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Il mio libro 𝗧𝗘𝗖𝗡𝗢𝗖𝗢𝗡𝗦𝗔𝗣𝗘𝗩𝗢𝗟𝗘𝗭𝗭𝗔 𝗘 𝗟𝗜𝗕𝗘𝗥𝗧𝗔' 𝗗𝗜 𝗦𝗖𝗘𝗟𝗧𝗔 condiviso per intero sulla Stultiferanavis. Il porsi delle domande è un atto creativo e di libertà. Esprime la ricerca di indipendenza del pensiero, apertura mentale, curiosità e disponibilità a confrontarsi con coraggio con la realtà, oggi sempre più incerta, complessa e sull’orlo di catastrofi (pre)annunciate. Riflettere, porsi delle domande, farsi venire delle idee è il percorso da compiere per rimanere umani ma anche per coltivare consapevolezza e responsabilità.


Giudicate un uomo dalle sue domande più che dalle sue risposte”- Voltaire 

A distinguerci dalle macchine non sono le risposte ma le domande […] le domande giuste saranno più importanti delle risposte.”– Kevin Kelly 

Where does technology exploit our minds’ weaknesses? I learned to think this way when I was a magician. Magicians start by looking for blind spots, edges, vulnerabilities and limits of people’s perception, so they can influence what people do without them even realizing it. Once you know how to push people’s buttons, you can play them like a piano.”- Tristan Harris


Secondo Umberto Eco porsi delle domande è ciò che distingue gli esseri umani dagli esseri animali. La ricerca del nutrimento, del riposo, del gioco e dell’amore sono bisogni condivisi, ma solo gli umani sentono anche il bisogno di chiedersi dei perché, fin dalla più tenera età. Interrogarsi, elaborare domande utili a trovare risposte ai tanti perché che animano la mente, non è più solo un bisogno ma una necessità. Legata alla ricerca dei fatti che a volte la mente tende a nascondere. Alla capacità di ragionare, che alcuni ritengono sia messa a rischio dalle tante rivoluzioni tecnologiche che stanno determinando una vera e propria mutazione antropologica[1] . Dettata dalla speranza che si continui a esercitarla per farsi venire la voglia di porsi altre domande, produrre idee, proposte, teorie nuove, e per discuterle, falsificarle o validarle dialogicamente e analiticamente. 

Interrogarsi è un modo per alimentare il pensiero (il logos) e la capacità di dialogare (διάλογος - dià, "attraverso" e logos, "discorso") con sé stessi, la capacità critica e la logica, creando le condizioni per fare delle scelte, non solamente dettate da emozioni e passioni ma anche dalla razionalità. Le domande devono sfidare le risposte esistenti, non devono essere poste al servizio di risposte immediate e corrette, servono a creare nuovi spazi di pensiero, sono segnali sonar lanciati in profondità alla ricerca di tracce invisibili ma rilevabili, sono il punto di partenza dell’autocritica, per cominciare ad analizzare la propria debolezza, chiedersi cosa siamo diventati, perché non cambiamo strada, chi siamo, cosa vogliamo veramente e dove vorremmo andare. Con l’obiettivo di capire anche cosa implichi ogni cambiamento generato dalle risposte e dalle scelte che faremo. 

Domande, domande, domande 

Le domande a cui bisogna fare riferimento sono le stesse che si stanno ponendo molti professionisti che hanno contribuito con la loro genialità e capacità inventiva a dare forma ai mondi digitali attuali. Persone come l’inventore del bottone del Like, Justin Rosenstein, che ha lasciato Facebook ed è impegnato nel mettere in guardia dalle dipendenze tecnologiche. Lo fa promuovendo iniziative e attività di formazione per fornire strumenti di analisi e comprensione dei meccanismi non trasparenti e in alcuni casi diabolici sui quali si reggono molti algoritmi e modelli di business delle società tecnologiche della Silicon Valley. L’educazione serve a prendere consapevolezza delle tante droghe leggere disseminate online. 

Alcune domande se le deve essere poste anche il Millennial Tristan Harris, fondatore di Time Well Spent che la lasciato Google, nel quale rivestiva il ruolo di designer di prodotto, per intraprendere una crociata di sensibilizzazione sull’uso consapevole dei dispositivi tecnologici finalizzata alla comprensione dei loro meccanismi, di algoritmi che catturano l’attenzione per soddisfare obiettivi commerciali senza prestare alcuna cura alla qualità di vita delle persone che li usano. La fondazione Time Well Spent punta a raccogliere l’adesione di altre persone che lavorano nella Silicon Valley per denunciare il dirottamento e l’imprigionamento costante della mente degli utenti-consumatori grazie a strumenti tecnologici manipolatori sempre più intelligenti, subdoli e potenti. Rivolgendosi prevalentemente ai designer e ai tecnici che lavorano nelle aziende tecnologiche della Silcon Valley, la fondazione li invita a essere i primi a riflettere sui valori da trasmettere e coltivare, proponendo l’ideazione, il design e la creazione di piattaforme software alternative, capaci di dare origine a esperienze di qualità che permettano agli utenti della Rete di dare un senso a quello che fanno. 

Tristan Harris, Jim Steyer e un folto gruppo di tecnologi della Silicon Valley che hanno contribuito al successo delle piattaforme di Google e Facebook sono oggi impegnati nel finanziare iniziative come Common Sense Media, The Truth About Tech e le loro campagne di sensibilizzazione sull’uso delle nuove tecnologie. Sono mossi prevalentemente dall’allarme sugli effetti malati delle piattaforme social e degli smartphone. L’obiettivo è di fare lobby contro la dipendenza da tecnologia, sostenendo campagne pubblicitarie che raggiungano ognuna delle quasi 60000 scuole americane. La campagna The Truth About Tech ha raccolto sette milioni di dollari anche con l’aiuto del Center for Humane Technology. I destinatari sono studenti, genitori e insegnanti. L’impegno è a fornire loro strumenti adeguati a prendere consapevolezza del mezzo tecnologico in modo da poter combatterne gli effetti negativi. 

Il Center for Humane Technology sta attirando un numero crescente di tecnologi ed ex dipendenti delle aziende della Silicon Valley, persone come Sansy Parakilas, ex Operation Manager di Facebook, Lynn Fox, Communication Executive di Apple e Google, Dave Morin, ex dirigente di Facebook, Roger McNamee, uno dei finanziatori di Facebook, Renèe DiResta, creatore di bot, Chamat Palihapitya, ex vicepresidente di Facebook dimessosi per senso di colpa per avere contribuito con gli algoritmi di Facebook a distruggere il tessuto sociale, e molti altri. Si rivolgono prima di tutto ai loro ex colleghi, agli sviluppatori, ai designer e agli ingegneri con l’obiettivo di fornire loro informazioni e conoscenze che possano motivarli a porsi delle domande, a farli dubitare, interrogarsi, riflettere e agire diversamente da quello che fanno. Il gruppo di ‘pentiti’ per le promesse mancate della tecnologia è in costante aumento, soprattutto perché preoccupato degli effetti che ambienti come quelli di Facebook stanno producendo sulle menti delle persone più giovani, sfruttando la loro maggiore vulnerabilità e modellabilità. Uno degli obiettivi è di fare lobby per ottenere la promulgazione di nuove leggi finalizzate a contrastare il potere crescente delle grandi aziende tecnologiche. 

