“Il paziente, doloroso, lavoro del somaro si converte in conoscenza rivelatrice. […] L’asino ci mostra che non ci si deve fidare delle apparenze: la ricerca del sapere è illimitata e la natura stessa della nostra conoscenza è effimera e sottoposta al cambiamento. Ma l’asino ci insegna soprattutto che l’umiltà, la pazienza e la fatica sono qualità indispensabili per intraprendere una ricerca e ottenere risultati positivi.”La cabala dell’asino, Nuccio Ordine
“Stai cedendo gran parte del tuo potere di scelta a un’azienda remota e ai suoi clienti, i quali si fanno carico di una porzione statistica del tuo libero arbitrio, in modo che non sia più di tua competenza.”– Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, Jaron Lanier
Il primo in assoluto a mettere in guardia sull’impatto della tecnologia[1] e delle sue innovazioni sulla nostra società è stato, nel lontanissimo 1999, John Naisbitt con il suo libro High Tech High Touch. Un testo che invitava a passare in rassegna le tecnologie, analizzare accuratamente il mondo da esse creato con l’obiettivo di non dare nulla per acquisito o scontato, prendere coscienza delle rivoluzioni tecnologiche, ritrovando il potere dell’uomo sul proprio destino.
Sulla necessità di una maggiore consapevolezza nell’uso delle piattaforme tecnologiche scrive da tempo Jaron Lanier, un informatico, giornalista e saggista statunitense che vive e lavora nella Silicon Valley californiana. Con il suo libro Tu non sei un gadget, Lanier è stato tra i primi a sottolineare i pericoli rappresentati dalle nuove tecnologie digitali. Oggi anche in Italia sono in molti a scoprirlo (in ritardo) e a prenderlo sul serio, in particolare per avere descritto una società tecnologica nella quale, sia online sia offline, prevale la violenza dell’anonimato e la logica del branco.
Il suo messaggio forte, critico e radicale, viene lanciato dall’interno di quella che è diventata la realtà tecnologica di riferimento. Una realtà-spazio, lanciata alla conquista del mondo attraverso le sue tecnologie, ma soprattutto aziende tecnologiche che, attraverso i loro marchi e prodotti, stanno imponendo scenari futuri, ideologie neoliberiste e conservatrici, una visione del mondo e nuovi modelli di business. Determinando sempre più la vita delle persone e i loro futuri individuali, sociali, economici e politici, siano essi privati o pubblici. Chi ha deciso un percorso di consapevolezza sull’uso della tecnologia non può evitare di riflettere sul ruolo che le aziende tecnologiche hanno assunto nell’evoluzione del capitalismo tecno-finanziario attuale e sulle sue conseguenze sulla vita delle persone.
Queste aziende sembrano avere dimenticato ogni principio etico, fanno fatica a darsi dei codici comportamentali che poggino sulla capacità di discriminare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Non faranno mai scelte etiche che non siano legate al consolidamento del loro potere. Per questo c’è bisogno che più persone comincino a metterne in discussione i modelli di business, le strategie, le ideologie, le campagne e gli obiettivi. Le persone che lo stanno facendo[2] sono in aumento, anche tra le migliaia di dipendenti che lavorano per queste aziende. Dovrebbero farlo tutti, riflettendo sul tributo che pagano ogni giorno alla loro libertà in cambio delle informazioni da essi regalate a aziende private, organizzazioni e governi che possono usarle e condividerle per imporre sistemi di potere sempre più autoritari, autocratici e oligarchici. La prefigurazione di questi scenari è già oggi visibile in Cina, un paese nel quale la sorveglianza tecno-politica è diffusa in ogni luogo e l’accesso ai dati dei cittadini è usato per reprimere il dissenso, prevenire ogni forma di contestazione e di rivendicazione politica. Il tutto favorendo, anche con regalie e buoni sconto con l’intento di modellare una società politicamente passiva, un atteggiamento acquiescente da parte della popolazione e il suo silenzio su ogni forma di abuso perpetrato. La passività o la rassegnazione non è solo dei cinesi. Passiva lo è già un’ampia maggioranza delle persone che sembrano guidate dall’inerzia a fare semplici scelte di sopravvivenza, evitando accuratamente qualsiasi tipo di azione o mobilitazione finalizzata al cambiamento.
