“Pensare è difficile. Pensare a certi problemi è così difficile che il solo pensiero di pensare a quei problemi può fare venire mal di testa.”– Strumenti per pensare di Daniel Bennet
“Il pensiero critico è minacciato di estinzione” – Benvenuti in tempi interessanti, Slavoj Žižek
“L’esposizione della mente cosciente ai contenuti portati dal mediascape diviene così rapida, così breve, che l’elaborazione critica viene a essere disattivata”.– Futurabilità, Franco Berardi Bifo
Gli strumenti che servono sono strumenti che si basano sulla capacità del cervello umano di leggere, ricordare, pensare e ragionare, di saper controllare gli eventi, siano essi impulsi interni o eventi esterni, di riflettere aprendo la strada a nuove idee, teorie, opportunità e cambiamenti. Un cervello vigile, capace di comprendere, di commettere errori, di pensare a quello che pensa e riflettere sul linguaggio che ha generato, di gestire emozioni e impulsi, in modo da costruirsi il proprio film personale della realtà, evitando di essere semplice comparsa in sceneggiature di film realizzati da altri, oggi anche proiettati sui display di schermi tecnologici con un semplice click.
Strade accidentate e coraggio
Percorrere le strade accidentate del pensare è impegnativo, richiede una certa dose di coraggio, la capacità di fare spazio a tutte le idee e di focalizzarsi sulle cose importanti anche quando sono scomode o presentate come tali, la volontà di andare controcorrente sperimentando creatività e capacità innovativa, incuranti di quello che pensa la maggioranza della gente (Quanto tempo passiamo online su emerite stronzate? Quanto tempo dedichiamo a cinguettare senza essere ‘uccelli’?). Bisogna saper vincere la pigrizia che sempre suggerisce itinerari e destinazioni più facili anche se spesso destinati a non portare da nessuna parte o direttamente in un burrone. Una metafora perfetta per le dipendenze, le ansie, i disturbi, il senso di isolamento e la mancanza di relazioni empatiche che caratterizzano i mondi digitali online.
L’esperienza tecnologica va oltre quella cognitiva della mente. In molti comportamenti sembra priva di ogni forma di razionalità, consapevolezza e capacità di elaborare pensiero. Nei mondi digitali, in assenza di corpi, prevalgono le percezioni, le sensazioni e le emozioni mentre sarebbe necessario l’esercizio del pensiero, della riflessione profonda e della logica. Non basta sentire una emozione, bisogna anche sapere di sentirla, diventare consapevoli dei propri sentimenti e imparare dagli errori commessi, la chiave vera per ogni progresso reale. Un modo per riuscirci è riflettere sul contesto digitale nel quale questa esperienza si fa personale e sociale, sulle percezioni e sensazioni che ne derivano, non necessariamente coincidenti con le realtà percepite. Sarebbe utile riflettere sui desideri da esse alimentati, sulla passività di un conoscere determinato principalmente dal flusso costante, in tempo reale, di dati e informazioni, senza che ci si impieghi più di tanto a comprenderne i significati più profondi, la loro verità e qualità[1].
Praticare la consapevolezza lasciandosi guidare da sensazioni, emozioni e percezioni non è sufficiente, bisogna che ne nasca una coscienza, la capacità critica che serve alla conoscenza di sé stessi, che ci permette “di provare gioia o dolore, di conoscere la sofferenza o il piacere, di sentire imbarazzo o orgoglio, di essere addolorati…” (Antonio Damasio, Emozione e sentimento, Adelphi 2000). Non è sufficiente neppure dotarsi di strumenti e informazioni utili ad aumentare la conoscenza dei media e delle tecnologie utilizzate. Secondo il teologo Vito Mancuso l’azione che serve prevede l’uso “[…] di una intelligenza che abbia una funzione di tipo pratico, finalizzata e comprendere come agire, cosa fare e cosa non fare: tale lavoro mentale che valuta i dati e decide come comportarsi al loro riguardo si chiama coscienza morale, detta anche voce della coscienza. E il suo frutto, giudizio”.