Impegnato sullo stesso fronte anche se su tematiche diverse è anche Lawrence Lessig, giurista, saggista e accademico da sempre legato al Web e fondatore dell’iniziativa Creative Commons nata con l’obiettivo di riformare il diritto d’autore in Rete. Per Lessig il Web di oggi non è più quello delle sue origini. Qualcosa di radicale è avvenuto, trasformando un’utopia rivoluzionaria, fondata sulla libertà e sull’assenza di censure, in uno strumento di disinformazione e propaganda politica, e in una piattaforma di sorveglianza di massa. Quest’ultima determinata dalla massiccia raccolta di dati e di informazioni con l’obiettivo di “poter misurare, prevedere e indurre comportamenti senza che le persone neppure se ne accorgano”. Un potere immenso di controllo gestito attraverso la pubblicità e il marketing promozionale. Il risultato è che il Web non esiste più, tanto è stato assorbito e rinchiuso all’interno di piattaforme che lasciano spazi di libertà solo nelle fasi nelle quali l’utente sperimenta la transizione interstiziale tra una piattaforma e l’altra. 

Per Justin Rosenstein, Tristan Harris e molti altri, droghe come il Like producono scariche di dopamina in grado di generare continue sensazioni di piacere, emozioni positive e gratificazioni alle quali si fa fatica a rinunciare. Droghe assimilabili al soma del nuovo mondo di Huxley, che impediscono di compiere scelte molto semplici, come quella di evitare di postare contenuti volgari online come reazione a post simili e di impegnarsi a ricercare un confronto diretto per parlarne di persona, faccia a faccia. Così come le nuove droghe che stanno diffondendosi tra le nuove generazioni, anche quelle digitali sono economiche, non costano fatica, si prestano a un consumo veloce e ripetitivo, possono essere facilmente reperibili e consumabili, alla lunga sono capaci di creare dipendenza con conseguenze difficilmente valutabili perché riferite alla capacità cognitiva, di attenzione, di concentrazione e di riflessione razionale. 

La dipendenza è dimostrata da numerosi studi che indicano in quasi 3000 le volte che ogni persona sfiora il suo dispositivo ogni giorno, spesso semplicemente per vedere se ci sono aggiornamenti di vario tipo sui propri profili digitali o negli spazi frequentati online. Si tratta di una dipendenza pericolosa non perché colpisca singole persone ma perché esprime comportamenti di massa diffusi che sembrano evidenziare una regressione collettiva della specie umana (l’Homo Stupidus Stupidus di Andreoli o le masse di imbecilli di Umberto Eco) un rincretinimento felicemente ricercato. Il tutto a favore di pochi spacciatori di paradisi artificiali e di illusori mondi felicitari le cui promesse si realizzano solo nei sogni lisergici da esse provocati. 

Dipendenze e rinunce alle dosi quotidiane 

Rinunciare alla dose quotidiana comporta una scelta. Scegliere implica sempre uno strappo, una rottura. Non è mai facile ma può diventarlo, se si è capaci di operare un vero e proprio svuotamento della propria mente, come quello che si sperimenta durante una sessione di meditazione nella quale ci si interroga e ci si pone delle domande. 

Svuotare la mente può aiutare a liberarsi delle tante risposte preconfezionate di cui si dispone, predispone la mente a ospitare pensieri nuovi (il vuoto non esiste, tende a riempirsi), contribuisce a far scoprire nuove connivenze, a acquisire conoscenze nuove, in modo da rendersi disponibili a intraprendere nuove azioni o ad adottare comportamenti diversi. Scegliere è un atto di libertà ma ogni scelta è relativa, fragile e non necessariamente definitiva. Più della scelta in sé stessa conta la libertà di poter continuare a scegliere, cercando di capire ed eliminare eventuali vincoli alla scelta stessa. Ridotti i vincoli esistenti si può pensare di essere più liberi nello scegliere. Una capacità che nasce dal di dentro e dalla consapevolezza di poter fare progetti e scelte diverse, nel tempo e nello spazio. 

Il porsi delle domande è un atto creativo e di libertà. Esprime la ricerca di indipendenza del pensiero, apertura mentale, curiosità e disponibilità a confrontarsi con coraggio con la realtà, oggi sempre più incerta, complessa e sull’orlo di catastrofi (pre)annunciate. Riflettere, porsi delle domande, farsi venire delle idee è il percorso da compiere per rimanere umani ma anche per coltivare consapevolezza e responsabilità. Sapendo che nel momento in cui si avesse un’idea e la si adottasse tutte le altre finirebbero nell’ombra.

Nei tempi tecnologici attuali avere un’idea può portare a un uso migliore del mezzo tecnologico, selezionando con attenzione motivazioni ed emozioni, così come a decidere di non ricaricare lo smartphone, di adottare un atteggiamento di sano scetticismo e apatia verso le piattaforme tecnologiche o di staccare la spina. Una qualsiasi di queste scelte finisce per mettere l’altra in ombra senza escludersi a vicenda. Ogni idea all’origine di una scelta è una presa di posizione sulle cose, porta a valutarle in modo differenziato, privilegiandone alcune sulle altre. 

Esercitare l’arte delle domande 

Per arrivare a fare delle scelte bisogna prima esercitarsi nell’arte delle domande e delle risposte. Chi si sente indifeso e in pericolo tende a costruirsi un’armatura interna che lo protegga da incursioni e curiosità esterne permettendogli di difendere i suoi segreti. Questa armatura e il silenzio che rimbomba al suo interno possono essere violati dalla forza delle domande che aiutano a formarsi un’opinione, a trovare delle risposte capaci di rompere il silenzio e l’isolamento, a valutare i pro e i contro, a fare delle scelte e a prendere delle decisioni. 

Così come si impara a ragionare solo ragionando, si apprende a porsi delle domande continuando a porsene di nuove. In tema con la riflessione contenuta in questo testo, le domande sono sulla nostra relazione con la tecnologia, sugli effetti e sulle conseguenze che la tecnologia ha nelle nostre vite, sugli scenari futuri che si stanno palesando all’orizzonte, su cosa stiamo perdendo e su cosa stiamo guadagnando. Le risposte trovate non possono essere brevi e neppure servire per simulare vie di fuga possibili, spesso sperimentate fingendosi sordi o mostrandosi incapaci di comprendere. 

Le domande possono essere semplici e ingenue, determinate e concise, finalizzate a capire come un dispositivo, una tecnologia o una piattaforma funzionino, da cosa siano caratterizzati, dal perché li si utilizzi e sul tempo che vi si sta dedicando (“Quanto tempo passo online, e su Facebook?”). Domande più utili sono quelle più complesse, che puntano a cambiare prospettiva e punto di vista. Sono le cosiddette domande paradossali che nascono dall’ipotizzare futuri verosimili/inverosimili e le loro potenziali conseguenze (“L’intelligenza artificiale mi ruberà il posto di lavoro?”). 

Ci si può interrogare politicamente indagando i modelli, i meccanismi, le pratiche che caratterizzano ogni piattaforma tecnologica frequentata. Diventati esperti nell’arte di farsi delle domande sulle interazioni tecnologiche può succedere di sognarne di nuove. Legate ai mondi immaginari, utopici o distopici a cui la tecnologia fa da tramite. Sono le domande oniriche di Borges che aprono all’imprevedibile e all’innominabile e che hanno la potenzialità di favorire l’emergere di risposte inaspettate, in alcuni casi le più utili. 

