Fermor. È uno di quei rari libri in cui l’osservazione estetica diventa narrazione vivente.
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Claudio Magris, Danubio (1986) - Senza dubbio il titolo più celebre di Magris: un’opera ibrida tra saggio, diario di viaggio, guida culturale e riflessione storica. Attraverso il corso del Danubio – dalla Foresta Nera al Mar Nero – l’autore racconta l’identità europea nella sua complessità, tra culture e pregiudizi, con un’intensità intellettuale unica. È considerato da molti la sua opera più rappresentativa
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Colin Thibron - Shadow of the Silk Road (2006) In questo capolavoro, Thubron ripercorre la storica Via della Seta, dal cuore della Cina fino al Mediterraneo. Ma il libro è molto più che un reportage: è un meditazione sulla civiltà, il tempo, la fede, l’identità.
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Rebecca Solnit, A Field Guide to Getting Lost (2005) → Un saggio lirico e potente sulla bellezza dell’ignoto, sul perdersi come forma di conoscenza e di arte. -🚶♀️ Wanderlust: A History of Walking (2000) → Una storia del camminare come gesto filosofico, corporeo e
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Pico Lyer, The Art of Stillness: Adventures in Going Nowhere (2014) - Un piccolo saggio filosofico sull'importanza del silenzio, della lentezza, del non andare. Paradossalmente, il viaggio più profondo è quello che ti porta a fermarti. - Video Night in Kathmandu (1988) → Raccolta di reportage dall’Asia, dove Iyer esplora l’impatto della globalizzazione sulle culture locali. Viaggio come osservazione sottile, senza giudizio, tra modernità e tradizione.
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Bruce Chatwin, In Patagonia - Un capolavoro del travel writing. Chatwin racconta la sua avventura in Patagonia con uno stile unico, tra realtà e leggenda.
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Bruce Chatwin, La via dei canti - Un viaggio nell'Australia aborigena e nei miti del cammino. Tra i più affascinanti della narrativa moderna.
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Hermann Hesse, Viaggio in India – Non è un diario di viaggio classico, ma un'esperienza filosofica e spirituale verso Oriente.
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Tiziano Terzani, Un indovino mi disse - Un classico moderno: Terzani viaggia in Asia evitando l’aereo per un anno, su consiglio di un indovino. Intenso e profondo.
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Alain de Bottion, L'arte di viaggiare - Un libro saggistico e filosofico sul perché viaggiamo, con riferimenti a grandi autori e pittori.
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Marco Togni, Orizzonte. Ai confini del mondo - Un racconto moderno di esplorazione personale e geografica, che tocca terre remote come la Corea del Nord o le isole del Pacifico.
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Elizabeth Gilbert, Mangia, Prega, ama - Bestseller internazionale: un viaggio interiore e geografico in Italia, India e Indonesia.
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Jon Krakauer, Nelle terre estreme - Racconta la vera storia di Christopher McCandless, che abbandonò tutto per vivere in Alaska (il libro che ha ispirato Into the Wild).
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Robert M. Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta - Viaggio in moto attraverso gli USA, riflessione sulla qualità, la tecnica, e la filosofia della vita.
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Aude de Tocqueville, Atlante delle città perdute - Un atlante illustrato che racconta città fantasma, abbandonate o sommerse.
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Karen Blixen, La mia Africa - Un grande classico ambientato in Kenya. Più di un semplice libro di viaggio: è una storia d'amore per una terra.
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Gianni Celati, Verso la foce - Diario poetico e malinconico di un viaggio a piedi lungo il Po. Un grande libro sulla provincia italiana.