“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo... l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui, in questo mondo.” – Giordano Bruno
Spazi linfatici e viscerali, dominati dalla pancia, nei quali il pensiero critico fa fatica a emergere, la verità non è quasi mai fondata sui fatti (la verità non è la verità) e la cui opinione pubblica è prevalentemente lastricata di buone intenzioni, false narrazioni, gossip e pettegolezzi. Spazi dotati di strumenti tecnologici (Software, APP, piattaforme, AI, ecc.) potenti e intelligenti che aspirano a prendere decisioni al posto nostro, che sanno quale film Netflix decideremo di guardare o itinerario turistico preferiremo, che stanno cominciando a suggerirci cosa studiare, chi sposare, e con quale azienda lavorare, e domani potrebbero anche anticipare il nostro voto per averci schedati per tempo come democratici, conservatori, movimentisti o astensionisti.
Internet da spazio libero a mondo chiuso
I mondi digitali di Internet, nati come aperti e liberi, sono oggi sempre più controllati da poche entità multinazionali erettesi a istituzioni, sette ideologiche e chiese del terzo millennio. Il controllo è diffuso, pervasivo e neppure molto contrastato. Più che le bugie, le post-verità o le fake news, a dominare la scena è l’incapacità di intere moltitudini[1] di persone a concettualizzare il ruolo di subalternità al quale si sono prostrate e la rinuncia alla riflessione critica all’origine della libertà. Questa incapacità nasce dalla diffusione e dall’uso dei social network, dal loro essere diventati strumenti di manipolazione cognitiva e rimbambimento di massa, attività nella quale eccellono monopoli tecnologici, media e politici, in particolare alimentando e coltivando false notizie o, come sono state abilmente denominate, verità alternative.
La Internet dei primi tempi consentiva a scienziati e studiosi (Kevin Kelly, Derrick de Kerckove e molti altri riuniti nella comunità The Well) di condividere ricerche e riflessioni, di confrontarsi e discutere, oggi il Web 2.0 è usato per condividere gattini sorridenti e cagnolini scodinzolanti, selfie sfocati e nudi integrali, faccine e altri emoticon vari (un miliardo di persone è registrata a Instagram che usa molte volte al giorno per condividere scatti, selfie, immagini e fotografie). L’uso di questi strumenti visuali, inventati per il divertimento e la comunicazione, non avrebbe nulla di negativo se non fosse accompagnato dalla diffusione di false notizie in forma di messaggi brevi, articoli o immagini, che non sono stati neppure letti, interpretati o compresi. L’emoji finisce così per essere un carretto della spazzatura lanciato a piena velocità verso il nulla ma capace di fare molto male, per la velocità ma soprattutto per il carico da esso trasportato.
Libertà perdute, libertà simulate
La rinuncia al pensiero critico è ritenuta incolpevole perché praticata da molti, troppo presi e impegnati in libertà simulate da non rendersi conto delle libertà perdute: la libertà di essere empaticamente solidale nei fatti e non solo con un vibrante cinguettio, di ricercare il conflitto come strumento di conoscenza e consapevolezza, di essere gentile nella comunicazione rifiutando la volgarità di quella prevalente online, di fare delle scelte rifiutando quelle suggerite dagli automatismi statistici degli algoritmi tecnologici, di trasformare opinioni e convinzioni etiche in battaglie politiche e valoriali. Persistere nella pratica di queste libertà parte dal mettersi liberamente alla prova (un anno sabbatico via da Facebook per esempio!), dal resistere alle pressioni sociali (non è obbligatorio essere visibili o ricercati online) siano esse online o offline, dall’applicare regole di vita diverse da quelle oggi prevalenti e indotte dagli universi tecnologici virtuali.
Il tema della libertà è sempre attuale, se ne discute molto, in particolare in riferimento al ruolo che la tecnologia ha assunto nel determinare con i suoi algoritmi e le sue piattaforme software il livello di libertà, di autonomia, di indipendenza di giudizio di ognuno. Quando si parla di libertà si fa in genere riferimento alla libertà come principio politico e al libero arbitrio. Due temi da lungo tempo oggetto di riflessione filosofica, metafisica e morale che vedono confrontarsi posizioni teoriche diverse nel rispondere al quesito fondamentale: quando possiamo considerarci davvero liberi? Un quesito che ha visto aumentare nel tempo i dubbi rispetto all’esistenza di un autentico libero arbitrio e diffondersi l’accettazione del determinismo come l’unica “libera” scelta possibile.