Infine, ci si può far aiutare accettando e traendo suggerimenti dalle domande di persone che, come me, sulla tecnologia hanno intrapreso da tempo un loro percorso di riflessione critica. Domande pensate per resistere al conformismo tecnofilo dilagante che ha rimosso il punto di domanda dalle pratiche quotidiane. 

Chiedersi perché, come, cosa, a cosa e a chi serve, sono tutti elementi di un atteggiamento filosofico (tutti possiamo essere filosofi), interrogativo e investigativo finalizzato alla ricerca e alla scoperta, aperto alla conoscenza e alla migliore comprensione delle proprie relazioni e interazioni con le realtà digitali, e non solo. L’assenza di domande evidenzia l’insorgenza di un problema, pensare di avere già trovato tutte le risposte può significare che le domande poste non erano quelle giuste e accettare che “Le domande non sono mai indiscrete. Lo sono, talvolta, le risposte. “(Oscar Wilde). 

Un elenco di domande possibili 

Un primo passo per porsi delle domande è cominciare a porsele. L’elenco che segue è il mio contributo per un utile inizio. Non è esaustivo ma la sua lunghezza evidenzia quanto sia diventato urgente interrogarsi sulla tecnologia. Sono domande che si stanno ponendo da tempo studiosi, filosofi, scrittori, sviluppatori di software, designer e semplici persone che percepiscono la forza trasformativa della tecnologia e gli effetti che ne derivano. Sono domande che suggeriscono a tutti di cimentarsi nella buona pratica di porsele, trasformandola in virtù. 

Per ognuna delle domande qui elencate avrei potuto condividere le risposte che mi sono dato. Nessuna risposta sarebbe stata sufficiente a produrre il risultato della tecnoconsapevolezza che è alla base della riflessione di questo e-book. Le risposte contano meno delle domande, ognuno deve trovare il tempo e la voglia di porsene delle proprie. Da questo elenco può solo trarre utili indicazioni a vincere la resistenza che impedisce di porsene delle altre, a sbloccare ciò che impedisce loro di fare breccia facendole emergere. 

Le mie sono domande pensate per catturare e orientare l’attenzione su tematiche specifiche, ognuna proposta per allargare la riflessione e lo sguardo su situazioni, tematiche e ambiti diversi. Prese tutte insieme permettono di abbracciare l’intero acquario-mondo digitale che è diventato il nostro mappamondo terrestre, in modo da riuscire a rilevarne le variazioni, le eruzioni, le crepe e le possibili vie di fuga. Alcune domande possono apparire capziose, altre condizionate dal punto di vista di chi le sta ponendo, in realtà non sono state pensate con obiettivi diversi da quelli detti. Non c’è alcuna intenzione nascosta di voler convincere della bontà di una posizione rispetto a un’altra ma solo la necessità sentita di offrire degli spunti per una maturazione verso la consapevolezza o tecnoconsapevolezza. Il tentativo è di fare breccia indicando un percorso e un approccio che possa poi servire a coloro che volessero intraprenderlo e adottarlo per proseguire da soli. Sempre connessi con i mondi tecnologici, continuando a frequentare i loro spazi abitati e i canali di comunicazione digitale, ma con una consapevolezza delle trasformazioni a cui si va incontro facendolo. 

Dopo avere imparato l’arte delle domande diventerà più facile anche fare scelte diverse, espressione ognuna di maggiore libertà. Per immettersi su questo percorso basta cominciare con le domande, come quelle che vi propongo qui sotto. Le risposte che ognuno darà a queste domande possono essere diverse. Non potranno mai essere considerate definitive perché trasformate gradualmente e in continuazione dall’ascesa inevitabile della tecnologia, dai suoi manufatti, dalla sua intelligenza artificiale e dalla sua volontà di dominio. 


Tutte le domande che dovremmo porci e molte altre ancora da formulare

  1. Come sarà il nostro futuro

Le prime domanda da porsi sono su cosa significhi oggi essere umani, sul futuro che vogliamo e su quello che si sta in realtà prefigurando. In termini di: ruolo dell’intelligenza artificiale nel sostituirsi all’uomo assumendo il controllo del mondo; automazione del lavoro, smaterializzazione dell’economia e possibili scelte lavorative future; armi di distruzione tecnologiche e possibili guerre future; macchine intelligenti e relazioni con esse; cosa significherà essere umani in un mondo di intelligenze artificiali diffuse; cosa si può fare oggi per dare forma a un futuro nel quale uomini e macchine possano coesistere collaborando senza che le seconde prendano il controllo sui primi. 

  1. Il futuro tecnologico e sua ineluttabilità

Quanto ci conviene e possiamo essere fatalisti o rassegnati di fronte all’avanzata potente della tecnologia in campi diversi come quello dell’informazione, della biologia, della chimica, della genetica e della medicina? 

  1. Scenari futuri emergenti

Quale sarà il futuro che mi/ci aspetta? Sarà un futuro come quello previsto da una numerosa schiera di entusiasti sostenitori della tecnologia e tecnofili, o un futuro distopico nel quale domineranno le macchine?. Alcuni tecnofili sono convinti di essere testimoni del passaggio a una nuova era, denominata da Ray Kurzweil (un futurista transumanista[2] che è stato a lungo consulente di Google) l’era della singolarità. Un’era che vedrà l’ibridazione crescente tra macchine tecnologiche e genere umano fino al prevalere delle prime sul secondo. Un’era che sarà ancora umana ma nella quale sarà probabilmente scomparsa ogni distinzione tra l’uomo e la macchina, tra la realtà attuale e quella virtuale (cit. da Kurzweil). Mettere in discussione le visioni futuriste e transumaniste emergenti può essere frutto di miopia, dettata dall’incapacità di intuire i progressi della tecnologia. Protesi bioniche, sensori e circuiti impiantati sul corpo o nel cervello, esoscheletri che fanno camminare i paraplegici e chip in grado di facilitare la vita a persone con il morbo di Parkinson, sono tutti esempi che suggeriscono la faccia positiva della tecnologia. Fanno intravedere un futuro, già qui, nel quale l’ibridazione uomo-macchina non è solo possibile ma benefica, augurabile e perseguibile. Un mondo abitato da persone umane, cyborg, macchine intelligenti, robot postini, droni spioni e altri esseri più o meno bionici, è già oggi una realtà. La tecnologia, la sua evoluzione attuale, trasformazione continua e maturazione sembrano tutti elementi destinati a migliorare la vita umana. L’esito però non è necessariamente quello promesso. Potrebbe al contrario determinare il controllo della macchina intelligente sull’uomo con la sua conseguente disumanizzazione, la riduzione degli spazi di libertà e la colonizzazione cognitiva di miliardi di persone, attraverso l’uso di informazioni personali che possono essere, già oggi, utilizzate per influenzare le scelte, i processi decisionali e i comportamenti delle persone. Tutto questo solleva problemi filosofici ed etici, fornisce innumerevoli spunti per una riflessione generalizzata e approfondita, alla portata anche dei non filosofi, su temi quali: il ruolo futuro delle tecnologie nel determinare il futuro del lavoro e delle organizzazioni aziendali, nel favorire il controllo politico e governativo, nell’influenzare l’educazione dei bambini a scuola, nel cambiare il senso stesso della realtà e della vita delle persone. Su tutti questi temi quanto si è disposti a riflettere a livello individuale? 