Comportiamoci da gatti
Consapevole delle numerose trappole e gabbie tecnologiche nelle quali siamo tutti rinchiusi, Jaron Lanier invita a comportarsi come gatti, animali fieri, felici della loro indipendenza e del non essere cani addestrati e addestrabili. Agendo da gatti ci si può liberare di tutti gli account e profili digitali, uscire dalla trappola (voliera, gabbia di vetro, torre di Babele, acquario, caverna, panottico, ecc.) che è stata costruita intorno a tutti coloro che frequentano le piattaforme social. È una trappola acquario che ho già descritto in altri miei libri invitando tutti a prendere consapevolezza del ruolo da essa giocato nel modificare i comportamenti delle persone, la percezione del Sé e della realtà in cui sono immerse. Una percezione che per le nuove generazioni è condizionata dal non avere conosciuto realtà diverse da quelle tecnologiche attuali (un pesce che è sempre vissuto nell’acquario non ha motivo di interrogarsi cosa sia l’acqua nella quale nuota da sempre!).
La metafora dell’acquario è legata alla trasparenza, sempre illusoria e ingannatrice. L’acquario è il contenitore che, con le sue pareti diafane ma solide, definisce i confini all’interno dei quali ci si può muovere, come se fossimo tutti diventati pesci o robot (ogni macchina si muove sempre all’interno dei contesti di cui è stata messa a conoscenza). Permette a predatori vari di osservare il comportamento di chi lo abita, di analizzarlo leggendone le specificità individuali per poi intervenire con azioni, campagne, iniziative finalizzate a modificarne i comportamenti, le abitudini e i bisogni dei suoi abitanti. Una specie di laboratorio pavloviano e comportamentista, applicato agli animali umani così come i veterinari infliggono le skinner box agli animali domestici.
Pesci in acquario
L’acquario è un acquario mondo, globale, arredato con scenografie dettate da piattaforme social diverse come Facebook, Google, Twitter, Instagram, ecc. Simili tra loro nella volontà di determinare, con i loro allestimenti scenografici, spazi artificiali utili al monitoraggio continuo, all’imposizione subdola e ipnotica di stili di vita, comportamenti e abitudini. Il tutto con la complicità degli abitanti dell’acquario (prigione volontaria) spesso inconsapevoli di essere semplici cavie da laboratorio. Cavie nutrite cognitivamente ed emotivamente, con l’unico obiettivo di saper cogliere il momento perfetto per influenzarne processi decisionali, tempi e bisogni di alimentazione, scelte individuali e di gruppo.
Il meccanismo usato, ormai rodato e potente, è quello degli algoritmi votati alla personalizzazione di qualsiasi tipo di informazione che caratterizza l’esperienza utente, nella sua interazione con un canale tecnologico, sia esso un dispositivo smartphone, una APP o una piattaforma social. Gli algoritmi delle piattaforme sono assimilabili al fuoco della caverna di Platone che con la sua fiamma trasferisce sulla parete di fondo le immagini del mondo che sta all’esterno, trasformandolo in realtà e verità. Sono assimilabili anche alle regole che governano il centro commerciale[3] disumanizzante protagonista della Caverna di Josè Saramago e contro cui si oppone Cipriano Algor, nel tentativo di salvare la propria umanità rinunciando a farsi fagocitare dal Centro e per non diventare una semplice merce come le altre (gli altri). Una battaglia persa in partenza ma che viene vissuta in nome della difesa della libertà e della ricerca della verità. Una battaglia che vale la pena di essere combattuta perché per il vasaio Cipriano non è concepibile un altro modo di vivere che non sia libero e non controllato.
Come le moderne piattaforme digitali, il Centro di Saramago continua a espandersi inglobando tutto, facendo terra bruciata, saccheggiando e bruciando le baracche di tutti coloro che vivono al suo esterno. L’obiettivo è il controllo (“anche un ascensore diventa strumento di controllo”), la irreggimentazione e l’imposizione di un pensiero unico che impedisca di pensare all’esistenza di una vita al di esso. Esattamente gli obiettivi nascosti dei proprietari di molte piattaforme tecnologiche che, come A Caverna di Saramago, continuano ad ampliare il loro potere promettendo, attraverso un linguaggio marketing e uno storytelling accattivanti, una vita sicura (“Vivi sicuro, vivi nel Centro”) nella quale realizzare i propri sogni (“Sii audace, sogna”).