la consapevolezza non basta, bisogna che ne nasca una coscienza capace di portare all'azione (agire)
Coltivare gli orti del pensiero
Coltivare la capacità di riflettere criticamente, esercitare la propria libertà di scelta, per quanto essa sia percepita come illusoria, condizionata e limitata, è un modo creativo per prepararsi ad affrontare i rischi, sempre troppo sottaciuti e mai analizzati a fondo, della rivoluzione tecnologica, applicando semplici strumenti del pensare. I rischi non sono solo quelli che trovano spazio nelle narrazioni dei media come la privacy, l’automazione, il previsto avvento della singolarità tecnologica e quello del dominio delle macchine intelligenti. A rischio sono identità (sempre costruita culturalmente e socialmente) e libertà individuali, sicurezza privata e pubblica, democrazia politica, diritti e lo stesso futuro della specie umana (i numerosi romanzi distopici di giovani scrittori testimoniano di una preoccupazione crescente sul futuro). La riflessione deve poter contare sulla capacità di ragionare e su strumenti adeguati, prima di tutto cognitivi e del pensiero, culturali e linguistici.
Riflettere serve a focalizzare l’attenzione su come molti stiano barattando la loro privacy (intesa come la facoltà di rivelarsi al mondo in modo selettivo) con il piacere di ricevere servizi percepiti come gratuiti anche se non lo sono. Piacere, divertimento e gratificazioni sono tali da impedire ogni seria riflessione sulle conseguenze e le implicazioni del controllo e della sorveglianza esercitata dalle piattaforme tecnologiche. Una sorveglianza che agisce come i potenti riflettori da palcoscenico usati per mettere in mostra, dentro un cono di luce, gli attori che vi recitano, ma impedendo loro di vedere il pubblico in sala. La sorveglianza tecnologica è politica e sociale, colpisce l’essenza stessa della libertà (ci è data la possibilità di improvvisare ma i ruoli sono già scritti e determinati da altri) anche se è percepita da molti come normale, auspicabile per difenderci dal nemico esterno e dal cattivo e accettabile (…c’è sempre un costo da pagare). La libertà perduta andrebbe al contrario costantemente ricercata, rivendicata e praticata, tradotta in richieste politiche di trasparenza dei rappresentanti politici e di coloro che, all’interno delle istituzioni, esercitano il comando e il potere.
Riflettere sulle proprie esperienze tecnologiche mette in movimento il pensiero, aiuta il ragionamento, agita la mente, produce incertezza, indecisione, ma anche caos generativo di novità e creatività[2]. Non tutti sono disposti ad affrontare questo tipo di situazioni che si portano appresso la demolizione di consuetudini, abitudini e comportamenti, consolidati in anni di connessione continua e frequentazione prolungata di spazi digitali online. Dopo questa demolizione che potrebbe comportare la cancellazione di account digitali o l’allontanamento temporaneo dalle piattaforme social, potrebbe diventare possibile praticare nuovi comportamenti, adottare nuove abitudini e riconsiderare il proprio rapporto con la tecnologia.
Un buon esercizio per prepararsi al distacco, anche temporaneo, è la frequentazione e la lettura dei testi di coloro che, con libri ma anche online, stanno contribuendo a una riflessione diversa e approfondita sulla relazione stretta che ci lega alla tecnologia[3]. Soffermarsi sulle loro riflessioni, cogliendone idee, messaggi e significati, può far scaturire la curiosità di capire meglio le esperienze vissute dentro le molteplici realtà parallele che caratterizzano le vite di oggi e quanto si è in esse intrappolati. La maggiore conoscenza e l’attività servita ad acquisirla (collaborazione, cooperazione e lavoro fatto in comune con altri) possono regalare la saggezza, traducibile in prudenza e circospezione, che serve a comprendere meglio i meccanismi, le logiche algoritmiche e i segreti della tecnologia così come le logiche di potere e i modelli di business di chi la produce.
