Chi è capace di entrare in connessione empatica con gli altri, è abituato all’ascolto, e a guardare negli occhi il suo interlocutore o la sua interlocutrice, sa che con le parole è possibile ferire un corpo così come accarezzarlo dal di dentro, armonizzando mente e cuore, emozioni e pensieri.
Mai come oggi è diventato urgente riflettere criticamente sull'uso che facciamo del linguaggio, oggi sempre più colonizzato tecno-linguisticamente, e delle parole che lo rendono possibile.
Riflettere sul linguaggio significa riflettere sulle forme attuali della comunicazione, delle conversazioni, delle narrazioni e del dialogo disincarnate, e non solo, tipiche delle piattaforme tecnologiche che quasi tutti frequentiamo.
Riflettere sul linguaggio aiuta a comprendere l’infinità di senso delle parole e la loro “valenza d’essere”. Le forme di linguaggio oggi dominanti hanno determinato la ritirata delle parole, sempre più subordinate a immagini e altri media digitali, allo storytelling e alla chicchiera online, alla brevità dei cinguettii, alla velocità dei messaggini, allo spettacolo, alla pubblicità e alla propaganda.
In questo percorso sulle parole ho scelto di insistere sul concetto delle parole come carezze.
Parole in forma di carezze di cui tutti sentono oggi un gran bisogno, forse ne hanno anche un insopprimibile desiderio. Un bisogno diventato urgenza a causa di un contesto comunicazionale e relazionale, mediato tecnologicamente e dentro l’infosfera, nel quale a prevalere è la brutalità del linguaggio, spesso declinato in parole violente, velenose, nella forma di schiaffi, calci e pugni in faccia, ma anche la sua auto-referenzialità, il cinismo, la comunicazione tautologica e centrata sul sé che lo caratterizzano.
L’impossibilità a soddisfare questo bisogno di carezze in forma di parole nasce anche “[…] dall’inquinamento che riguarda il respirare psichico dell’organismo individuale e collettivo”, un inquinamento generato dalla manomissione semantica delle parole, dal sistema mediale, dal surplus informativo, dalla proliferazione di messaggi pubblicitari e promozionali, dalla competizione economica e per il lavoro, dalla digitalizzazione e automatizzazione di ogni cosa, compreso il corpo umano.
Quelle che seguono sono varie tappe da me costruite per una riflessione sulle parole a cui tutti siamo oggi urgentemente chiamati, per carezzarle e nel farlo accarezzare anche noi stessi.
Carezzare le parole che cambiano, noi con loro
Chi è capace di entrare in connessione empatica con gli altri, è abituato all’ascolto, e a guardare negli occhi il suo interlocutore o la sua interlocutrice, sa che con le parole è possibile ferire un corpo così come accarezzarlo dal di dentro, armonizzando mente e cuore, emozioni e pensieri. - Un capitolo intero da me scritto, tratto dal libro OLTREPASSARE - Intrecci di parole tra etica e tecnologia, scritto insieme a Nausica Manzi e pubblicato nel 2022.
Parole in forma di carezze
Di parole in forma di carezze tutti hanno oggi un grande bisogno, forse ne hanno anche un insopprimibile desiderio. Un bisogno diventato urgenza a causa di un contesto comunicazionale e relazionale, mediato tecnologicamente e dentro l’infosfera, nel quale a prevalere è la brutalità del linguaggio, spesso declinato in parole violente, velenose, nella forma di schiaffi, calci e pugni in faccia, ma anche la sua auto-referenzialità, il cinismo, la comunicazione tautologica e centrata sul sé che lo caratterizzano. Il bisogno insoddisfatto che genera solitudini, ansie, disturbi psichici e depressioni, alimenta solipsismi e crea “eremiti di massa che comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo, separati l’uno dall’altro, chiusi nel loro guscio come i monaci di un tempo sui picchi delle alture.”
Il volto e le facce
La proliferazione di simulacri, avatar, simbionti e cyborg vari che hanno la pretesa di umanizzare la macchina non sopprime una specificità tipicamente umana, l’unicità del volto di ogni persona, il fatto che noi siamo differenza.
Sempre connessi mai congiunti
Siamo tutti connessi ma non più congiunti (collegati) con gli altri, forse neppure con noi stessi. Alla costante ricerca di esperienze gratificanti, viviamo allegramente una nevrotizzante esperienza di schizofrenia diffusa, condivisa con altri come noi, che produce frustrazione e impedisce di sperimentare nuove esperienze.