Chiunque abita l’acquario digitale è libero di pensare di essere in pieno controllo delle sue prerogative di essere umano e di individuo. In realtà nessuno può sentirsi completamente libero o essere certo che le sue scelte non siano abilmente indirizzate e (tecno)guidate. Probabilmente nulla di nuovo rispetto a situazioni del passato ma oggi il contesto è completamente mutato. A fare la differenza è l’enorme potere accumulato da poche aziende che, grazie ai Big Data da esse continuamente alimentati, dispongono di strumenti per un condizionamento di massa, ben più subdoli e potenti di quelli del Centro di Saramago o della Caverna di Platone, ma anche di quelli usati dai comportamentisti per studiare e condizionare i comportamenti degli animali nei loro laboratori.
La potenza di questi strumenti sta in algoritmi adattativi, software per l’analisi delle informazioni e immense capacità computazionali. Capaci in tempo reale di produrre le conoscenze che servono per impostare gli esperimenti successivi da implementare, le campagne promozionali vincenti, temporalmente perfette perché legate a bisogni insorgenti e impellenti che chiedono soltanto di essere soddisfatti. L’urgenza è costruita ad arte, servita da scelte binarie come lo sono quelle tecnologiche, caratterizzate dal semplice binomio di stimolo e risposta. Scelte che impediscono “tutto quello che succede tra uno stimolo e una risposta”, un tutto identificato da Edoardo Boncinelli nel pensare.
Chi pensa di essere immune dall’influenza dei mezzi tecnologici non ha compreso quanto essi siano diventati pervasivi, ibridati con l’essenza stessa del nostro essere umani. Lo strumento di interazione può essere uno smartphone o un laptop. Le applicazioni possono essere semplici APP Mobile o piattaforme social globali. Alla base di tutte le nuove tecnologie ci sono anni di sviluppo software che hanno interpretato e tradotto molti meccanismi che caratterizzano il comportamento umano in potenti algoritmi e semplici automatismi. La trasformazione è stata resa possibile dalle numerose conoscenze scientifiche che hanno svelato i segreti del cervello, della mente, delle emozioni e dei comportamenti umani. Ne è derivata la possibilità di fare dei test, di sviluppare algoritmi sempre più intelligenti e abili nell’intercettare feedback e bisogni e soddisfarli in modo sempre più personalizzato. Fin qui nulla di grave, se non fosse che software e algoritmi non sono neutrali, bensì portatori di una visione del mondo, di interessi e di un sistema valoriale privato, quello di chi li ha finanziati e implementati.
Le voliere di Twitter
Acquisire maggiore consapevolezza del contesto tecnologico nel quale si è immersi facilita la comprensione di cosa significhi vivere dentro l’acquario digitale e quanto sia ristretta la voliera che abbraccia i felici canarini canterini che la abitano. Evidenzia la crescente debolezza nei confronti della tecnologia, e di chi la produce. Racconta di come si sia diventati complici di una visione del mondo che non sta producendo maggiore conoscenza, felicità o socialità, ma nuove forme di idolatrie (“quando si scambia la rappresentazione con la realtà, l’immagine per la sostanza e il significante per il significato[4]”) e servitù volontarie. La gabbia di Twitter non è una voliera settecentesca, ha il cancelletto (#) aperto, si entra e si esce liberamente senza percepirne la dimensione, i confini e la capacità.
La consapevolezza aiuta a scoprire il rischio della dipendenza da eccessiva quantità di dopamina social e tecnologica, di cui ci si è troppo a lungo alimentati, a trovare alternative utili al distacco da cui può iniziare la cura disintossicante, necessaria per resistere, recuperare autonomia decisionale, comportamentale e libertà di scelta. E poco importa se i numerosi fedeli della chiesa tecnologica continueranno a insistere sul fatto che in ogni caso non si è mai liberi del tutto!
Le alternative utili possibili sono numerose, non necessariamente radicali. Radicale lo è quella proposta da Jaron Lanier con il suo libro del 2018, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social nel quale sostiene che le piattaforme tecnologiche costituiscano l’impero della modificazione comportamentale di massa. Sono capaci di tirar fuori il peggio di chiunque trasformando moli individui in grandi stronzi e odiatori. Ingannano con una popolarità illusoria causando dipendenza da Like. Limitano la libertà di scelta, sono catalizzatori magnetici della tanta pazzia emergente, distorcono il rapporto con la realtà, con risultati pesanti sulla nostra capacità di provare empatia, scoprire la verità, difendere la democrazia e trovare la felicità.
