“Il vero viaggio di scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi ma nel dotarsi di occhi nuovi”― Marcel Proust
“Quando si è circondati da una moltitudine di persone, la solitudine può essere più grande di quella che si sperimenta da soli con sé stessi. Se si percepisce di non potersi fidare di nessuno o di poter parlare in confidenza con qualcuno, si può anche stare dentro una grande folla ma sentirsi sempre solo, realmente solo!”
Disincanto, diffidenza nei confronti della classe politica, delusione, sono i tratti salienti di un’epoca di crisi duratura, segnata dalla tristezza e dalla sofferenza, che vede le persone sempre più sole e isolate, abbandonate e senza reale rappresentanza, alla ricerca costante di ansiolitici e placebo vari. Come tali anche sempre più aggressive, cariche di disprezzo verso i diversi, violente (Gilet Jaune, Forza Nuova, Black Block vari, ecc.) perché consapevoli di essere escluse dalle élite e ormai relegate nel novero dei perdenti.
Isolati nella realtà, soli online
Siamo sempre più online, soli. Separati mentre siamo sempre circondati da altre persone, ma dagli spazi pubblici e popolosi virtuali non riusciamo a trarre le risposte ai bisogni reali che guidano le nostre azioni, forse perché vi accediamo con applicazioni personalizzate e private che tendono a privilegiare le interazioni dirette, rapide, orizzontali e basate su semplici logiche consumistiche di mercato.
Come reazione ci rintaniamo sempre più in spazi privati, anche online, spesso sostituiti a quelli limitati e angusti che caratterizzano molte abitazioni nelle quali molti hanno deciso di insediare il loro domicilio o residenza. La privatizzazione degli spazi nasce: dalla trasformazione da cittadini in semplici attori di mercato; dal distacco e dall’indifferenza che si percepisce dopo avere sperimentato l’eccitante interazione online; dalla delusione che sempre si genera quando si vive nel fantasmagorico mondo consumistico come consumatori ricchi ma senza disporre dei loro portafogli gonfi.
Sempre connessi a un dispositivo e coinvolti nelle sue APP, nello spazio privato, reale o virtuale che sia, ci si trova a condividere una stanza, una cameretta o un divano ma non i pensieri, i sentimenti, le emozioni e gli umori che non ci lasciano riposare. I luoghi pubblici nei quali sperimentare la relazione empatica, la condivisone e lo scambio, liberi da motivazioni o interessi puramente economici, sono sempre meno. Lo smartphone è il mezzo con il quale cerchiamo risposte e soluzioni varie, lo strumento che ci rende consapevoli di quanto sia diventato difficile condividere con altre persone un destino umano e politico, un bene comune. Un canale di comunicazione sempre acceso, che ci segue ovunque in mobilità con i suoi stimoli e messaggini, aumenta la quantità di informazioni ma non migliora necessariamente la comunicazione, il dialogo e la relazione.
Costretti a stare soli
Sempre coinvolti online, pronti a reagire a qualsiasi stimolo in arrivo, in casa e dentro gli spazi fisici privati che ci siamo ritagliati, preferiamo mettere a tacere sensazioni, emozioni e bisogni relazionali impellenti come quelli di un rapporto fisico, umano, intimo ed empatico. Sempre in attesa di qualcosa che non arriva, rinunciamo a cercare degli spazi riservati e protetti nei quali esercitare il nostro pensiero critico, elaborare conoscenza riflettendo sui significati di concetti come libertà e gratuità. Non più percepiti nella loro valenza assoluta e pubblica ma contestualizzati in ambiti ristretti, oggi sempre più spesso collegati a qualche forma di utilità personale. Trovare questi spazi, siano essi virtuali o mediali, può essere il risultato della velocità (online) o della lentezza (nella vita reale), non è quasi mai casuale ma il risultato di una ricerca che rende possibile una libera scelta, seguendo l’intenzione che precede l’azione, un’emozione o una scoperta.