Il determinismo è stato declinato in varie forme, dalla predeterminazione divina (Lutero, Calvino, e altri) alla ferrea necessità delle leggi di natura (Galileo, Cartesio, Newton, ecc.) che trasforma gli esseri umani in macchine biologiche. Filosofi come Voltaire e Hume hanno cercato di coniugare determinismo e libertà interpretando quest’ultima come un esercizio di volontà che nasce dal non subire costrizioni o impedimenti. Fare delle scelte traducendole in azioni non significa non essere condizionati, ma agire per ciò che si è, in termini di gusti e di preferenze, storie personali, ambienti esperienziali frequentati e influssi familiari e sociali. La nostra libertà sta nell’esercitare la nostra intenzione di volontà traducendo scelte in azioni concrete. E assumendone la responsabilità, come ha sostenuto Kant, il quale peraltro ribadiva l’incompatibilità delle leggi di natura con la libertà. E poco importa se l’intenzione soggettiva nasce da una qualche forma di reazione neurale di cui non siamo forse completamente coscienti. Mentre gli scienziati sono impegnati a decodificare gli eventi mentali complessi ad essa sottesi, noi possiamo continuare a esercitarci nell’espressione di una vita consapevole fatta di intenzionalità, decisioni, volontà e libera scelta.
Libertà illusorie
Per non farsi intrappolare nelle infinite controversie filosofiche non rimane che illudersi di essere liberi. Liberi di scegliere tra varie possibilità, di fare delle scelte, esercitando liberamente la propria (intenzione) volontà decisionale. La possibilità di scelta influenza le vite di ognuno configurandone i potenziali esiti. Anche nell’era tecnologica attuale fatta di cambiamenti continui, caratterizzata dall’emergere di un nuovo tipo di determinismo, che vede nel software, negli algoritmi, nei dati (senza di essi l’algoritmo non servirebbe a nulla e non porterebbe da nessuna parte), nelle piattaforme e nelle società tecnologiche i suoi potenti strumenti di autorità così come di potenziale privazione della libertà e di nuove reali servitù volontarie.
Continuare a pensare (illudersi) di essere liberi è un modo per vincere la debolezza della volontà, per affrontare gli antagonismi e i conflitti che ogni scelta libera comporta, per coltivare abilità decisionali e pratiche che la facilitino, per diventare consapevoli di come e quanto la libertà di scegliere (l’illusione che se ne ha) sia rilevante nel determinare i risultati perseguiti, stili di vita, benessere individuale e sociale, e infine per assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Applicare la libertà di scelta alle realtà tecnologiche frequentate è un modo per testimoniare la forza del proprio libero arbitrio come strumento personale di scelte non delegate ad altri, usato come merce di scambio per ottenere qualcosa di diverso da quanto viene oggi offerto. Il problema non sono le tecnologie in sé ma i modelli di business che le comprendono e il modo con cui vengono utilizzate. Continuare a credere all’esistenza del libero arbitrio non è un atto di fede ma un modo per prendere le distanze da chi ha sequestrato il libero arbitrio a suo uso e consumo, e per rimarcare la differenza che continua e continuerà a esistere tra un essere umano e una macchina. La macchina già oggi sa fare delle scelte, domani ne farà anche di intelligenti e complesse, ma solo l’essere umano può maturare scelte speciali, non dettate da semplici routine o algoritmi, scelte non facilmente prevedibili, libere, dettate da valori ed emozioni a cui non è possibile rinunciare, perché spesso condizionate dal bisogno forte di gentilezza, di solidarietà, di amicizia e di relazioni empatiche.
Scelte binarie e libertà illimitata
La scelta binaria digitale è percepita come la celebrazione della scelta. Una scelta basata su una semplice operazione cognitiva, su un pensiero riflesso, semplificato, reattivo, immediato e istintivo[2]. Una specie di interruttore o deviatore che permette, in modo rapido, pragmatico e spesso irriflessivo di optare per un sì o per un no, per il click su un link o per una condivisione, per un MiPiace o per un commento di feedback. Online si è costantemente chiamati a optare per una opzione o per un un’altra, a fare appunto delle scelte. Scelte imposte da chi ha programmato le piattaforme e le sue funzionalità con l’obiettivo non dichiarato di far dimenticare che, come esseri umani e con una vita sia digitale sia analogica, esiste anche la possibilità di decidere di non fare alcuna scelta.