Se ci si sofferma al titolo del libro di Lanier, l’invito può risultare incomprensibile e irrealistico perché troppo estremo, riduzionista, luddista e quasi tecnofobico. La lettura del libro al contrario provoca reazioni positive che aiutano chiunque a comprendere meglio gli inganni, le trappole, i modelli di business e le strategie che stanno dietro il “totalitarismo cibernetico” delle aziende tecnologiche, nella fase attuale di evoluzione tecnologica. Una volta compreso che il problema non sono lo smartphone, Internet o l’applicazione, ma il come e a quali scopi sono usati, la conoscenza e la consapevolezza che ne derivano suggeriranno le azioni da intraprendere, le scelte da compiere e le modalità di interazione tecnologica da praticare.
Tutto dipende ed è condizionato dalla percezione e sensibilità individuali, così come dallo sguardo mediato tecnologicamente su una realtà complessa da comprendere, che ci ha avviluppati tutti in una specie di placenta morbida, confortevole e riscaldata. Una placenta metaforica, che prolunga il suo effetto nel tempo trasformandosi in una gabbia dalla quale è sempre più difficile liberarsi. La difficoltà della fuga ha origine nell’intelligenza che alla gabbia ha dato forma non punitiva, nell’abilità con cui viene gestita, nell’attenzione posta, da chi la programma, a ogni piccolo mutamento, in modo da creare in tempo reale gli adattamenti necessari a soddisfare i nuovi bisogni emergenti, ma soprattutto a non perderne il controllo. I nuovi bisogni non sono tanto quelli degli utenti della Rete ma di coloro che dalla Rete traggono vantaggi concreti ed economici, come quelli derivanti dalle pubblicità online, dalle tante campagne di web marketing e di social media marketing, implementate da aziende, grandi Marche e società della Grande Distribuzione, agenzie marketing ecc.
La gabbia è di vetro ma riscaldata
La gabbia digitale è riscaldata ma la sua funzione non è cambiata rispetto alla caverna filosofica: tenere la vita sotto sequestro, imporre un assetto disciplinare, comportamentale ed etico, stabilire una gerarchia di potere e di comando, adottare tecniche di rappresentazione che riescano a far accettare a chi è imprigionato la sua situazione carceraria come inevitabile, alimentare un apparato per modificare gli individui e monitorare la loro trasformazione individuale.
Per chi l’ha creata e la gestisce, la gabbia digitale, trasparente come un acquario o una voliera, è fonte di conoscenza. Strumento informativo manipolatorio, di formazione di nuove conoscenze e di saperi, prodotti dall’osservazione dei comportamenti degli individui e delle loro trasformazioni nel tempo. In carcere questa osservazione produce annotazioni registrate (anche video) e costantemente aggiornate su quanto avviene in spazi angusti e sovraffollati. La gabbia digitale trae vantaggio da una miriade di dati che ampliano in modo esponenziale la capacità di osservare, conoscere, analizzare comportamenti e azioni delle persone in essa volontariamente rinchiuse.
I dati sono usati da potenti guardiani in forma di algoritmo che sanno come estrarre da essi i valori statistici utili a definire e adattare nuove norme e schemi di controllo, implementando nuove forme di costrizione. Nella gabbia digitale le sbarre sono sostituite da vetri (lo saranno presto anche nelle prigioni reali inglesi dopo che uno studio del 2018 ha sanzionato le sbarre come poco efficienti e controproducenti…??), la costrizione non è violenta e neppure imposta. La gabbia è automatizzata psichicamente ma gestita con dolcezza, associata a continue gratificazioni, ma pur sempre invasiva e finalizzata ad avere individui docili, obbedienti, assoggettati a regole e abitudini, dai comportamenti standardizzati (conformistici) e malleabili. Interviene in modo intelligente suggerendo orari e impieghi del tempo (frequentazione assidua delle piattaforme digitali), attività (uso persistente di APP), movimenti (associabili alle funzionalità applicative e ai gesti tattili ad esse associati), comportamenti e modi di pensare.