  1. Tecnologie e istituzioni

Qual è l’impatto delle tecnologie digitali sulle istituzioni, sui diritti dei cittadini, sulle libertà politiche, sul mondo del lavoro e della scuola, sulla carriera professionale e sull’apprendimento, sulla sanità e sulla società in generale? In che modo la tecnologia influisce sulle gerarchie del mondo e sulle loro scelte? 

  1. Tecnologia, stili di vita e pratiche quotidiane

In che modo la tecnologia sta modificando le nostre pratiche quotidiane, i nostri comportamenti, le nostre abitudini, stili di vita e relazioni? Quanto siamo coscienti della manipolazione quotidiana che subiamo e che si traduce in condizionamenti nel nostro essere consumatori, utenti, cittadini ed elettori? Quanto siamo consapevoli della pseudo-socialità di piattaforme come Facebook e del loro essere diventate una specie di metanfetamina dall’elevata potenzialità di dipendenza? 

  1. Tecnologia e impatto cognitivo

Che impatto cognitivo hanno le nostre frequentazioni tecnologiche e in che modo condizionano il nostro immaginario? Le tante rivoluzioni digitali stanno modificando e forgiando a propria misura la cognizione umana contemporanea così come l’azione umana a essa collegata. La prima ricaduta è una diminuita capacità di azione politica intesa come libera scelta individuale e volontaria. 

  1. Tecnologia e percezione della realtà

Quanto incide la tecnologia nel cambiare la nostra percezione della realtà e quanto incidono su questa percezione la cornice interpretativa e la visione del mondo da essa imposte? 

  1. Uomini aumentati o diminuiti

Possiamo ritenere di essere stati “aumentati, potenziati” o “diminuiti, depotenziati” dalla tecnologia?[3] 

  1. Addomesticamento della vista

Quanto è addomesticato il nostro modo di guardare alla tecnologia? Quanto siamo liberi nel nostro essere tecnofobi o tecnofili come risultato della nostra valutazione dei benefici e dei vantaggi così come degli effetti e delle conseguenze?  È possibile un approccio realistico, tecnoscettico, tecnocritico e tecnocinico? 

  1. Tecnologia e mercato del lavoro

Quali e quanti saranno i cambiamenti futuri generati dalla tecnologia nel mercato del lavoro? Automazione e robotizzazione anche di attività cognitive, intelligenze artificiali, trasformazione degli ambienti (co-working[4], lavoro da distanza, ecc.) e dei processi lavorativi, controllo e sorveglianza, algoritmi e relazioni mediate tecnologicamente sono tutti ambiti che suggeriscono l’approfondimento e condannano ogni forma di superficialità e rinvio di riflessione. 

  1. Piattaforme tecnologiche e identità

Come cambia l’identità ai tempi delle piattaforme e delle APP che strutturano un nuovo spazio cognitivo preformattato, dal quale ricavare risposte rapide ma con il risultato di una dipendenza che si traduce anche in crescente ignoranza? Le risposte da sole non bastano, spesso non hanno senso, bisogna contestualizzarle, storicizzarle, tempificarle, inserirle in cornici adeguate e guardarle in prospettiva. Ma queste risposte aspettano sempre delle nuove domande! 

  1. Identità digitali, sosia e avatar

Chi si interroga sull’esistenza delle proprie identità digitali? Chi si preoccupa di essere diventati semplici oggetti, merci movimentabili da un’interfaccia a un’altra, da una macchina a un’altra (ad esempio i server di Google o di Facebook). Chi si chiede che vite abbiano le identità digitali multiple di sé stessi, associate ai vari account creati online e di cui forse abbiamo perduto ogni traccia e capacità di controllo? Cosa succede alle identità che non aggiorniamo più, o non attiviamo da tempo avendo perso la password per accedervi? E alle identità memorizzate nei server delle piattaforme e dei Big Data che contengono memoria, informazioni e dati che vanno ben al di là di ciò che noi abbiamo loro fornito? Chi garantisce la loro privacy, riservatezza e sicurezza? 

  1. Il magnetismo dei display

Quanto siamo ancora in grado di resistere alla capacità attrattiva della tecnologia e alla sua capacità di coinvolgere e imprigionare la nostra attenzione? Quanto facilmente riusciamo a staccarcene o a staccare la spina e a tenerli spenti? Perché dobbiamo o dovremmo farlo? 

  1. Se online è gratis la merce sei tu ma Tu non sei un gadget[5]

Siamo consapevoli di essere stati trasformati in merce e semplici consumatori? Vivere acriticamente gli spazi sociali e comunitari online impedisce di comprendere quanto poco sociali e molto commerciali essi siano, di resistere alla trasformazione da persone a semplici consumatori, da soggetti pensanti a sudditi volontari e fidelizzati. Consumatori e sudditi si diventa anche se non si acquista alcunché. Postare, comunicare e messaggiare sono tutte attività utili agli algoritmi e ai numerosi filtri attivi online per analizzare le varie tipologie di conversazione, interazione e condivisione e per implementare le loro strategie marketing, promozionali e commerciali. 

  1. Il prezzo della gratuità

Qual è il prezzo che si paga per la gratuità che si sperimenta online? Va a discapito della libertà?  Meglio interrogarsi quanto si sia liberi se la libertà sperimentabile online è quella delimitata dalle regole (aperto, chiuso, zone transitabili o vietate, ecc.) e dai confini (Facebook è un mondo chiuso, una gabbia di vetro dentro Internet) degli spazi acquario o voliere digitali dei social network. Sono spazi nei quali ci si sente a casa, soddisfatti e continuamente gratificati, almeno fino a quando non ci si rende conto che la casa digitale è trasparente e illuminata ma senza finestre, quasi un mausoleo. Visibile dall’esterno ma inviolabile dall’interno. 

  1. Il potere nascosto dei Big Data

Si sente spesso parlare di Big Data ma quanti si interrogano sulle poche strutture di potere che li controllano e sulla loro scarsa trasparenza? In particolare, chi si interroga sulle garanzie da essi fornite sulla sicurezza e protezione dei dati in essi archiviati e categorizzati? 

  1. Domande esistenziali online

Ogni qualvolta mi connetto a Internet, mi pongo mai alcune semplici domande: “ma dove mi trovo? Come sono arrivato fino a qui? Ma potevo arrivarci anche per percorsi e con mezzi diversi? Come ho fatto ad arrivarci senza avere utilizzato alcun tipo di credenziali? Chi mi ha portato qui e con quali automatismi?”. 

  1. Il ruolo dei media tecnologici sociali

Qual è il ruolo dei media sociali nel trasformare Internet da terreno di gioco, di sperimentazione creativa e di libertà, in piattaforma digitale di sorveglianza e controllo, capace di trasformare tutto, il modo di pensare, di agire, di relazionarci a noi stessi e agli altri? La trasformazione è profonda, coinvolge tutti ma non è irreversibile. Per darle una direzione diversa è necessario prendere coscienza di essere diventati semplici operai cognitivi, profilati, mercificati da algoritmi che in modo persistente si appropriano dei corpi degli utenti (ogni profilo ha associato un corpo), del loro tempo e della loro attenzione. Costruite sulla piacevolezza, la facilità d’uso, la gratificazione, il gioco e il riconoscimento continui le piattaforme digitali finiscono per tratteggiare caratteri, dare forma e struttura alla psiche e formattare le loro relazioni. Quanto basta per porsi alcune domande! 