Pratica del silenzio e tempi lenti
La riflessione richiede il silenzio, tempi lenti, intervalli prolungati e continui, il saper passare dai tempi accelerati e ansiogeni dello smartphone sempre connesso, a quelli lenti o fuori del tempo della realtà offline. Suggerisce di sostituire l’immediatezza dell’istante con la resilienza, la durata e la persistenza nel tempo. Implica il fermarsi o il rallentare, la capacità di osservare, allontanando il brusio continuo del display e praticando l’inattività (l’arte zen dello smartphone spento), in modo da poter ascoltare e pensare meglio, guardare con attenzione ciò che si vede, predisponendosi ad apprendere cose nuove, utili per fare delle scelte, prima di fare nuove affermazioni o per decidere quali azioni intraprendere.
Riflettere è un modo per coltivare sensibilità diverse, cercare ragioni e argomenti, analizzare i propri sentimenti, trovare le motivazioni giuste e forti per una scelta o azione, per allenare la volontà (rimandare la visione di una puntata di una serie televisiva prodotta da Netflix è forse l’allenamento più duro, ma lo è anche non rispondere immediatamente a un messaggio WhatsApp).
Riflettere serve anche a comprendere come e quanto le nostre azioni siano quasi sempre poco razionali, costantemente condizionate dal sentimento e dalle emozioni (paura, rabbia, tristezza, disgusto, sorpresa e gioia). Provate a pensare alle reazioni online di molte persone che, impegnate in qualche chat o flusso di comunicazione Facebook, sposano una tesi o la sua antitesi semplicemente con scelte di pancia, irrazionali, spesso anche assurde, illogiche e dettate dal loro sentirsi eccitati o affaticati, rilassati o agitati, in uno stato di benessere personale o malessere. Serve anche a convincersi che razionalità e irrazionalità convivono perché la realtà non è mai duale, binaria, cartesiana. È complessa, circolare, reticolare, fatta di opposti che si incontrano (“Liberatevi da virtù e peccati / perché se avete virtù / quando le avrete finite / ci saranno i peccati / e se ci sono i peccati / ci saranno virtù” – La nube del telaio di Elemire Zolla).
Cercare di bloccare o imporsi alle emozioni non ha senso, anche la coscienza nasce da un sentimento e da un’emozione di fondo. Capire cosa si sente è complicato ma ogni tentativo fatto è un esercizio critico che permette di conoscere se un’emozione si traduca in gioia o dolore, in piacere o sofferenza. Dalla conoscenza che ne deriva può nascere l’imbarazzo e la vergogna per un sentimento provato o per un’azione compiuta (un cinguettio xenofobo, maschilista, omofobo, ecc.), oppure l’orgoglio per esserne stato l’artefice.
La consapevolezza dei sentimenti provati non porta necessariamente a definire ciò che è giusto o ciò che è sbagliato ma lascia comprendere la stretta connessione che esiste tra l’individuo e l’oggetto della sua esperienza. Un oggetto che in questo e-book è da identificare nelle piattaforme e negli strumenti tecnologici. Dare importanza a questa relazione è un primo passo per riconoscere il ruolo che le piattaforme tecnologiche hanno nel condizionare la vita individuale e sociale e nel cambiare comportamenti, sentimenti e azioni.
Metterci la faccia
Applicare l’arte della riflessione ai mondi tecnologici frequentati è un modo per metterci la faccia. Aiuta a sperimentare lo sguardo esterno per guardarsi da una dimensione diversa, mentre si sta perdendo la propria libertà online. Permette di affrontare i tanti pensieri che emergono, magari gli stessi che sono stati all’origine della fuga nei mondi virtuali e rassicuranti della Rete. Pensieri nella forma di preoccupazioni, affaticamenti, fastidi, ansie, paure che possono impedire di riflettere e pensare, fare delle scelte, decidere e agire (diverso da fare[4]).