Il primo passo da compiere è liberarsi dall’illusione che online la nostra libertà di scelta sia illimitata. Non lo è così come non lo sono autonomia di giudizio, democrazia e autodeterminazione individuale. Avere più opzioni non si traduce necessariamente in maggiore libertà. Sceglierne una, lasciando perdere le altre, comporta la capacità di fare una selezione ma se la scelta è in qualche modo predeterminata, condizionata o forzata, il rischio è di perdere le opportunità e i potenziali vantaggi associati alle opzioni scartate. Per comprendere la portata di questo semplice concetto ognuno può far mente locale ai molti acquisti fatti e percepiti come dettati da libera scelta, ma che poi si sono rivelati sbagliati e inadatti a soddisfare bisogni reali.
La libertà di scelta esercitata online rischia di essere una libertà monca e ripetitiva. Monca perché esercitata all’interno di contesti predeterminati, ripetitiva perché conformata alle scelte binarie disponibili già previste da chi ha implementato piattaforme e algoritmi. La ripetitività invece di renderci liberi, ci rende prevedibili e assimilabili alle macchine e come tali potenziali vittime degli abusi dei poteri forti tecnologici. Online non siamo sempre obbligati a compiere una scelta o a premere un pulsante. Possiamo rinunciare alla scelta, esercitare la libertà di non scegliere, opporci all’imposizione di scelte catalogate come le sole possibili e andare alla ricerca di opzioni alternative possibili, che ci permettano di lasciare in ombra tutte le altre. Opzioni sempre esistenti e in attesa di essere scoperte, perseguite e sperimentate.
La libertà di scelta esercitata online rischia di essere una libertà monca e ripetitiva.
Ogni qualvolta si decide di non scegliere si corrono dei rischi ma a volte non si può non farlo. Un aneddoto della mia vita può servire a spiegare cosa intendo. Nel 1984, vivendo negli Stati Uniti, ho frequentato un corso di inglese. Al primo test in classe l’insegnante chiese di leggere un testo di Hemingway e di selezionare una delle tre possibili interpretazioni proposte. Alla mia richiesta di poter esprimere altre interpretazioni possibili (non solo 1,2,3 ma anche 4,5,6. 4, ecc.) l’insegnante mi chiese “Vuoi passare il test?” e alla mia risposta positiva disse “Bene, allora o 1, o 2 o 3!”. Nessuna vera libertà di scelta ma una libertà incardinata all’interno di opzioni possibili, come quelle binarie del mondo digitale.
Per sentirsi liberi bisogna andare oltre le scelte multiple programmate da altri, anche se violarle implica il non passare un test. Nel terzo millennio per sentirsi liberi bisogna abituarsi a una vita agitata, piena di cambiamenti e pericoli. Mettere in discussione il Truman Show degli acquari digitali significa abbandonare la massa, abitare le moltitudini della Rete in modo consapevole e diverso, optare per realtà esterne prive di stabilità, di sicurezza e di identità. Equivale a rinunciare al benessere psicologico garantito dalle compensazioni e gratificazioni online, ai beni materiali che si palesano anche nella realtà in termini di prodotti e servizi di cui si è diventati consumatori dipendenti e compulsivi.
Gli abitanti degli spazi abitati della Rete e il protagonista del Truman Show cinematografico, Truman (True Man) Burbank, condividono la noia ma anche l’instabilità costante delle relazioni tra il sé e il mondo esterno. L’insoddisfazione che ne deriva può sfociare nel passo del gambero che si ritira dentro lo spazio protetto da cui stava cercando di uscire o nella fuga verso la libertà. È ancora una questione di scelte. Come quella che alla fine porta Truman a optare per l’esercizio del suo libero arbitrio per fare ciò che ritiene di volere, rinunciando alla felicità fittizia dell’acquario, un involucro tecnologico allestito per lui per motivi di sceneggiatura, per provare l’ebbrezza della vita e affrontando per questo sfide nuove, pericoli certi, la perdita di amicizie e contatti.