Reso docile e ubbidiente l’abitante della gabbia digitale, trasformata in una casa di vetro, può essere più facilmente manipolato, anche emotivamente, mistificato e disinformato (non solo false notizie ma anche molti falsi contenuti e data trash). Tale rimarrà fino a quando non avrà il coraggio, la volontà e la determinazione di mettere in discussione il benessere raggiunto nella sua condizione di cattività. Il coraggio serve per rifiutare le dosi regolari di dopamina distribuite dalle piattaforme digitali, spesso generate e veicolate da feedback negativi, improntati alla rabbia e alla paura come quella associata ai pericoli derivanti da migranti invasori, donne emancipate, famiglie di fatto e altro ancora. La volontà gioca un ruolo fondamentale nel resistere ai feedback gratificanti, alle ricompense e ai rinforzi continui usati per mantenere alti i livelli di attenzione, di ingaggio e di coinvolgimento. Infine, la determinazione serve a tradurre la consapevolezza maturata in azioni concrete.
Il percorso da compiere per riconquistare la libertà non è semplice ma lastricato di ostacoli. Le strade che la rendono possibile sono numerose e tutte diverse tra di loro. Ogni individuo vede cose diverse, si rappresenta la realtà in modo diverso e farà scelte diverse. Tutte prevedono però l’apprendimento della capacità di resistere alle influenze esterne (algoritmi, Booking e Tripadvisor vari), il rifiuto del ricatto cognitivo che sarà compagno assiduo per tutto il viaggio, la capacità di individuare per tempo troll e falsi viaggiatori (profili digitali fasulli/fake) in modo da evitare le loro trappole e i loro inviti a non perseguire strade solitarie, autonome e libere.
Il percorso da compiere per riconquistare la libertà non è semplice ma lastricato di ostacoli.
Cambiare aria
Mettersi in viaggio (senza booking o tripadvisor) significa cambiare aria, allontanarsi dal Centro, uscire fuori dai contesti, gestiti algoritmicamente, delle piattaforme social che appiattiscono significati e linguaggi, recuperare la validità polisemica di cose, oggetti, concetti, parole e significati. In viaggio si incontrano altre persone reali che hanno rinunciato a essere semplici numeri o automi teleguidati da algoritmi e rinforzi digitali, per difendere la loro personalità, specificità, immaginazione e status. Felici della libertà riconquistata cercano di assaporare le sfumature, le scie, i sapori, i rumori e le nuance della complessità del mondo reale, acquisendo al tempo stesso ancor più consapevolezza delle artificialità e falsità di molti mondi digitali online. Questa consapevolezza sarà il viatico necessario per un uso diverso della tecnologia, per riscoprire l’importanza della tolleranza, della gentilezza, della generosità e dell’empatia nelle relazioni, per impegnarsi nuovamente nel contribuire allo sviluppo di cultura e di una visione del mondo realmente condivisa, perché nata da pratiche comuni e non solo da connessioni superficiali e digitali online.
L’urgenza di una maggiore consapevolezza tecnologica è dettata anche da un’agenda politica ed economico-finanziaria che sembra contemplare sempre più a fatica la parola democrazia, avendola trasformata in azioni di mercificazione e gamificazione continua, giocate con strumenti digitali e tecnologici (la democrazia della Rete non risolve la richiesta democratica di poter contare nelle decisioni più significative). L’indebolimento della parola e la semplificazione del linguaggio vanno di pari passo con quello della realtà di molti paesi che si scoprono all’improvviso populisti, autoritari e dittatoriali. Ciò mentre la democrazia è celebrata in mille forme, unitamente alla libertà, sulle piattaforme social che vengono descritte come la realizzazione concreta dei sogni libertari che hanno dato origine a Internet.
L’illusoria libertà e democrazia della Rete impedisce, soprattutto ai più giovani, di cogliere che anche la democrazia reale, conquistata negli anni e difesa con impegno costante dai cittadini democratici, rischia di diventare una bolla di sapone, una pura illusione. La democrazia non è per sempre, deve essere protetta, difesa e alimentata. Un modo per proteggerla è svelare l’uso manipolatorio che politicamente viene fatto dai media tecnologici per la conquista non democratica del potere. I casi su cui riflettere sono ormai così numerosi da aprire gli occhi a tutti, se solo si volesse comprendere fino in fondo in che modo agiscono le aziende tecnologiche e come vengono usate le loro tecnologie (piattaforme, algoritmi, software, ecc.). I casi più eclatanti sui quali vale la pena porre una lente di ingrandimento per una lettura e riflessione approfondita e non banale sono le Primavere Arabe, la BREXIT e le elezioni americane del 2016, quello che è successo in paesi come la Turchia e l’Iran ma anche quello che sta succedendo in Ungheria e Italia. Per non parlare di molti stati asiatici molto lontani dal faro di attenzione di noi occidentali che continuiamo a credere che il mondo sia solo il nostro.