  1. La mutazione antropologica in atto

Siamo testimoni di una mutazione antropologica capace di far emergere scenari futuri dominati dalle macchine? Quanto ne siamo consapevoli e/o preoccupati? In entrambi i casi la lettura del libro Homo Deus di Yuval Noah Harari potrebbe essere un utile esercizio per farsi venire delle domande. 

  1. Rischi e facili allarmismi

Quanto allarmistiche o realistiche sono le riflessioni che suggeriscono che stiamo perdendo la capacità di ragionare con la nostra testa? Sono riflessioni non catalogabili come tecnofobiche ma che nascono dalla percezione di cambiamenti profondi nella testa delle persone (non solo epigenetici) di una crescente difficoltà alla concentrazione, di una elevata distrazione determinata dal surplus cognitivo che deriva dal flusso costante di messaggi visuali, testuali e sonori e da una crescente dipendenza dal mezzo tecnologico. 

  1. Resistere alla tecnologia come scelta possibile

Come valutare le azioni resistenziali alla pervasività tecnologica che si manifestano in difficoltà di adattamento, solitudini esistenziali ed esperienziali, sensi di colpa e di inadeguatezza, esigenze di scappare per reinventare le proprie vite? 

  1. La felicità online

Quanto sono ancora convinto di vivere in un’era felice, in un eldorado ricco di vene aurifere in termini di opportunità e possibilità?  È merito delle tante rivoluzioni tecnologiche che si sono susseguite e delle piattaforme a cui hanno dato origine? Che forma dovrebbe avere la felicità online e in che modo si sposa con quella offline? 

  1. Il Quatified Self

Quanto sono disposto a dare retta ai molteplici dispositivi per il Quantified Self[6], la rilevazione dei dati che serve a una macchina per monitorare l’umore e determinare il livello di benessere e di felicità di chi la possiede? Negli ultimi anni, una miriade di potenti sensori digitali microscopici, sono stati impiegati come strumenti potenti di misurazione e registrazione. Tracciano e decifrano qualsiasi cosa collegata alla salute, ai comportamenti e alle attività umane. Grazie alla quantità di dati raccolti, registrati e analizzati, più che agire come interfacce, si stanno trasformando in nuovi sensi sintetici a cui faremo sempre più affidamento, probabilmente fino a non riuscire più a fare a meno di essi. Uno scenario possibile che merita una riflessione critica approfondita o suggerisce quantomeno di tenere gli occhi sempre bene aperti. 

  1. Manipolazione dell’attenzione

Quanto sono consapevole che la mia felicità online può essere manipolata per distogliere la mia attenzione dalla realtà con tutti i suoi problemi economici, politici e sociali? L’esempio a cui fare riferimento in Italia è il tempo dedicato dai media a parlare del problema migrazione anche quando in realtà non lo è, soprattutto se paragonato al vero problema declinabile in mancanza di opportunità di lavoro, disoccupazione, precarietà, riduzione del reddito e perdita dei diritti fondamentali (lavoro, salute, scuola, uguaglianza, mobilità sociale, ecc.). 

  1. Disponibilità al cambiamento

Ci troviamo a vivere una delle più grandi rivoluzioni del genere umano. Siamo a uno snodo cruciale della nostra evoluzione, determinato principalmente da quella tecnologica. Il cambiamento è diventata la norma, è esponenziale, irreversibile[7] e forse inevitabile[8]. Non siamo chiamati a fermarlo ma a fare delle scelte e a decidere se e fino a che punto saremo disposti a permettere alla tecnologia di plasmare le nostre vite, relazioni sociali e società future. La domanda da porsi ora è quanto si sia disposti a cambiare comportamenti, ad affrontare in modo critico quello a cui ci siamo pigramente abituati o piegati da tempo, per tornare a guardare al mondo reale, distogliendo lo sguardo dai display che con i loro pixel fluorescenti lo hanno imprigionato. 

  1. Convivere con l’incertezza continua

Sento e sono partecipe della sofferenza che deriva dalla difficoltà di vivere in una realtà storica sempre incerta e sull’orlo del caos? Sono certo/a di poterla rimuovere fuggendo online e di non essere più braccato/a dalla stessa sofferenza, dalla solitudine e dall’infelicità? E se cercare pervicacemente di evitare e affrontare la sofferenza non facesse altro che crearne di nuova? 

  1. Le legioni di imbecilli online

Quanta della stupidità dilagante è imputabile a un cattivo uso dei media tecnologici da parte dei cittadini e quanto alla politica e all’uso che ne fa la sua classe dirigente? Quanta è imputabili direttamente alle moltitudini di persone che hanno rinunciato ad esercitare l’uso del pensiero, della riflessione critica e della conoscenza? A favorire la stupidità è il modello economico che è stato costruito sulle nuove tecnologie. Un modello che è a vantaggio di pochi ma a somma zero per tutti gli altri. Le tecnologie dell’informazione non sono però incatenate al modello attuale. Tutti possono dare un loro contributo per dare forma e implementazione a modelli alternativi. 

  1. Privacy e riservatezza dei dati personali

Esiste ancora la privacy online e quanto siamo preoccupati della sua sparizione? La frequentazione dei mondi digitali ha indotto molti a pensare che la privacy non esista più. Così facendo si rinuncia a un diritto umano fondamentale, quello di poter rimanere da soli, di essere lasciati in pace, magari in situazioni di solitudine, volontariamente scelte come opportunità di libertà, di isolamento creativo e meditativo, di benessere psicologico ed emotivo. Sono esperienze a cui probabilmente molti aspirano e sono oggi rese irrealizzabili dalla presenza diffusa di oggetti tecnologici sempre attivi e sempre desiderosi, oltre che configurati per farci compagnia: non solo oggetti software di cui sono piene le piattaforme social online, ma anche dispositivi Mobile, sensori, Reti degli Oggetti, videocamere, server di Rete, reti e canali di comunicazione, ecc. ecc.  È un accompagnamento che non ha nulla del samaritano, anzi è molto interessato, finalizzato a indicare percorsi e destinazioni, a suggerire stazioni di posta e locande. Il suo unico scopo è quello di raccogliere nuove informazioni per controllare il viaggio, eventuali cambiamenti di percorso e destinazioni, individuare i compagni di strada e documentare le conversazioni che ne scaturiscono, eventualmente per poi cederle a entità non solamente interessate a un loro uso di tipo commerciale. Ciò che è grave non è soltanto la percezione della sparizione della privacy ma che nessuna norma costituzionale o istituzione possa oggi intervenire per affermarla e proteggerla come un bene comune, individuale e condiviso. E anche questo dovrebbe sollevare nuove e urgenti domande. 

  1. Il ruolo dominante delle macchine

Quanto è presente o forte la sensazione che le macchine abbiano assunto un ruolo rilevante nel suggerire gli argomenti del dibattito pubblico su cui focalizzare l’attenzione e che come esseri umani siamo sempre più propensi ad obbedire delegando? 