Il Truman Show nasceva come critica al mondo televisivo ma il suo messaggio vale a maggior ragione anche oggi, nell’epoca delle piattaforme dei social network. Il film conteneva una critica anche ai telespettatori, complici consapevoli dell’inganno perpetrato nei confronti di Truman, anche se in segreto disposti a appoggiarne la sua ribellione e ricerca di una via di uscita. I telespettatori, diventati social networker, sono tutti Truman Burbank, imprigionati dentro la cupola (digitale) dello show (business). Sanno di essere condannati all’insoddisfazione, alla noia e alla solitudine. Non è un caso che siano costantemente impegnati in un delirio compulsivo, spesso dettato dalla vanità e dal narcisismo, che si esprime in azioni finalizzate alla ricerca di notorietà, visibilità e reputazione.
Queste azioni non impediscono di osservare quelle degli altri, forse nella speranza di incontrare novelli Truman capaci di interrogarsi sulla propria condizione esistenziale e fare delle scelte, non dettate o facilitate da semplici algoritmi (in Truman Show la sceneggiatura guidata dal Creatore) interessati al proseguimento dello Show. La scelta di abbandonare la bolla semisferica nella quale è cresciuto, porta Truman a esplicitare con il Creatore le motivazioni che l’hanno determinata. Motivazioni assimilabili a quelle di coloro che, dopo avere intrapreso un percorso di riflessione che porta all’illuminazione e raggiunta la consapevolezza della scelta da compiere, decidono di lasciare i mondi virtuali per sentirsi più liberi e meno condizionati. Una scelta spesso motivata dal bisogno di togliersi di dosso gli occhi puntati su di loro dei Grandi Fratelli tecnologici, dei compagni di strada che compongono le Reti dei loro contatti così come delle masse indistinte e delle moltitudini che popolano gli spazi online. L’obiettivo è di tornare a guardare il mondo con occhi differenti, alla ricerca di maggiore conoscenza e verità.
La libertà non fa
Il guadagno di ogni scelta di libertà non è garantito. Probabile al contrario il riaffacciarsi di paure sommerse, l’emergere di nuove incertezze, di timori di isolamento, di nuove forme di solitudini e assenza di solidarietà. Tutto meglio del sentirsi in qualche modo teleguidati, impotenti, felicemente inseriti in paradisi artificiali e dopati che favoriscono la percezione di essere al sicuro, ma non sono in grado di eliminare la voglia di sentirsi vivi, il bisogno di dare un senso alla propria esistenza e la necessità di sentirsi ancora capaci di fare delle scelte libere. L’abbandono di Facebook che sta avvenendo (secondo un dato del 2018, il 34% dei Nativi Digitali della generazione Zeta stanno abbandonando i media sociali) è un segnale di qualcosa che si sta muovendo. Forse semplici scelte opportunistiche motivate dal voler sfuggire al controllo degli adulti, siano essi mamme, nonni o insegnanti di turno. Forse dalla ricerca di emozioni e sentimenti non più dettati da emoticon, MiPiace e selfie condivisi, alla ricerca di nuovi punti di riferimento per provare a capire meglio dove si è diretti e se ci si può arrivare, anche senza il supporto di protesi tecnologiche o di alter ego digitali.
Ciò che succede online trova sempre più riscontro, non a caso, anche nella realtà politica, con l’affermarsi di potentati transnazionali come quelli dei produttori di tecnologia. Per loro l’individuo non è un portatore di diritti e di bisogni ma principalmente una merce, un animale guidato da istinti come quelli dell’appartenenza al gregge, una persona avida e mediocre, poco attenta alla propria libertà individuale, narcisa ed egocentrica. Sempre ben disposta a cedere porzioni della sua libertà, a concedere la sua complicità volontaria e conformistica, la sua subordinazione in cambio di un prodotto, un buon affare, un giocattolo, un Like e una condivisione online. È una condizione che è stata definita dal filosofo Maurizio Ferraris di mobilitazione totale, che si realizza nel mondo “[…] dei telefonini, di quei telefonini che ci danno l’impressione di avere il mondo in mano, mentre siamo in mano al mondo, sempre disponibili per le sue imposizioni e richieste”.
In questo contesto tende a prevalere l’adesione di massa alla ripetitività dei gesti, il linguaggio stereotipato e uniformato in termini sintattici e tematici, la condivisione acritica e superficiale di cinguettii e messaggi, la pretesa di difendere ogni spazio digitale come spazio di libertà e di espressione, l’assenza di consapevolezza del contesto tecnologico in cui tutto ciò avviene e la servitù volontaria alla quale ci si sottopone.