Molte piattaforme di social networking hanno la pretesa di essere ambienti comunitari. Come se gruppo, comunità, social network o rete sociale fossero sinonimi interscambiabili, utilizzabili per descrivere fenomeni sociali tra loro diversi. L’unico comune denominatore, nella loro versione digitale, sta nell’incapacità di offrire risposte veritiere e profonde al problema della solitudine e alla voglia di comunità. Due temi che sono stati argomenti della riflessione sociologica di Zygmunt Bauman, ma che sono anche una realtà sentita, pur in un periodo storico caratterizzato dall’elevato tasso di individualismo e narcisismo.
Voglia di comunità e social networking
La voglia crescente di comunità e di amicizia è il risvolto positivo di esperienze di socialità digitale dalla vita breve per essere “semplici esplosioni sporadiche e spettacolari” (Bauman, 1999). Una volta che il fumo si dirada e l’entusiasmo di fratellanza determinato da un cinguettio o da un MiPiace si allenta, quello che rimane è un sentimento di solitudine che fa rinascere quelli di incertezza, insicurezza esistenziale e precarietà. La sofferenza che ne deriva non funge da stimolo per trovare una soluzione ma diventa essa stessa causa di altra solitudine, frutto della identificazione individuale con essa. Ne consegue una minore libertà nell’affrontare i rischi di una scelta finalizzata a trovare una risposta al proprio malessere o una soluzione, sia a livello individuale e personale, sia collettivo e sociale.
A rendere forte il bisogno di comunità sono anche le numerose esperienze comunitarie fasulle delle piattaforme di social networking. Esperienze che incitano costantemente alla fedeltà e alle dichiarazioni di fede, come se la comunità si esercitasse solo in una chiesa. Esperienze che esaltano, manipolandoli e mitizzandoli, i valori della solidarietà, della collaborazione, della comprensione reciproca e dell’amore, evidenziando come ciò sia diventato sempre più complicato e irrealizzabile nella vita reale. Tipico di molte di queste comunità online attuali è la messa al bando dei traditori, dei resistenti o dei riottosi alla fidelizzazione, è la presenza militante di membri che si ergono a guardiani, impegnati notte e giorno a curare il gregge di cui la comunità è un recinto.
Il gregge sembra avere rinunciato alla sua libertà e accettato la non-libertà, la sottomissione in cambio della promessa di sicurezza, eliminazione della paura, e della soddisfazione di bisogni non primari. In questo modo condanna i suoi membri all’isolamento e alla solitudine, rendendo loro difficile dirigersi verso destinazioni diverse da quelle che il gregge ha deciso di raggiungere (chi ha la mia età potrebbe ricordarsi il Bolero del film di animazione del 1976 Allegro non troppo di Bruno Bozzetto, al cui ritmo varie creature animali si dirigono allegramente…ma non troppo…verso un burrone!).
Avendo rinunciato alla libertà i membri delle comunità online finiscono per non esercitare la responsabilità morale che darebbe loro la possibilità di discriminare il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, le buone pratiche da quelle negative e i comportamenti etici da quelli che non lo sono. Avendo smesso di interrogarsi sulla propria condizione di solitudine si privano della possibilità di trovare delle risposte ai problemi prima che sia troppo tardi o perdano la loro incisività.
Consapevolezza e responsabilità
Acquisire la consapevolezza sull’importanza di cercare delle risposte è un primo passo per trovarle, Benasayag parlerebbe di potenza d’azione che nasce dal non immedesimarsi nella situazione contingente in essere. Forse anche per individuare quelle giuste che passano oggi attraverso il recupero di idee vecchie ma mai superate.
La solitudine individuale non è un problema privato ma sociale, il risultato di un impegno condiviso con altri, anche attraverso l’azione politica, da cittadini ritornati a essere protagonisti del loro destino e della loro felicità. Ritirando o contrattando da posizioni partecipate di forza (vedi la manifestazione People prima le persone di Milano e le tante manifestazioni dei Centennial per il cambio della politica ambientale) la delega, oggi regalata a rappresentanti politici molto bravi a promettere prima di ogni tornata elettorale così come a negare nei fatti ogni promessa una volta che sono stati eletti.