  1. La libertà online

La Rete fa sentire liberi ma di quale libertà si tratta? Quella del cosiddetto anarco-capitalismo che giustifica la libertà individuale come mossa dall’interesse privato? Siamo convinti che sia la libertà di cui abbiamo bisogno per il nostro futuro? Quanto siamo disposti a pagare in termini di rinuncia a diritti, spazi pubblici e libertà democratiche? 

  1. La rinuncia alla libertà in cambio dell’efficienza

Vale la pena rinunciare alla propria libertà in cambio dell’efficienza che la tecnologia ci regala come opportunità, beneficio e vantaggio? La libertà non è un prezzo troppo grande da pagare, se in cambio si deve accettare di essere costantemente tracciati, sorvegliati e controllati? 

  1. La profilazione digitale

Quanto preoccupa la profilazione digitale? Non pensi di essere trattato allo stesso modo con cui si trattano i criminali potenziali? Il meccanismo usato si chiama profilazione digitale. Agisce sulle tracce lasciate in ogni percorso fatto online, sui comportamenti, sulle condotte personali, sulle abitudini e gli schemi ricorrenti che caratterizzano le azioni di ogni individuo online.  È una profilazione più potente di quella da tempo perseguita con le carte fedeltà. La carta fedeltà non può raccogliere dati relazionali, informazioni sulle conversazioni, il passaparola e le recensioni verbali che i consumatori condividono tra loro all’uscita da un punto vendita o a casa con gli amici. Online tutto ciò è oggi possibile, facilitato dalla forza logica e predittiva degli algoritmi e dalla disponibilità di molti più dati di quanti ne possa contenere qualsiasi Data Warehouse informatico delle grandi catene di supermercati esistenti. Grazie a questi dati e alla trasparenza radicale dei profili digitali la profilazione online si arricchisce anche di informazioni relazionali e sociali (legami sociali), di sentimenti ed emozioni (emoticon e emoji digitali) trasformando ogni utente in una entità analizzabile, quantificabile, valutabile in ogni azione compiuta, misurabile e come tale più facilmente prevedibile. Siccome tutti siamo sottoposti e vittime della profilazione, tutti dovremmo esercitare la nostra capacità di autodifesa. Con la carta fedeltà Esselunga o Coop la cosa è semplice, online tutto è diventato molto complicato, quasi impossibile. Soprattutto perché la profilazione viaggia insieme alla personalizzazione (Google) ed entrambe soddisfano appieno strategie e modelli di business fondati sulla centralità del cliente/consumatore, sulla gratuità dei servizi (l’illusione che online tutto sia gratis per nascondere il fatto di essere trattati come merce) sulla personalizzazione della comunicazione e sulla fidelizzazione. 

  1. Il potere segreto degli algoritmi

Cosa conosco degli algoritmi di Google che personalizzano i risultati di ogni ricerca sulla base dei profili che si è costruito su ognuno di noi? Google Search è ancora un motore di ricerca o un semplice ma potentissimo filtro, pensato per dare risposte alle nostre ricerche ma soprattutto per conoscerci meglio come consumatori? La personalizzazione effettuata da Google e da altre aziende tecnologiche è un potente algoritmo.  Un meccanismo di filtraggio che crea per l’utente un’area confortevole fatta di informazioni e risposte, in genere percepite come adeguate e coerenti alle proprie esigenze e alle esperienze precedenti di navigazione online. Come ha scritto per primo Eli Pariser (Il Filtro), chi naviga in Rete si trova immerso in un ecosistema informativo personale, in una bolla informativa che non regala alcuna sorpresa o casualità ma solo contenuti ritenuti di personale gradimento, e che non mettono in discussione le scelte fatte online. Il conflitto e la diversità non sono più contemplati, prevale l’omofilia, la conferma dell’identità percepita e delle sue aspettative. L’effetto è la manipolazione continua, la semplificazione (come fa l’algoritmo a sapere chi effettivamente noi siamo?) e la riduzione delle possibilità. Porsi delle domande sui filtri e sulle bolle informative favorisce una riflessione che può portare alla conoscenza delle possibilità esistenti per impedire o rendere più difficile l’opera di filtraggio. Si possono ad esempio disattivare le opzioni che danno origine alla personalizzazione, conviene cancellare frequentemente la cronologia del browser, bloccare i cookie e le finestre pop-up, prestare maggiore attenzione ai molteplici sistemi di tracciamento, sorveglianza e controllo oggi presenti in quasi tutti gli oggetti intelligenti così come nelle tecnologie indossabili (wearable) La difficoltà a interrogarsi sugli algoritmi di personalizzazione e sui meccanismi di sorveglianza e controllo nasce dalle camere di risonanza dei mondi digitali frequentati, dal conformismo (così fan tutti), dall’omofilia (se lo fanno gli altri…), dalla confortevolezza e dalla comodità degli ambienti gestiti dai filtri e dai loro algoritmi. In fondo il filtro non è propriamente una censura, è una semplice modalità per creare una gerarchia di priorità e selezione, pensata come congeniale a ogni individuo che ne usufruisce. Praticare il dubbio è un semplice modo per abbandonare i territori delle verità ideologiche e assolute, di ribellarsi a teorie e comportamenti che hanno la pretesa di fornire le uniche chiavi di lettura del presente, di non cedere al conformismo, il punto di partenza per estraniarsi dal Sé digitale per guardarsi agire dall’esterno, ma soprattutto “per coltivare uno scetticismo metodico”[9]. 

  1. L’importanza dell’educazione

Perché nel dibattito pubblico è completamente assente qualsiasi attenzione all’educazione dell’opinione pubblica finalizzata a limitare l’uso irresponsabile e potenzialmente pericoloso di Internet e delle piattaforme digitali? Qual è la responsabilità della politica e dei media? Cosa possiamo o dovremmo fare individualmente? L’educazione è importante per tutte le varie tipologie di tecnologie disponibili, i loro linguaggi e piattaforme, ancor più per comprendere le potenzialità negative dei loro effetti. L’obiettivo di questa educazione dovrebbe essere la pratica di un sano scetticismo. Un approccio utile per non prendere tutte le informazioni disponibili online come veritiere e valide, per cercare di verificarle e falsificarle, andandole a cercarle con strumenti e percorsi diversi, accedendo a fonti diverse da quelle proposte da piattaforme e algoritmi più interessati a fare da filtro che da fonte di conoscenza. Fare questo è un modo semplice per esercitare il pensiero analitico e critico, per acquisire informazioni e conoscenze, utili a elaborare nuovo pensiero e sostenere le proprie idee personali con solide argomentazioni[10]

  1. Interazioni tecnologiche e comportamenti

Perché il nostro comportamento cambia quando siamo impegnati a interagire in solitudine con il display di un dispositivo? La domanda è utile per interrogarsi sui fallimenti della razionalità che si manifestano nei comportamenti online.  È quanto emerge dall’analisi dei comportamenti dei consumatori che evidenzia online atteggiamenti diversi nei confronti della privacy e della riservatezza dei dati con effetti paradossali. Il maggior controllo favorito da Facebook non produce una maggiore attenzione e prudenza alla condivisione ma il suo contrario. Il maggiore controllo spinge l’utente a una maggiore condivisione di informazioni sensibili con un numero maggiore e più ampio di persone. A fare la differenza è il contesto. Nella vita reale, di fronte a un questionario, l’utente presta attenzione a come possano essere usati i suoi dati, nella solitudine online ne presta meno. La percezione del rischio mentre si opera davanti a un display è minore. Ne è una esemplificazione la diffusione di messaggi di odio da parte di persone che, se intervistate di persona o in un contesto di interazione sociale, negherebbero di averlo sperimentato e di sentirlo come proprio. Il problema della privacy e della riservatezza dei dati non è oggi facilmente risolvibile o gestibile. Interrogarsi su di essa e sui propri comportamenti poco razionali nel difenderla può servire a comprendere meglio il gioco mortale nel quale si è coinvolti e chi siano i veri protagonisti degli stessi. Dando per scontato che società come Facebook sappiano perfettamente quali sono i meccanismi che governano le azioni di utenti e consumatori così come i loro fallimenti reazionali quando si tratta di fare delle scelte. 