Pensare[5] e riflettere sono un passo obbligatorio per scelte responsabili e determinate eticamente (Vito Mancuso, Il bisogno di pensare), aiutano la consapevolezza, favoriscono la vigilanza, rendono possibile elaborare pensiero critico e una migliore conoscenza di sé stessi. Quella resa possibile dalla coscienza estesa[6] e complessa in grado di collocare ogni individuo dentro un tempo storico fatto di passato, presente e futuro e di abbracciare i tanti panorami personali che hanno permesso nel tempo di costruire il proprio sé autobiografico dandogli una qualche prospettiva. Una coscienza diversa da quella semplice che si ferma al qui e ora, che si brucia rapidamente nell’istante di ogni momento, che non ha ricordi e vede la realtà come una semplice sequenza di eventi nella forma di messaggi, cinguettii, condivisioni e rappresentazioni. Un’esperienza questa ben conosciuta da coloro che frequentano assiduamente le piattaforme digitali, vivendole spesso in uno stato di amnesia e assenza di coscienza, non percependo l’insufficienza di esperienze del sé sempre transitorie, mutevoli, ricreate incessantemente, che non permettono di strutturare e dare forma robusta alla conoscenza di sé stessi e a quella degli oggetti delle realtà circostanti.
La nostra capacità di pensare il mondo e coglierne la realtà passa attraverso la formulazione e la comprensione di nuovi concetti, gli stessi con i quali oggi categorizziamo e classifichiamo le nostre esperienze fatte in compagnia di infiniti oggetti tecnologici come sensori e reti degli oggetti, codice software e applicazioni, ecosistemi e piattaforme, realtà virtuali, aumentate e chatbot dotati di intelligenza artificiale, innumerevoli dati e informazioni.
Una volta acquisiti, questi concetti e le loro analogie possono servire a cogliere i segni degli effetti e delle conseguenze di una tecnologia che ha invaso ogni più piccolo ambito e pertugio di vita individuale e sociale, oltre che professionale e lavorativa.
La difficoltà di comprensione è grande perché l’elemento che sta realmente cambiando il mondo è il software[7]. Un’entità immateriale, intangibile, ormai sconosciuta ai più, se non in termini di funzionalità, finestre e gestualità, ma che si sta evolvendo in continuazione, vive una costante accelerazione evolutiva e “si sta mangiando il mondo”.
Comprendere il software non significa imparare a leggere il codice ma decifrarne i suoi algoritmi, analizzare i modelli di business delle sue piattaforme che sembrano volersi sostituire al welfare e ai diritti, riflettere sugli effetti sociali che derivano dalla sua presenza e pervasività negli ambienti di lavoro. Continuare a interrogarci sulle soluzioni tecnologiche che usiamo è un modo per esorcizzare la paura che la tecnologia stia prendendo il sopravvento, e prepararci ad affrontare scenari imprevedibili dalla complessità crescente.
Per immergersi nella realtà tecnologica attuale è necessario cominciare a porsi delle domande fondamentali su sé stessi, sui propri stili di vita e sui propri modi di pensare, dotarsi di strumenti di conoscenza utili a smontare e decostruire i tanti framework imposti che suggeriscono che tutto sia frutto di semplici interpretazioni[8]. I fatti della vita per molti si manifestano al contrario in tutta la loro durezza e pesantezza (forse la liquidità di Bauman ha bisogno anch’essa di essere ripensata criticamente e adattata alle nuove realtà sociali). Tutti si trovano a fare i conti con la concretezza e la crudezza inesorabile della realtà. Sia essa quella vissuta nelle realtà fattuali della vita reale, sia quella nelle molteplici realtà parallele e digitali, sempre più assiduamente frequentate, anche come via di fuga illusoria dalla sofferenza e dalla precarietà vissuta del reale[9].
Il pensiero obliquo e laterale, lo smontaggio e la decostruzione delle cornici di riferimento con le quali interpretiamo la realtà rende possibile introdurre elementi di cambiamento e discontinuità. Da un lato smascherando la manipolazione semantica della realtà operata dai tanti Truman Show digitali planetari, perpetrata in modo abile dai nuovi potenti tecnologici di turno che hanno contaminato la mente con le loro narrazioni e visioni. Dall’altro misurandosi con la distanza che esiste tra visibilità online, isolamento e solitudine nella vita reale, tra narcisismo e insignificanza nella vita precaria reale, tra reputazione e disoccupazione. Infine, fornendo strumenti intellettuali e cognitivi per opporsi alla privatizzazione del libero pensiero operato da tecnologie potenti come il Cloud Computing. Tecnologie che, unitamente ai Big Data e ai loro strumenti di analisi (analytics), rendono tutto alla portata di tutti ma sempre attraverso la mediazione di qualcuno. Solitamente coloro che possiedono le risorse del Cloud e i Big Data, aziende proprietarie di tecnologie hardware, software così come di dati, contenuti e informazioni.
Applicare gli strumenti del pensare criticamente, del riflettere e dell’andare a fondo delle cose, è un modo per uscire fuori dalla passività memetica (ogni faccina o emoji è un meme) nella quale siamo precipitati, per esercitare la volontà, agire per scoprire i fatti, portare alla luce la verità reclamando il pensare e la libertà di scegliere come un bene pubblico.
Gli strumenti per pensare non devono limitarsi alla capacità di acquisire e elaborare conoscenze, di ragionare e pensare in maniera astratta, di pensare razionalmente ed esercitare il pensiero critico. Devono comprendere anche la capacità nel sentire e capire le emozioni, di identificarne il ruolo nel determinare scelte e decisioni, relazioni e separazioni, il raggiungimento o meno di obiettivi sia personali sia di gruppo. Devono servire ad adattarsi alle nuove situazioni emergenti, per imparare a cogliere l’idea centrale di una conversazione, il senso vero di ogni esperienza e di ogni cosa. Che è poi la capacità tipicamente umana di sopravvivere!
Indice del libro
- Osare pensare
- Una riflessione sulla tecnologia è necessaria
- In viaggio
- Qualcosa non funziona più
- Andare oltre la tecnologia
- Un appello per scelte non binarie
- Intelligenze artificiali e umane
- Libertà di scelta come possibilità
- Homo Sapiens: una evoluzione a rischio
- Ruolo e criticità della tecnologia
- Costruire narrazioni diverse
- Menti hackerate e azioni da intraprendere
- Tempi irreali e mondi paralleli
- Mondi virtuali, memi virali e contagiosi
- Il ruolo che dobbiamo esercitare
- In culo alle moltitudini
- πάντα ῥεῖ, tutto scorre
- Il dominio delle macchine
- Media digitali e dimensione umana
- Leggerezza virtuale e pesantezza del reale
- La realtà come gioco
- Il grande inganno
- Mettersi in cammino
- Il tempo tecnologico è viscoso e agitato
- L’illusione del tempo presente
- Immediatezza come registrazione
- Il recupero della lentezza
- Deleghe in bianco e scelte fuori dal coro
- Potenza, vitalità e velocità delle immagini
- Il tempo dimenticato
- Reale e virtuale convivono
- Finzioni digitali e realtà
- Multiverso lento
- Via dalla pazza folla
- Il ruolo delle emozioni
- Emozioni chimiche digitali
- Emozioni algoritmiche
- Macchine intelligenti e assistenti personali
- Emozioni e sofferenza
- Tecnologia strumento di libertà
- Trasformazioni cognitive
- Interazioni uomo-macchina
- Esseri umani o burattini
- Scimmie allevate per consumare
- Internet da spazio libero a mondo chiuso
- Libertà perdute, libertà simulate
- Libertà illusorie
- Scelte binarie e libertà illimitata
- La libertà non fa regali
- Sapere di non sapere
- Strade accidentate e coraggio
- Coltivare gli orti del pensiero
- Pratica del silenzio e tempi lenti
- Metterci la faccia
- Dubitare ora dubitare sempre
- Per dubitare serve una pausa
Gatti, asini e canarini, voliere, acquari e gabbie di vetro
- Comportiamoci da gatti
- Pesci in acquario
- Le voliere di Twitter
- La gabbia è di vetro ma riscaldata
- Cambiare aria
- Mura ciclopiche, barriere e porti chiusi
- La metafora dell’asino
Attraversare la cornice del display
- Oltre la cornice dello schermo
- Contestualizzare la tecnologia
- La potenza delle immagini che ci guardano
- Perdere la vista
- Attenzione distratta
- Algoritmo maggiordomo ruffiano
- Algoritmo invisibile ma non trasparente
- Un algoritmo fintamente autonomo
- L’algoritmo calcolatore
- Ribellarsi all’algoritmo
- Poteri totalitari ma sorridenti
- Fedeltà vado cercando
- Tecnocrazie nichiliste alla ricerca di delega
- Libertà, lavoro e diritti
- Preoccuparsi è meglio che non farlo
- L’esercizio politico della critica
- Le chiese della Silicon Valley
- La politica cinguettante
- Fake news e analisi dei fatti
- Domande, domande, domande
- Dipendenze e rinunce alle dosi quotidiane
- Esercitare l’arte delle domande
- Un elenco di domande possibili
- Le opzioni della scelta
- Difficoltà esistenziale della scelta
- Scelte lenti e consapevoli
- La libertà di scelta online
- Scegliere la gentilezza
- C’è bisogno di amicizia e solidarietà
- Reti di contatti e reti amicali
Note
[1] Nei media si parla spesso di comunicazione e informazione facendo spesso confusione tra le due. Allo stesso modo si confondono concetti come dati e informazioni. Il costante riferimento agli uni e alle altre in molte parti di questo e-book suggerisce di chiarire il modello teorico della teoria dell’informazione che impone la distinzione (la gerarchia) tra elementi diversi quali il dato (il non sapere nulla), l’informazione (il sapere cosa), la conoscenza (il sapere come) e la saggezza (il sapere perché). A questo modello qualcuno (Milan Zelany) ha aggiunto anche un passo ulteriore, l’illuminazione (il senso di cosa sia giusto o sbagliato, socialmente accettato e rispettato).
[2] Spunti tratti dal libro di Vito Mancuso: Il bisogno di pensare (vedi bibliografia). Un libro ricco di sollecitazioni per risalire all’origine del pensiero e del bisogno di pensare. Un bisogno, un desiderio che nascono da urgenze interiori e dalla costante ricerca o sogno di una vita migliore.
[3] Sul portale da me fondato www.solotabet.it è disponibile una vasta bibliografia tecnologica che contiene brevi recensioni o semplici sinossi dei numerosi libri pubblicati negli ultimi anni sulla tecnologia. Segnalo anche il mio e-book “Cento libri per una lettura critica della tecnologia”, pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital.
[4] Il fare esige una competenza, l’agire una soggettività. Fare significa essere abili nell’eseguire qualcosa che produce un manufatto o prodotto, agire comporta una responsabilità dettata dall’assunzione di un compito e dalla consapevolezza. Per fare potrebbero bastare le mani, da usarsi anche in modo meccanico e ripetitivo. Per agire oltre alla ‘manualità’ bisogna avere chiare le finalità ad essa associate o associabili a un’azione e non a un’altra.
[5] L’etimologia di pensare è stata ben illustrata da Vito Mancuso che nel suo libro Il bisogno di pensare ha scritto: “[…] l’italiano pensare (analogo al francese penser, allo spagnolo e portoghese pensar) viene dal verbo latino pendere, participio passato pensum, che significa pesare. Suoi sinonimi sono infatti soppesare e ponderare (pondus in latino significa peso) e quando una cosa non è pensabile si dice imponderabile. […] in latino pensare si dice cogito, infinito cogitare.”
[6] Concetto ripreso da Gerald Edelman e Antonio Damasio
[7] Riferimeno al libro Il mondo dato di Cosimo Accoto
[8] Riferimento alla postmodernità e al pensiero postmoderno
[9] Il Grande Altro di Lacan che si manifesta anche online nella sua ambiguità di essere una cosa e il suo opposto. Nella vita reale è l’ordine costituito, il potere e il sistema, online è il potere delle piattaforme e di chi le ha create che si manifesta in controllo, falsa trasparenza, menzogna e inganno.