Persi dentro schermi magnetici e luccicanti
La solitudine, anche della parola, è vissuta dentro schermi lucidi e trasparenti, attrattivi e magnetici, totemici, oggetti magici da strofinare come vere e proprie lampade di Aladino. Schermi capaci di inaridire ogni forma di empatia; specchi riflettenti dentro i quali singoli individui possono vedere la propria immagine riflessa così come un pesciolino in un acquario vede la propria dentro la parete trasparente che lo tiene prigioniero illudendolo di essere in mare aperto
Ambienti digitali e forza delle parole
L’ambiente digitale nel quale tutti sperimentiamo la vita, ben diverso da quello naturale e ostile che percepiamo nelle crisi climatiche in atto, e il valore delle parole che lo raccontano si è fatto atmosfera, piattaforma, apparato.
La ricchezza delle parole
Le parole non sono di per sé povere di significati, subiscono una variabilità semantica che rendono instabile la relazione tra significante e molteplici esiti semantici che sempre si manifestano in ogni dialogo tra persone che parlano di uno stesso argomento. Le parole sono per loro natura polisemiche, mai assimilabili a singoli concetti, spesso generate per semplice analogia e sempre espressione di una pluralità di accezioni, in particolare le parole più usate.
Parole inflazionate, parole ricche di significati
Per comprendere il nostro modo di guardare alla realtà e a cosa ci stia succedendo, sempre che lo percepiamo, ne sentiamo la necessità e/o l’urgenza, dobbiamo partire da una riflessione attenta, ermeneutica, sulle forme, espressioni, contenuti e parole del nostro linguaggio. Intenti a abitare mondi diversi, molti dei quali virtuali, rischiamo di non comprendere fino in fondo quanto abitare una lingua, farne la propria dimora (dal latino demorari - indugiare, tardare, attendere, arrestarsi stabilmente in un luogo), sia fondamentale, per capire sé stessi, gli altri e la realtà esistenziale nella quale siamo tutti confinati.
Le parole dell’etica: La comprensione - (Tecno)consapevolezza, Responsabilità… - Generosità, ospitalità, solidarietà…
Le parole su cui investire, sono parole che fanno riferimento a virtù sociali, sono incarnate, strettamente connesse con gli orizzonti di valori personali, all’ethos, alle strutture e alle istituzioni nelle quali ogni individuo è inserito e conduce, nel suo ruolo di cittadino, la sua esistenza personale e collettiva, e la sua esperienza pratica quotidiana. Sono parole testarde, ricche di memoria, positivamente antiche ma mai antiquate, fatte per resistere a un presente che a molti appare intollerabile perché non concede scappatoie se non quella di accettarlo.
Una riflessione necessaria
Dentro la pandemia di egocentrismo corrente, la cui viralità è stata facilitata dalla tecnologia, è necessario dubitare del proprio essere furbi, delle conoscenze possedute. Per porsi delle domande, esercitare una riflessione continua sul nostro essere nel mondo, mettere in discussione abitudini e comportamenti, modificare il modo di interagire con i media tecnologici, riflettere decostruendo criticamente i mondi digitali frequentati, fare i conti con le innumerevoli false notizie, contenuti spazzatura e verità alternative, per poi operare delle scelte esercitando il proprio diritto alla verità, seppur consapevoli della sua illusorietà.
Oltrepassare come azione etica
Il richiamo dell’etica è oggi tanto più impellente quanto più diffuso è il dominio della tecnica e virali online sono diventate le parole. Miliardi di dati disponibili permettono di rappresentare una infinità di oggetti, anche digitali, dai quali algoritmi intelligenti possono evidenziare e estrapolare le loro molteplici relazioni e interconnessioni. Il rischio di contagio a esse collegato si somma, forse è anche condizionato da come quegli algoritmi sono stati pensati e implementati.
Serve uno sguardo diverso
Guardare è volgere gli occhi per mettersi nella condizione di superare continuamente il vedere, di andare al di là dell’immagine, prendendone coscienza.
Alla fine del viaggio dentro le parole
Bisogna stare a contatto con l’Altro, sentirne il suo calore, bisogna ritornare a parlare(si), come facevano i giovani che frequentando le scuole peripatetiche dei filosofi greci apprendevano quanto le parole fossero importanti per le loro anime.
Siate cauti con le parole
Oggi più che mai servono pensieri altri, imprevedibili (non prevedibili dagli algoritmi) forti, immaginifici, visionari, capaci di costruire e dare forma a scenari futuri ispirando comunità umane dialoganti e comunicanti, capaci di condividere, di sentire insieme e di affrontare le sfide in arrivo. Si può fare cambiando il linguaggio, mai posseduto individualmente ma come proprietà comune, e rivitalizzando le parole con le quali lo pratichiamo, in qualsiasi processo di conoscenza.