  1. L’importanza della lettura

Anche se la previsione della sparizione rapida dei quotidiani e della carta non è stata al momento rispettata, nessuno può esimersi dall’interrogarsi su come la digitalizzazione della lettura stia cambiando non soltanto il modo di leggere ma la testa di chi legge. Sul tema il lavoro di riferimento è sicuramente quello di Maryanne Wolf ma sono ormai numerosi gli studiosi che stanno rivelando cambiamenti in atto, principalmente nelle nuove generazioni, in termini di comprensione e capacità di approfondimento, di ragionamento deduttivo, di capacità di riflettere, di pensiero critico e capacità intuitiva. A queste generazioni non si deve vietare l’uso degli strumenti digitali ma instillare loro il bisogno di provare esperienze di lettura diverse, ad esempio cartacee, lineari, silenziose, libere dal sovraccarico informativo, lontane dal multitasking, condivisibili dopo avere sperimentato il piacere interiore di un incontro diverso con chi scrive ed averne compreso motivazione, storie, messaggi e significati. Il fatto che non serva vietare il mezzo tecnologico è testimoniato dal ritorno alla lettura di molti adolescenti. Tanti quelli che a fine marzo 2019 hanno fatto la fila per farsi autografare a Milano una copia di After dalla sua autrice. Tutti rappresentanti di quella generazione balzata all’attenzione dei media per avere riempito le piazze del 13 di marzo 2019 con la più grande protesta per chiedere nuove e urgenti politiche ambientali.  È a loro che oggi bisogna guardare ed è per loro che gli adulti devono porsi delle domande! 

  1. Storytelling e ruolo dei media

Una riflessione a parte merita il ruolo dei media nel raccontare la rivoluzione tecnologica. Le domande dovrebbero focalizzare l’attenzione: sulla scarsa attenzione posta dai giornali e dai media alla vasta letteratura che negli ultimi dieci anni ha alimentato la critica intellettuale, la riflessione filosofica e critica sulla realtà tecnologica (adesso molti lo fanno, non è mai troppo tardi!); sull’adeguamento passivo alla cultura tecnologica vincente e alla celebrazione delle aziende che la diffondono, dei suoi sacerdoti e guru;   sull’appiattimento generale che ne è derivato in termini di qualità delle narrazioni e dei contenuti prodotti, di sparizione delle inchieste, di crescente dipendenza dai dati (spesso dettata dalla necessità di avere più visite sui media online), di elevato conformismo che ha finito per eliminare le voci diverse perché ritenute distoniche e non allineate. Che fine ha fatto la blogosfera italiana e quante delle energie da essa espresse hanno trovato espressione nei media tradizionali e digitali? 

  1. Lentezza e velocità

Il tempo dell’esperienza digitale è senza tempo. Ci regala la sensazione di non averne mai abbastanza imponendoci la pressione costante a non perderlo. Siamo diventati schiavi di abitudini e azioni quotidiane che si traducono in una frammentazione continua del tempo vissuto online e di una “dispersione del Sé” che impedisce di cogliere il bisogno, la necessità e l’importanza della lentezza. La domanda da porsi è se e quanto il tempo digitale, la sua velocità e voracità, non siano oggi alla base di molte delle nostre inquietudini e ansie, incertezze e infelicità. Segue la domanda su quale esperienza del tempo dovremmo al contrario cercare, in termini di durata, qualità, ritmo, direzione, circolarità e diacronicità. 

  1. L’importanza di una riflessione critica

Se personaggi come Elon Musk, Bill Gates, Steven Hawking e molti altri imprenditori, studiosi e scienziati, hanno sottoscritto una lettera aperta (Research Priorities for Robust and Beneficial Artificial Intelligence: An Open Letter2015) per suggerire una riflessione sulle conseguenze sociali e sui limiti etici dell’uso che viene fatto della tecnologia, come si fa a esimersi dal fare proprio il loro appello? Gli scenari a cui fanno riferimento possono essere ancora lontani ma non possono essere ignorati. In particolare, come ha voluto sottolineare Hawkings poco prima della sua morte, per lo sviluppo esponenziale delle tecnologie di intelligenza artificiale che sembrano preludere a una loro capacità futura di sottrarsi al controllo di chi le avrà costruite. 

  1. Etica delle macchine

Le macchine hanno acquisito la capacità di modificare e ingannare la mente. Lo fanno sulla base delle valutazioni e delle scelte etiche di coloro che le hanno progettate. Un numero limitato di persone, ideatori, startupper, ingegneri, sviluppatori e designer che finiscono per fare scelte importanti anche per gli altri. Quanto importante e urgente è diventato impossessarsi delle conoscenze necessarie per poter intervenire e contribuire alle loro scelte? Tutti dovrebbero avere voce in capitolo, essere informati per poter partecipare alle scelte da fare. Così facendo potrebbero acquisire una maggiore consapevolezza delle nuove tecnologie emergenti, in particolare di quelle di intelligenza artificiale. Una maggiore consapevolezza faciliterebbe una interazione con le macchine meno passiva e meno condizionante. 

  1. …e l’elenco potrebbe continuare 

Giunto a questo punto dell’elenco l’esercizio che ognuno può fare è di fermarsi un attimo, riflettere e provare a produrre nuove domande possibili. Ne potrebbe nascere un elenco personale, legato alle esperienze tecnologiche personali, in ambiti di vita quotidiana, esistenziale e lavorativa nei quali la tecnologia sta determinando cambiamenti tali da essere all’origine di preoccupazioni, paure, ansie, frustrazioni, timori per il futuro, ecc. 

Buon lavoro!