Essendo il tempo presente l’unica temporalità percepita possibile, anche in politica si è persa ogni spinta al cambiamento reale, molto diverso dal “cambiamento di stato” di Facebook. Il futuro viene visto come semplice reiterazione dell’esistente, non come il risultato di strategie di lungo termine che richiedano impegno, idee, pensiero e volontà di cambiare. Nel presente continuo, anche grazie agli strumenti digitali, viene incentivato il conformismo e coltivata la tattica delle piccole trasformazioni che alla fine non incidono e non cambiano mai nulla in profondità. Il cambiamento non si fa con un cinguettio, con una comunicazione marketing o con un video Facebook. Può nascere dal ritrovare il coraggio di cambiare sul serio, mettendo in discussione: i rapporti di forza e gli elementi strutturali della politica che creano disuguaglianze; la sparizione dei diritti e dei beni comuni; l’insensibilità ecologica all’innalzamento della temperatura della Terra. Ritrovare il coraggio riattiverebbe la capacità di immaginare mondi nuovi, diversi e possibili.
Mura ciclopiche, barriere e porti chiusi
La tecnologia ha globalizzato il pianeta Terra ma con le sue piattaforme tecnologiche e APP lo ha chiuso dentro mura ciclopiche come quelle cinesi o del muro che Trump vorrebbe erigere al confine tra Stati Uniti e Messico. Fortunatamente l’universo mondo continua a essere aperto, senza limiti, in continua evoluzione e trasformazione (chi volesse coglierne il senso potrebbe divertirsi leggendo i libri di Douglas Adams, nei quali l’esistenza della Terra viene messa a rischio dalla costruzione di una autostrada galattica). È in questo universo che va sperimentata la libertà di scelta e la riflessione critica, entrambe utili a mettere in discussione la realtà tecnologica attuale, le sue prescrizioni, regole, e false promesse. La libertà di scelta non è un regalo previsto nella logica deterministica degli algoritmi, non può essere paragonata alla libera espressione e condivisione di MiPiace, faccine o contenuti.
Si diventa liberi di scegliere rinunciando a diventare calcolabili e a comportarsi come macchine, grazie alla capacità di riconoscersi ignoranti (non basta Wikipedia), al bisogno di conoscere sé stessi, a un atteggiamento di umiltà e a tanta pazienza. Intraprendere una strada diversa, non molto frequentata e solitaria, costa fatica, crea disagio e timori ma può portare a risultati inattesi che permettano di (ri)assaporare la vita reale fuori dal mondo tecnologico così come di sperimentarlo in modo diverso, più maturo e consapevole, libero, intelligente e anche un po' caotico e anarchico. Esattamente l’opposto di quanto vorrebbe uno script o algoritmo statistico e computazionale, che vorrebbe imporci un programma, un copione, una sceneggiatura di vita, modelli matematici collaudati, predefiniti per impedirci ogni reazione spontanea, imprevedibile, creativa e pensante. Script e algoritmi possono influenzare la nostra intelligenza e capacità relazionale, il nostro benessere fisico e mentale, ma non sono pillole delle quali non si possa fare a meno. Sta a noi evitare che la tecnologia e le piattaforme digitali ci rendano più stupidi, superando l’ansia che sempre coglie ogni persona di fronte all’ignoto quando decide di non seguire alcun copione, script o programma. Lo script da seguire è quello della propria testa, spesso incompleto e stocastico, oggi in continua competizione con quelli tecnologici, introiettati e molto attivi nella modificazione del nostro cervello.
La metafora dell’asino
I padroni delle piattaforme agiscono con chi le utilizza come molti padroni fanno con i loro asini. Trattandoli male, sfruttandone la loro proverbiale resistenza alla fatica e la loro adattabilità a forme varie di schiavitù. Ma gli asini in realtà sono simboli di sapienza. Non sono ignoranti come in genere si crede e neppure servili, sono animali dignitosi e perseveranti, hanno doti nascoste, resilienti, e possono essere anche molto sapienti. Le loro grandi orecchie permettono di ascoltare a distanza. A differenza dei muli sembrano rassegnati ma non lo sono, sono animali fertili, fecondi, vivi e umani. Chi ricerca la sua strada personale verso la conoscenza e la libertà può provare ad assomigliare a un asino.