La distrazione continuamente cercata da parte dei media tecnologici è assimilabile a quella della politica corrente che preferisce cittadini distratti, dalla memoria e dall’attenzione labili, a quelli che usano la loro testa per riflettere, farsi un quadro d’insieme, mettere in discussione e criticare. La distrazione va di pari passo con l’esperienza del tempo presente. Se nulla è destinato a durare è inutile impegnarsi per dare un senso logico a fatti e realtà vissuti sempre più come estemporanei, frammentati e che si dimenticano in fretta. La conseguenza è che si accettano le soluzioni (il soluzionismo[1] di Eugeny Morozov nel suo libro Internet non salverà il mondo) di altri, le loro decisioni e il destino da loro proposto come ineluttabili, si adottano acriticamente modelli economici e sociali come insostituibili e unici. L’effetto è che non si danno risposte a bisogni impellenti quali l’uscita dalla solitudine, il superamento dell’insicurezza e l’allontanamento della paura.
La soluzione che tutti dovrebbero provare a cercare sta nella ricerca di un nuovo umanesimo (argomento non a caso dell’ultimo libro di Massimo Cacciari La mente Inquieta), di una nuova speranza. Questa ricerca non può essere fatta da soli ma attraverso un impegno comune e condiviso con altri. Una bestemmia in un periodo nel quale più che aprire porte o costruire ponti (a parte quelli crollati e soggetti a interessi elettorali contingenti) siamo spronati a chiudere porti e famiglie, menti e cuori, a erigere muri e barriere di filo spinato, per isolarci di più e meglio. In realtà la ricerca è una necessità impellente e di tipo etico, utile a rilanciare comunità umane (non Uno di meno) per coltivare relazioni durature e dare forma pragmatica e prospettica agli scenari futuri.
Solitudine e impegno
La realtà attuale esige che ognuno faccia la propria parte facendo sentire la propria voce come cittadino piuttosto che come utente della Rete, cliente o consumatore. Assumersi il coraggio di parlare significa manifestare il proprio impegno responsabile come diretta conseguenza di una maggiore consapevolezza e coscienza critica.
Non è necessario urlare, basta agire per uscire dall’isolamento nel quale molti si sono imprigionati, privatizzando gli spazi sociali domestici e costruendo fittizie aree comunitarie online. Gli spazi domestici sono stati privatizzati dall’introduzione di una miriade di dispositivi di distrazione di massa, quelli online hanno separato il corpo dall’agire digitale, facendo perdere di vista la complessità dei legami intimi ed empatici che caratterizzano ogni relazione umana.
Chi si chiede quanto valida possa essere la sua scelta dovrebbe sapere che ogni scelta è arbitraria e come tale genera incertezza. Secondo il sociologo Bauman “L’incertezza non è un problema temporaneo che si può superare imparando le regole, accettando i consigli degli esperti o semplicemente facendo quello che fanno gli altri. Al contrario. È una condizione permanente della vita, il terreno stesso in cui il soggetto morale mette radici e cresce”.
Optare per la scelta significa essere forti, resilienti, resistenti e capaci di resistere al conformismo e alle pressioni degli altri. Spesso chi sceglie lo fa perché è eternamente insoddisfatto del proprio agire. Questa insoddisfazione è l’elemento vincente sia per affrontare la solitudine personale sia per contribuire alla costruzione di comunità umane ricche di risorse e pronte per affrontare le sfide attuali. Rinunciando a fare affidamento ad algoritmi (il senso di isolamento non può essere calcolato dalla raccolta di dati biologici attraverso sensori biometrici o tecnologie indossabili) e piattaforme social (ci sono studi che dimostrano il loro ruolo nel causare solitudine e depressione), ai loro automatismi statistici che mirano all’automatizzazione dei comportamenti e alla loro programmazione.