Indice del libro

Premessa

  • Osare pensare
  • Una riflessione sulla tecnologia è necessaria
  • In viaggio
  • Qualcosa non funziona più
  • Andare oltre la tecnologia 

Introduzione

  • Un appello per scelte non binarie
  • Intelligenze artificiali e umane
  • Libertà di scelta come possibilità
  • Homo Sapiens: una evoluzione a rischio
  • Ruolo e criticità della tecnologia
  • Costruire narrazioni diverse
  • Menti hackerate e azioni da intraprendere

Tempi Moderni

  • Tempi irreali e mondi paralleli
  • Mondi virtuali, memi virali e contagiosi
  • Il ruolo che dobbiamo esercitare
  • In culo alle moltitudini 

Tempi tecnologici

  • πάντα ῥεῖ, tutto scorre
  • Il dominio delle macchine
  • Media digitali e dimensione umana
  • Leggerezza virtuale e pesantezza del reale
  • La realtà come gioco
  • Il grande inganno
  • Mettersi in cammino

Velocità e senso dell’urgenza

  • Il tempo tecnologico è viscoso e agitato
  • L’illusione del tempo presente
  • Immediatezza come registrazione
  • Il recupero della lentezza
  • Deleghe in bianco e scelte fuori dal coro
  • Potenza, vitalità e velocità delle immagini
  • Il tempo dimenticato

Immersi in realtà multiverso

  • Reale e virtuale convivono
  • Finzioni digitali e realtà
  • Multiverso lento
  • Via dalla pazza folla
  • Il ruolo delle emozioni 

Libertà di scelta ed emozioni

  • Emozioni chimiche digitali
  • Emozioni algoritmiche
  • Macchine intelligenti e assistenti personali
  • Emozioni e sofferenza

Siamo scimmie intelligenti?

  • Tecnologia strumento di libertà
  • Trasformazioni cognitive
  • Interazioni uomo-macchina
  • Esseri umani o burattini
  • Scimmie allevate per consumare 

Sentirsi liberi

  • Internet da spazio libero a mondo chiuso
  • Libertà perdute, libertà simulate
  • Libertà illusorie
  • Scelte binarie e libertà illimitata
  • La libertà non fa regali
  • Sapere di non sapere

Gli strumenti che servono

  • Strade accidentate e coraggio
  • Coltivare gli orti del pensiero
  • Pratica del silenzio e tempi lenti
  • Metterci la faccia 

Alimentare il dubbio

  • Dubitare ora dubitare sempre
  • Per dubitare serve una pausa

Gatti, asini e canarini, voliere, acquari e gabbie di vetro

  • Comportiamoci da gatti
  • Pesci in acquario
  • Le voliere di Twitter
  • La gabbia è di vetro ma riscaldata
  • Cambiare aria
  • Mura ciclopiche, barriere e porti chiusi
  • La metafora dell’asino

Attraversare la cornice del display

  • Oltre la cornice dello schermo
  • Contestualizzare la tecnologia
  • La potenza delle immagini che ci guardano
  • Perdere la vista

Interrogarsi sulla solitudine

Isolati nella realtà, soli online
Costretti a stare soli
Voglia di comunità e social networking
Consapevolezza e responsabilità
Solitudine e impegno

Il potere degli algoritmi

  • Attenzione distratta
  • Algoritmo maggiordomo ruffiano
  • Algoritmo invisibile ma non trasparente
  • Un algoritmo fintamente autonomo
  • L’algoritmo calcolatore
  • Ribellarsi all’algoritmo

Poteri forti e monopolistici

  • Poteri totalitari ma sorridenti
  • Fedeltà vado cercando
  • Tecnocrazie nichiliste alla ricerca di delega
  • Libertà, lavoro e diritti
  • Preoccuparsi è meglio che non farlo
  • L’esercizio politico della critica
  • Le chiese della Silicon Valley
  • La politica cinguettante
  • Fake news e analisi dei fatti

Le domande da porsi

  • Domande, domande, domande
  • Dipendenze e rinunce alle dosi quotidiane
  • Esercitare l’arte delle domande
  • Un elenco di domande possibili

Scegliere è difficile

  • Le opzioni della scelta
  • Difficoltà esistenziale della scelta
  • Scelte lenti e consapevoli
  • La libertà di scelta online
  • Scegliere la gentilezza 

Addestramento alla gentilezza

  • C’è bisogno di amicizia e solidarietà
  • Reti di contatti e reti amicali

Alcune considerazioni finali

Webgrafia/Bibliografia


Note

[1] Ermanno Bencivenga: La scomparsa del pensiero. Perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa, Feltrinelli,2017

[2] Il transumanesimo (o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus) è un movimento culturale che sostiene l'uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l'invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana. (Wikipedia)

[3] Il riferimento è al titolo del libro Il cervello aumentato, l’uomo diminuito di Miguel Benasayag, Erickson editore 

[4] Stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un'attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d'ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. Attrae tipicamente professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e finiscono per lavorare in relativo isolamento. Il coworking definisce anche la condivisione di valori di persone che stanno insieme, lavorando in modo indipendente e che sono interessate alla sinergia e collaborazione che ne può derivare.

[5] Titolo del primo libro che ha reso famoso Jaron Lanier

[6] Un concetto riferito a tecnologie impiegate per la quantificazione del Sé realizzabile attraverso strumenti capaci di misurare le più svariate attività umane, dai chilometri percorsi ai passi compiuti, dai caffè bevuti alle calorie consumate, dalle e-mail ricevute al tempo passato su un social network, ecc. Nato come una semplice iniziativa di nerd della Silicon Valley è diventata per molti una filosofia di vita contagiando tutti e trasformandosi per alcuni in una vera e propria mania. 

[7] Il concetto è anche il titolo di un libro (Irresistibile – Come dire no alla schiavitù della tecnologia) di Adam Alter.

[8] Concetto richiamato dal libro di Kevin Kelly: L’inevitabile – Le tendenze tecnologiche che rivoluzioneranno il nostro futuro

[9] Citazione da Ippolita 

[10] Sull’argomento consiglio la lettura del numero monografico di Limes di ottobre 2018, tutto dedicato a La Rete a stelle e strisce. I numerosi articoli raccontano una Internet diversa da quella solitamente presente nelle narrazioni quotidiane dei media. Vi si parla di imperi informatici, di algoritmi, di giganti digitali, di stratgeie del cuculo, di geopolitica e mercati, di conseguenze inintenzionali e sovranità digitali, di cibernetica, cyberpotenze, cyberfionde e cybercriminalità, di WeChat e WhatsApp, e molto altro ancora.

StultiferaBiblio

Pubblicato il 30 giugno 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

c.mazzucchelli@libero.it http://www.stultiferanavis.it

Ermanno Bencivenga: La scomparsa del pensiero. Perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa, Feltrinelli,2017

 Il transumanesimo (o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus) è un movimento culturale che sostiene l'uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l'invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana. (Wikipedia)

Il riferimento è al titolo del libro Il cervello aumentato, l’uomo diminuito di Miguel Benasayag, Erickson editore 

Stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un'attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d'ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. Attrae tipicamente professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e finiscono per lavorare in relativo isolamento. Il coworking definisce anche la condivisione di valori di persone che stanno insieme, lavorando in modo indipendente e che sono interessate alla sinergia e collaborazione che ne può derivare.

Titolo del primo libro che ha reso famoso Jaron Lanier

Un concetto riferito a tecnologie impiegate per la quantificazione del Sé realizzabile attraverso strumenti capaci di misurare le più svariate attività umane, dai chilometri percorsi ai passi compiuti, dai caffè bevuti alle calorie consumate, dalle e-mail ricevute al tempo passato su un social network, ecc. Nato come una semplice iniziativa di nerd della Silicon Valley è diventata per molti una filosofia di vita contagiando tutti e trasformandosi per alcuni in una vera e propria mania. 

 Il concetto è anche il titolo di un libro (Irresistibile – Come dire no alla schiavitù della tecnologia) di Adam Alter.

Concetto richiamato dal libro di Kevin Kelly: L’inevitabile – Le tendenze tecnologiche che rivoluzioneranno il nostro futuro

Citazione da Ippolita