È come se si scegliesse volontariamente e felicemente di incatenarsi per paura di doversi assumere delle responsabilità. Come quella di sbagliare, di fare scelte errate che possano tradursi in conseguenze non prevedibili, di manifestare delle idee che vanno contro il conformismo straripante (anche se mai stabilmente associato a una idea o a un leader politico) e il politicamente corretto. È come se l’imperativo morale di Kant fosse svanito nelle nuvole tecnologiche, dando forma a una massa informe e ubbidiente di persone disposte a tutto pur di poter continuare a rimanere parte di essa. Disposte a fuggire dalla conoscenza e dal sapere individuali per affidarsi a pensieri preformattati o alla imprevedibilità dei loro umori e sentimenti. Disposte a condividere e commentare i numerosi post razzisti, violenti e xenofobi che popolano la Rete, a credere come vere assurde teorie complottiste (I protocolli dei savi di Sion), a fare propria ogni tipo di falsa verità spacciandola per verità alternativa, soprattutto se celebrata da migliaia di MiPiace (dalla sua introduzione nel febbraio 2009 è stato usato miliardi di volte) e senza avere verificato quanti di essi siano stati prodotti da Troll[3].
Di fronte a questo conformismo l’esercizio della libertà diventa una scelta insofferente, rivoluzionaria, anticipatrice e resistenziale, come quella compiuta da Socrate che in vita non ha mai ceduto acriticamente alle false opinioni, ai pregiudizi e al senso comune della maggioranza. Una scelta da compiersi anche solo per ribadire la propria indipendenza e libertà personale, per evidenziare al tempo stesso le conseguenze del mancato esercizio della libertà da parte di altri che, con la loro sottomissione, servilità e gregarietà finiscono per danneggiare e contagiare la comunità (le vicende dell’Italia di questi tempi ne sono una testimonianza continua e preoccupante).
Di fronte al conformismo diffuso l’esercizio della libertà individuale diventa una scelta insofferente, rivoluzionaria, anticipatrice e resistenziale
Pur se illusoria e disponibile solo all’interno di ambiti e contenitori predeterminati da qualcun altro, dai detentori dei media sociali e di chi li gestisce, mantenere attiva la possibilità di una scelta significa regalarsi un ventaglio più ampio di scelte possibili, tenersi sempre aperta una via di uscita e di fuga dagli automatismi nei quali si è imprigionati. Per Socrate la morte fu la sua via d’uscita dal mondo, quella dai mondi digitali non è così drastica e dolorosa. In entrambi i casi ciò che conta è non dimenticarsi di essere sé stessi, di prendersi cura di sé e di ciò in cui si crede, anche rifiutando le sirene vocianti delle moltitudini che oggi si agitano online credendo di sapere tutto (grazie Google!) e impegnate in chiacchiere (preda dei “crampi del linguaggio e del pensiero” direbbe la filosofa Rossella Fabbrichesi) che nulla hanno a che fare con il linguaggio della ragione, la conoscenza e il sapere.
Sapere di non sapere
Sapere di non sapere e la fuga dai mondi tecnologici non sono azioni facili e praticabili da tutti. Troppo grande è l’abitudine alla bambagia digitale che prevale sull’apertura all’incertezza delle possibilità e all’accettazione della propria vulnerabilità. La prigione dalla quale fuggire è oscura, labirintica e complessa, gestita con logiche interne per lo più sconosciute, invisibili, efficienti e intelligenti che non tengono conto dell’umanità dei prigionieri, il loro essere umani. Logiche che definiscono l’ambiente (piattaforme come territorio esperienziale e di gioco), alimentano narcisismo e individualismo, l’assimilazione subdola di qualsiasi espressione critica o devianza (basta guardare ai fenomeni della moda e della politica, a come vengono resi innocui movimenti sociali come Occupy Wall Street, in futuro quello ambientalista dei teen-ager guidati dalla sedicenne svedese Greta Thurberg).
Il non esercizio della libertà individuale nei confronti del media tecnologico non è senza prezzo. Il mondo virtuale non è diverso da quello reale. Entrambi sono all’origine di varie tipologie di rischi di cui ci prendiamo cura solo dopo averne sperimentato le conseguenze. Intrappolati dal presente, più che a prevenire ci scopriamo impegnati a porre rimedio ai danni da noi stessi prodotti con i nostri comportamenti. Vale per i numerosi disastri che avvengono online così come per quelli nella vita reale, ambientali, sociali, economici e personali. Basti pensare ai cambiamenti climatici dei quali siamo tutti responsabili ma che non incidono sulle nostre scelte civiche e politiche.