Può farlo traendo da esso, in senso metaforico, la forza e la tenacia che potrebbero far difetto nell’intraprendere un percorso complicato, fatto in condizioni di costante instabilità e di continuo mutamento. La difficoltà è tanto maggiore se si è deciso di mettersi in viaggio al di fuori delle pareti chiuse dell’acquario-mondo digitale, se si è deciso di osare far aprire i porti, se si è scelto di affrontare il rischio, i pericoli e le incertezze che caratterizzano ogni universo aperto e senza confini. Non tutti si metteranno in viaggio verso la tecnoconsapevolezza. Molti rappresenteranno la componente negativa dell’asinità restando asini saccenti e raglianti anche se hanno appreso l’arte del cinguettare (Twittare), convinti di essere liberi anche quando sono in realtà schiavi. Rinunciando così facendo alla verità e all’esperienza del viaggio che, attraverso strade diverse, vi conduce (solo chi ama la verità la cerca).
Le piattaforme di Facebook, Google, Instagram e Twitter dovrebbero essere osservate ogni tanto come vetrini al microscopio. Ciò che si scoprirebbe potrebbe aiutare a cambiare schemi mentali, punti di vista, opinioni, prospettiva e anche punti di osservazione. Le nuove conoscenze acquisite possono aiutare a problematizzare e abbandonare posizioni spesso non giustificate, a orientare i processi decisionali e le scelte da compiere, così come a scoprire quali siano i vincoli, le barriere e le difficoltà da superare per tradurle in azioni. Quella che serve oggi è una vera e propria metamorfosi al contrario. Dopo quella verificatasi con l’Homo Technologicus oggi è tempo di tornare al suo opposto. Non per tornare indietro o per rimanerci ma per riuscire a comprendere le tante trasformazioni che in questa metamorfosi sono nel frattempo avvenute.
Chi sta fermo, immobile e compiaciuto dei tanti benefici e vantaggi offerti dalla tecnologia, rischia di rimanere asino, nel senso negativo del termine. Chi si muove, rivendicando spazi di libertà, è l’asino simbolo di ambiguità, ma anche di fluidità, apertura al cambiamento e alla complessità. Chi dentro una voliera, una gabbia di vetro o un acquario limita i propri movimenti, rivolgendo sguardi e attenzione ai molteplici diversivi creati appositamente per tenerli chiusi in gabbia, rischia di rimanerci a lungo. Chi al contrario deciderà di interrogarsi sul significato della propria esistenza e su quanto ha barattato in cambio di un banale panem et circenses, riuscirà a prendere il volo, seppure nella forma temporanea e pericolosa di un novello Icaro dalle ali di cera.
Sfidare il limite è frutto di imprudenza ma anche espressione di capacità di pensare (l’uomo politico di Aristotele descritto come ζοον λογον εχων, l’uomo capace di parlare e pensare, la cui voce diventa logos), di accettare il rischio che sempre accompagna chi decide di abbandonare la gabbia di acciaio del labirinto tecnologico incamminandosi su percorsi non tracciati, su piste Mongole che non offrono soluzioni preconfezionate ma obbligano in continuazione chi guida a fare delle scelte, a prendere delle decisioni, a mantenersi attento e concentrato sforzandosi incessantemente per superare ostacoli e rischi di fallimento nel raggiungimento di una destinazione o di una meta.
