In "ChatGPT non pensa (e il cervello neppure)" Miguel Benasayag, che da decenni si occupa del rapporto tra la macchina e il vivente, dialoga con Ariel Pennisi.
È un dialogo stimolato dalla recente diffusione di massa di ChatGPT-4, ma che viene da lontano, si intreccia con spazi di vita, ricerca scientifica e un impegno politico comune.
Non si tratta di essere tecnofobi o tecnofili: «Mentre gli uni si ripiegano sulla nostalgia di una natura perduta, gli altri si gettano nel vortice del funzionamento totale, dove il corpo, la finitezza, i limiti immanenti dell’esperienza vitale e perfino i segni della storia non sono che un ostacolo per una volontà di efficienza che gira a vuoto».
Un dialogo serrato, meditato e chiarificante che rivendica la necessità di pensiero e di pratiche contro le nuove forme pervasive di colonizzazione digitale e in favore della “singolarità del vivente”, della «capacità di noi bestie di non funzionare, di vivere da inutili e di percepire tale condizione come la perfezione stessa».
Ancora una volta, Benasayag ci invita a elaborare un modello di ibridazione tra la tecnica e gli organismi viventi che non si riduca a una brutale assimilazione.