Il primo passo per cambiare strada richiede la capacità di elaborare una riflessione critica su sé stessi e sulle realtà vissute per liberarsi dai lacci del presente e cominciare a pensare diversamente. Ma la riflessione senza l’azione serve a poco, così come serve a poco l’iniziativa individuale del singolo senza una qualche forma di solidarietà empatica (oltre le ONG), compartecipazione collettiva (oltre la politica), determinata dalla solidarietà, da un comune sentire e dalla condivisione di valori, che nascono da una comune percezione della realtà. L’azione, per intenderci, non sta nell’applicare un MiPiace ai numerosi messaggi che Greta Thumberg deposita nelle sue numerose bottiglie digitali online, ma nel prendere spunto da essi per impegnarsi personalmente e seriamente nelle battaglie ideali e politiche per la salvaguardia dell’ambiente e per raggiungere l’obiettivo di Greta e dei tanti adolescenti come lei: salvare il pianeta Terra, insieme alle specie animali e vegetali che lo abitano. Unico modo per contribuire a immaginare, insieme ad altri, un tempo a venire futuro.
Nel caso di un’epidemia, in assenza di un intervento diffuso, curare il singolo potrebbe rivelarsi insufficiente, inefficace per gli effetti su scala globale e di lungo termine. Serve un impegno individuale che oggi non si vede all’orizzonte.
Bisogna contribuire alla nascita di una opinione pubblica consapevole, impegnata, portatrice di nuova cultura e capacità critica, valori etici e azione politica. Gli scenari all’orizzonte non sono luminosi o promettenti ma la speranza che qualcosa possa cambiare in meglio è dura a morire. Soprattutto se si è consapevoli della viscosità e volatilità attuali, dell’esistenza di fenomeni ed eventi emergenti in grado di creare campi di forza attrattivi e potenti, determinati da spinte di auto-organizzazione e capaci d sorprendere (i famosi cigni neri), tipica dei sistemi complessi.
Il cambiamento consiste nell’adottare nuove pratiche, fatte di capacità di ascolto, lettura e dialogo, nell’imparare a esercitare la critica e l’autocritica, così come nel riuscire a cambiare le forme della comunicazione digitale, riducendo la separazione che si è venuta determinando tra linguaggio e corpo, superando l’isolamento digitale crescente che impedisce l’incontro, la relazione fisica ed empatica tra corpi.
Le nuove buone pratiche e le euristiche che le caratterizzano coinvolgono sia gli universi reali sia quelli virtuali. Vanno vissuti non come alternativi ma come un unico territorio esperienziale nel quale conta più di tutto saperne scavalcare le frontiere. Un modo per riuscirci è di “farsi frontiera, soglia, varco del passaggio che porta dall’assoggettamento alla soggettivazione, dal fuori al dentro e viceversa. Dobbiamo imparare a camminare sulle creste, a inserirci negli interstizi, a rivoltare come un guanto ciò che era dentro e vederlo come fuori”. (Rossella Fabbrichesi, Cosa si fa quando si fa filosofia).
Vivere la frontiera, superare i confini e i muri, migrare, non sono semplici concetti utili per un dibattito politico o mediatico. Sono azioni concrete, pratiche di vita, capaci di trasformare la realtà e il mondo, come lo sono quelle dei migranti che nei nostri giorni complicati, con il loro essere in movimento e la loro umanità, stanno prefigurando e dando forma al mondo che verrà, necessariamente meticciato, multiculturale e multietnico.
Praticare l’arte del pensare criticamente, del dubitare, del prendere posizione e della scelta è un modo per contribuire alla trasformazione, anche di quella tecnologica e della sua evoluzione futura.
Più che preoccuparsi della difesa delle proprie radici o dei pericoli della incombente era delle macchine, basterebbe riflettere e prendere atto che le radici del genere umano, come ha illustrato molto bene Jared Diamond nel suo libro Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, sono comuni e così importanti che dovremmo ricordarcele ogni giorno. Quelli che sono convinti di ciò hanno il compito e la responsabilità di risvegliare la massa e le moltitudini di persone che oggi vivono dormendo, in una specie di limbo cacofonico e virtuale, fatto di cinguettii che esaltano radici e culture autoctone che in realtà sono, in molti casi, delle semplici Fake News.