Indice del libro
- Osare pensare
- Una riflessione sulla tecnologia è necessaria
- In viaggio
- Qualcosa non funziona più
- Andare oltre la tecnologia
- Un appello per scelte non binarie
- Intelligenze artificiali e umane
- Libertà di scelta come possibilità
- Homo Sapiens: una evoluzione a rischio
- Ruolo e criticità della tecnologia
- Costruire narrazioni diverse
- Menti hackerate e azioni da intraprendere
- Tempi irreali e mondi paralleli
- Mondi virtuali, memi virali e contagiosi
- Il ruolo che dobbiamo esercitare
- In culo alle moltitudini
- πάντα ῥεῖ, tutto scorre
- Il dominio delle macchine
- Media digitali e dimensione umana
- Leggerezza virtuale e pesantezza del reale
- La realtà come gioco
- Il grande inganno
- Mettersi in cammino
- Il tempo tecnologico è viscoso e agitato
- L’illusione del tempo presente
- Immediatezza come registrazione
- Il recupero della lentezza
- Deleghe in bianco e scelte fuori dal coro
- Potenza, vitalità e velocità delle immagini
- Il tempo dimenticato
- Reale e virtuale convivono
- Finzioni digitali e realtà
- Multiverso lento
- Via dalla pazza folla
- Il ruolo delle emozioni
- Emozioni chimiche digitali
- Emozioni algoritmiche
- Macchine intelligenti e assistenti personali
- Emozioni e sofferenza
- Tecnologia strumento di libertà
- Trasformazioni cognitive
- Interazioni uomo-macchina
- Esseri umani o burattini
- Scimmie allevate per consumare
- Internet da spazio libero a mondo chiuso
- Libertà perdute, libertà simulate
- Libertà illusorie
- Scelte binarie e libertà illimitata
- La libertà non fa regali
- Sapere di non sapere
- Strade accidentate e coraggio
- Coltivare gli orti del pensiero
- Pratica del silenzio e tempi lenti
- Metterci la faccia
- Dubitare ora dubitare sempre
- Per dubitare serve una pausa
Gatti, asini e canarini, voliere, acquari e gabbie di vetro
- Comportiamoci da gatti
- Pesci in acquario
- Le voliere di Twitter
- La gabbia è di vetro ma riscaldata
- Cambiare aria
- Mura ciclopiche, barriere e porti chiusi
- La metafora dell’asino
Attraversare la cornice del display
- Oltre la cornice dello schermo
- Contestualizzare la tecnologia
- La potenza delle immagini che ci guardano
- Perdere la vista
- Attenzione distratta
- Algoritmo maggiordomo ruffiano
- Algoritmo invisibile ma non trasparente
- Un algoritmo fintamente autonomo
- L’algoritmo calcolatore
- Ribellarsi all’algoritmo
- Poteri totalitari ma sorridenti
- Fedeltà vado cercando
- Tecnocrazie nichiliste alla ricerca di delega
- Libertà, lavoro e diritti
- Preoccuparsi è meglio che non farlo
- L’esercizio politico della critica
- Le chiese della Silicon Valley
- La politica cinguettante
- Fake news e analisi dei fatti
- Domande, domande, domande
- Dipendenze e rinunce alle dosi quotidiane
- Esercitare l’arte delle domande
- Un elenco di domande possibili
- Le opzioni della scelta
- Difficoltà esistenziale della scelta
- Scelte lenti e consapevoli
- La libertà di scelta online
- Scegliere la gentilezza
- C’è bisogno di amicizia e solidarietà
- Reti di contatti e reti amicali
Note
[1] Secondo Eugeny Morozov usiamo la tecnologia come rimedio e soffriamo di soluzionismo. Tutto è diventato un problema da risolvere comprese le relazioni umane e la vita vissuta. La tecnologia e le sue piattaforme sono diventati strumenti potenti per la soluzione di problemi e ad esse ci sentiamo assoggettati e in dovere di fornire loro tutte le informazioni possibili, rinunciando completamente alla nostra privacy. Le società tecnologiche si sono attrezzate per monitorare ogni aspetto della vita e per fornire soluzioni risolutive a tutte le più importanti e scottanti questioni del nostro tempo: povertà, disuguaglianza, obesità, clima, ecc. Il soluzionismo di queste società e una vita sempre più basata su Internet e i suoi mondi digitali deve però portare a mettere in discussione le idee sottostanti, ad approfondire il dibattito sulle tecnologie con l’obiettivo di recuperare l’idea di una umanità difettosa e non aggiustabile dalla tecnologia. “L’imperfezione, l’opacità, il disordine e l’opportunità di fare la cosa sbagliata sono elementi costitutivi della libertà umana, e qualunque sforzo miri a sradicarli finirà per sradicare anche quella libertà”.