Indice del libro
- Osare pensare
- Una riflessione sulla tecnologia è necessaria
- In viaggio
- Qualcosa non funziona più
- Andare oltre la tecnologia
- Un appello per scelte non binarie
- Intelligenze artificiali e umane
- Libertà di scelta come possibilità
- Homo Sapiens: una evoluzione a rischio
- Ruolo e criticità della tecnologia
- Costruire narrazioni diverse
- Menti hackerate e azioni da intraprendere
- Tempi irreali e mondi paralleli
- Mondi virtuali, memi virali e contagiosi
- Il ruolo che dobbiamo esercitare
- In culo alle moltitudini
- πάντα ῥεῖ, tutto scorre
- Il dominio delle macchine
- Media digitali e dimensione umana
- Leggerezza virtuale e pesantezza del reale
- La realtà come gioco
- Il grande inganno
- Mettersi in cammino
- Il tempo tecnologico è viscoso e agitato
- L’illusione del tempo presente
- Immediatezza come registrazione
- Il recupero della lentezza
- Deleghe in bianco e scelte fuori dal coro
- Potenza, vitalità e velocità delle immagini
- Il tempo dimenticato
- Reale e virtuale convivono
- Finzioni digitali e realtà
- Multiverso lento
- Via dalla pazza folla
- Il ruolo delle emozioni
- Emozioni chimiche digitali
- Emozioni algoritmiche
- Macchine intelligenti e assistenti personali
- Emozioni e sofferenza
- Tecnologia strumento di libertà
- Trasformazioni cognitive
- Interazioni uomo-macchina
- Esseri umani o burattini
- Scimmie allevate per consumare
- Internet da spazio libero a mondo chiuso
- Libertà perdute, libertà simulate
- Libertà illusorie
- Scelte binarie e libertà illimitata
- La libertà non fa regali
- Sapere di non sapere
- Strade accidentate e coraggio
- Coltivare gli orti del pensiero
- Pratica del silenzio e tempi lenti
- Metterci la faccia
- Dubitare ora dubitare sempre
- Per dubitare serve una pausa
Gatti, asini e canarini, voliere, acquari e gabbie di vetro
- Comportiamoci da gatti
- Pesci in acquario
- Le voliere di Twitter
- La gabbia è di vetro ma riscaldata
- Cambiare aria
- Mura ciclopiche, barriere e porti chiusi
- La metafora dell’asino
Attraversare la cornice del display
- Oltre la cornice dello schermo
- Contestualizzare la tecnologia
- La potenza delle immagini che ci guardano
- Perdere la vista
- Attenzione distratta
- Algoritmo maggiordomo ruffiano
- Algoritmo invisibile ma non trasparente
- Un algoritmo fintamente autonomo
- L’algoritmo calcolatore
- Ribellarsi all’algoritmo
- Poteri totalitari ma sorridenti
- Fedeltà vado cercando
- Tecnocrazie nichiliste alla ricerca di delega
- Libertà, lavoro e diritti
- Preoccuparsi è meglio che non farlo
- L’esercizio politico della critica
- Le chiese della Silicon Valley
- La politica cinguettante
- Fake news e analisi dei fatti
- Domande, domande, domande
- Dipendenze e rinunce alle dosi quotidiane
- Esercitare l’arte delle domande
- Un elenco di domande possibili
- Le opzioni della scelta
- Difficoltà esistenziale della scelta
- Scelte lenti e consapevoli
- La libertà di scelta online
- Scegliere la gentilezza
- C’è bisogno di amicizia e solidarietà
- Reti di contatti e reti amicali
Note
[1] “La tecnologia ci libera dai vincoli del mondo fisico o ci lega a doppio filo alle macchine? Ci fa risparmiare del tempo o crea un vuoto che ci sentiamo in obbligo di riempire con nuovi compiti e responsabilità…”
[2] Uno di queste persone è Tristan Harris, designer, libero pensatore e filosofo oltre che imprenditore. Associato dalla rivista Atlantic alla coscienza che la Silicon Valley dovrebbe avere ha lavorato per anni in Google, da cui è uscito per fondare il suo progetto Time Well Spent, finalizzato a riallineare la tecnologia con l’umanità attraverso riflessioni, eventi e iniziative pensate per favorire una riflessione critica sulla tecnologia, rafforzare le capacità del consumatore in un uso migliore della tecnologia e introdurre in azienda nuovi modelli di business e buone pratiche.
[3] In letteratura un altro Centro Commerciale che meriterebbe di essere menzionato è quello di Graham Ballard, protagonista del suo romanzo Regno a venire (Kingdom Come). Un centro commerciale sempre aperto, metafora di tutti gli altri che nel tempo hanno fagocitato istituzioni democratiche, spazi e libertà. Mentre le chiese si sono svuotate, i centri commerciali così come le piattaforme digitali si sono riempite di nuovi fedeli, trasformati in consumatori bulimici senza alcun senso civico ma solo interessati ai codici a barre che contrassegnano i prodotti in vendita e, forse, loro stessi, trasformati in semplice merce esposta sugli scaffali dei molteplici centri commerciali, virtuali e reali, che frequentano.
[4] Elemire Zolla: La nube del telaio