Indice del libro
- Osare pensare
- Una riflessione sulla tecnologia è necessaria
- In viaggio
- Qualcosa non funziona più
- Andare oltre la tecnologia
- Un appello per scelte non binarie
- Intelligenze artificiali e umane
- Libertà di scelta come possibilità
- Homo Sapiens: una evoluzione a rischio
- Ruolo e criticità della tecnologia
- Costruire narrazioni diverse
- Menti hackerate e azioni da intraprendere
- Tempi irreali e mondi paralleli
- Mondi virtuali, memi virali e contagiosi
- Il ruolo che dobbiamo esercitare
- In culo alle moltitudini
- πάντα ῥεῖ, tutto scorre
- Il dominio delle macchine
- Media digitali e dimensione umana
- Leggerezza virtuale e pesantezza del reale
- La realtà come gioco
- Il grande inganno
- Mettersi in cammino
- Il tempo tecnologico è viscoso e agitato
- L’illusione del tempo presente
- Immediatezza come registrazione
- Il recupero della lentezza
- Deleghe in bianco e scelte fuori dal coro
- Potenza, vitalità e velocità delle immagini
- Il tempo dimenticato
- Reale e virtuale convivono
- Finzioni digitali e realtà
- Multiverso lento
- Via dalla pazza folla
- Il ruolo delle emozioni
- Emozioni chimiche digitali
- Emozioni algoritmiche
- Macchine intelligenti e assistenti personali
- Emozioni e sofferenza
- Tecnologia strumento di libertà
- Trasformazioni cognitive
- Interazioni uomo-macchina
- Esseri umani o burattini
- Scimmie allevate per consumare
- Internet da spazio libero a mondo chiuso
- Libertà perdute, libertà simulate
- Libertà illusorie
- Scelte binarie e libertà illimitata
- La libertà non fa regali
- Sapere di non sapere
- Strade accidentate e coraggio
- Coltivare gli orti del pensiero
- Pratica del silenzio e tempi lenti
- Metterci la faccia
- Dubitare ora dubitare sempre
- Per dubitare serve una pausa
Gatti, asini e canarini, voliere, acquari e gabbie di vetro
- Comportiamoci da gatti
- Pesci in acquario
- Le voliere di Twitter
- La gabbia è di vetro ma riscaldata
- Cambiare aria
- Mura ciclopiche, barriere e porti chiusi
- La metafora dell’asino
Attraversare la cornice del display
- Oltre la cornice dello schermo
- Contestualizzare la tecnologia
- La potenza delle immagini che ci guardano
- Perdere la vista
- Attenzione distratta
- Algoritmo maggiordomo ruffiano
- Algoritmo invisibile ma non trasparente
- Un algoritmo fintamente autonomo
- L’algoritmo calcolatore
- Ribellarsi all’algoritmo
- Poteri totalitari ma sorridenti
- Fedeltà vado cercando
- Tecnocrazie nichiliste alla ricerca di delega
- Libertà, lavoro e diritti
- Preoccuparsi è meglio che non farlo
- L’esercizio politico della critica
- Le chiese della Silicon Valley
- La politica cinguettante
- Fake news e analisi dei fatti
- Domande, domande, domande
- Dipendenze e rinunce alle dosi quotidiane
- Esercitare l’arte delle domande
- Un elenco di domande possibili
- Le opzioni della scelta
- Difficoltà esistenziale della scelta
- Scelte lenti e consapevoli
- La libertà di scelta online
- Scegliere la gentilezza
- C’è bisogno di amicizia e solidarietà
- Reti di contatti e reti amicali
Note
[1] La moltitudine in Rete è mobile, flessibile, adattativa e capace di cambiare radicalmente di fronte a nuovi eventi e cambiamenti. I membri di una moltitudine non sono chiamati a essere omogenei o a rinunciare alla loro creatività ma rimangono differenti. Le caratteristiche di una moltitudine non garantiscono però la libertà e la democrazia, soprattutto se le singolarità che la compongono sono sempre più schiacciate e stereotipate su modelli imposti da altri o indotti dalle piattaforme tecnologiche utilizzate. Da luogo di libertà e di auto-organizzazione Internet è sempre più uno spazio privato dominato dal governo di pochi. Per ritornare a essere protagonista il singolo deve contribuire a riportare la moltitudine alla sua essenza e forza originaria.
[2] Riferimento a George Lakoff
[3] Nella mitologia scandinava (norrena) il troll è una divinità umanoide. In internet e nelle comunità digitali è un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso e/o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi.