Il linguaggio dell’AI (POV #05)

Noam Chomsky e Andrea Daniele Signorelli: Come l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui parliamo e pensiamo. Da sempre il linguaggio è la frontiera che separa l’uomo dalla macchina. Ma cosa accade quando le macchine iniziano a parlare, scrivere, tradurre, persuadere? L’intelligenza artificiale non ha solo imparato le nostre parole: le ha fatte proprie, rielaborandole in modo statistico e imprevedibile. Due interpreti di questa svolta offrono visioni opposte: Noam Chomsky, linguista e filosofo del linguaggio, teorico della grammatica universale; e Andrea Daniele Signorelli, giornalista e saggista, autore di Technosapiens e Simulacri Digitali, voce critica del rapporto tra AI, cultura e società. Il primo difende la natura innata e semantica del linguaggio umano; il secondo analizza come l’algoritmo ne stia riscrivendo la funzione sociale. Il linguaggio è ancora ciò che distingue l’umano dalla macchina?

Alla sera leoni, alla mattina robot

Se c’è qualcuno che mostra i segni da disturbo da stress post traumatico, quelli siamo noi quando ci troviamo  di fronte all’irruzione dell’incontrollabile, di quel leone interiore che non si lascia addomesticare e che chiede ascolto e trasformazione. Siamo noi il robot, e di leoni ce ne troviamo di fronte uno nuovo ogni giorno: la tecnologia, le guerre, la crisi economica, il cambiamento climatico

Pensare in un'epoca di previsione algoritmica

C'è un tipo specifico di tempo – chiamatelo ritardo mentale o chiamatelo riflessione o chiamatelo come volete – che sembra sempre più difficile da abitare ora, e intendo ora nel senso che significa sia "questo momento storico" che "questo effettivo secondo di coscienza in cui vi trovate mentre leggete questo", e se questa confusione sembra già fuori luogo potrebbe essere perché l'adesso stesso è stato deformato, che è un po' il punto.

L'Intelligenza Artificiale e la Legge di Amara

Mentre scrivo queste righe nell'ottobre 2025, sto vivendo uno di quei momenti storici in cui la realtà supera la fantascienza, ma non nel modo che tutti si aspettavano. L'intelligenza artificiale ha attraversato il picco delle aspettative gonfiate e sta scivolando inesorabilmente nella "valle della disillusione" , proprio come predetto dalla celebre Legge di Amara, formulata negli anni '80 dal futurista Roy Amara: "Tendiamo a sovrastimare gli effetti di una tecnologia nel breve periodo e a sottostimare i suoi effetti nel lungo periodo".

Intervista ImPossibile a George Orwell (IIP #04)

L’AI come nuovo totalitarismo George Orwell (pseudonimo di Eric Arthur Blair, 1903–1950) è uno degli autori più influenti del XX secolo. Scrittore, giornalista e combattente antifranchista, ha denunciato i meccanismi del potere e della manipolazione con una chiarezza che ancora oggi inquieta. I suoi due romanzi più celebri – La fattoria degli animali (1945) e 1984 (1949) – sono parabole del totalitarismo moderno: il primo una satira contro la degenerazione del socialismo reale, il secondo una visione profetica della società della sorveglianza e del controllo mentale. Orwell credeva che la menzogna organizzata fosse la forma più alta di potere e che la verità, anche quando ridotta a una formula banale come due più due fa quattro, fosse l’ultimo baluardo della libertà umana. Cosa penserebbe il creatore del Grande Fratello davanti alla nascita di un’intelligenza che osserva tutto, capace di conoscere i nostri desideri prima ancora che li formuliamo?

Non confondiamo la rapidità del ragionamento con l’intelligenza

L’abitudine a premiare chi risponde in fretta, chi semplifica senza esitazione, ha finito per farci dimenticare che il pensiero autentico è un atto lento, complesso, spesso contraddittorio. Non nasce da riflessi automatici, ma dal coraggio di interrogare le possibilità, di sbagliare strada, di sostare nel dubbio. Questa riflessione — nata tra i banchi di una biblioteca senza Internet e maturata osservando i limiti delle cosiddette intelligenze artificiali — è un invito a restituire alla mente il tempo che le spetta.

Intervista ImPossibile a Gilles Deleuze (IIP #03)

AI e il desiderio di creare Gilles Deleuze (1925–1995) è stato uno dei filosofi più radicali e originali del Novecento. Tra le sue opere principali figurano Nietzsche e la filosofia (1962), Differenza e ripetizione (1968), Logica del senso (1969), L’Anti-Edipo (1972, con Félix Guattari), Millepiani (1980) e Che cos’è la filosofia? (1991). Il suo pensiero ha introdotto concetti chiave come il rizoma, il corpo senza organi, la deterritorializzazione, la critica alla psicoanalisi ed alla rappresentazione, e l’idea della filosofia come arte di creare concetti. Le sue analisi sul desiderio, sulla vita sociale e sulle “macchine” del capitalismo offrono ancora oggi strumenti utili per leggere e comprendere le tecnologie digitali. Che cosa direbbe oggi Deleuze, di fronte all’intelligenza artificiale?

Il dominio dell’AI (POV #03)

Shoshana Zuboff e Yoshua Bengio: algoritmi tra emancipazione e controllo. Viviamo in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sembra promettere tutto: efficienza, conoscenza, persino giustizia. Ma gli algoritmi che regolano le nostre vite sono davvero neutrali? O nascondono nuove forme di potere e disuguaglianza? Da una parte, Shoshana Zuboff ci mette in guardia contro il “capitalismo della sorveglianza”, un sistema che trasforma ogni esperienza in dato da sfruttare, riducendo la libertà individuale a merce di scambio. Dall’altra, Yoshua Bengio, pioniere del deep learning, non nega i rischi ma invita a costruire regole, istituzioni e responsabilità collettive per fare dell’AI una tecnologia al servizio dell’umanità. Gli algoritmi sono una trappola che alimenta disuguaglianze sempre più profonde, o una risorsa che - se governata - può ancora rafforzare la nostra autonomia di pensiero?

FOMO: La Generazione Sull’Orlo della Crisi Cognitiva

FOMO, sigla dell'espressione inglese Fear Of Missing Out, può essere tradotta in italiano come "timore di essere esclusi" o "ansia di perdersi qualcosa di importante". Questo fenomeno psicologico, riconosciuto ufficialmente nel 2013 con l'inclusione nell'Oxford English Dictionary, ci induce a confrontare costantemente la nostra esistenza con quelle che osserviamo online, portandoci a domandarci se queste siano più stimolanti e appaganti della nostra. Si manifesta come un disturbo d'ansia sociale che spinge gli individui a voler rimanere perennemente aggiornati sulle attività altrui, alimentando il sospetto che gli altri stiano conducendo vite più soddisfacenti e ricche di esperienze. Non va confuso con la semplice invidia, ma rappresenta un'autentica condizione di preoccupazione che genera un bisogno ossessivo di monitorare i social network e le comunicazioni digitali, come meccanismo di difesa contro la sensazione di esclusione.

Alla ricerca del senso nascosto: Vincent Halles e l’arte di collegare i frammenti

Ho incontrato per caso Vincent Halles su Medium. I suoi scritti mi hanno subito colpito per un approccio che assomiglia al mio: la ricerca ossessiva di connessioni tra ciò che appare sconnesso. Come me, Halles non si limita a leggere o archiviare, ma attraversa testi, culture e discipline—da Fernando Pessoa a Westworld, da Deleuze alle parodie di videogiochi—per far emergere fili inaspettati. Per entrambi, l’incompiuto non è una mancanza, ma la traccia viva di un pensiero che si interroga, si corregge, si rimette in discussione. Giurista di formazione ma mosso da una curiosità senza confini, Halles dimostra che collegare l’apparentemente inconciliabile non è un esercizio intellettuale fine a sé stesso, ma un atto di resistenza culturale. In un’epoca dominata dall’efficienza algoritmica, il suo lavoro—e, per certi versi, anche il mio—ci ricorda che la ricchezza del pensiero sta proprio nelle esitazioni, nelle deviazioni, nella capacità di sbagliare e ricominciare. È questa vulnerabilità, questa umanità imperfetta, il cuore della sua ricerca e, in fondo, di ogni autentico processo creativo.

Chi governa l’AI (POV #02)

L’ascesa dell’intelligenza artificiale e il dominio delle piattaforme digitali riportano al centro una questione che non possiamo più permetterci di rinviare: chi comanda davvero nel XXI secolo? Gli Stati-nazione, con i loro confini, le loro istituzioni e le logiche di potere geopolitico? Oppure le corporation tecnologiche, che si muovono oltre ogni frontiera, accumulano dati e capitali, e definiscono di fatto le regole del gioco globale? È in questo spazio di frattura che si colloca il pensiero di due osservatori radicali: Yanis Varoufakis, l’economista che immagina un futuro post-capitalista, ed Evgeny Morozov, il critico implacabile della retorica tecno-utopista. Le loro analisi, pur diverse, convergono in un punto essenziale: la democrazia, così come l’abbiamo conosciuta, rischia di essere svuotata dall’interno. Non più erosa da ideologie antagoniste o da conflitti militari, ma da un nuovo polo di potere: il capitale digitale, che cresce indisturbato, invisibile e pervasivo.

Chi ha paura dell'Intelligenza Artificiale?

L'acceso dibattito e confronto tra coloro che vedono nell'Intelligenza Artificiale (di seguito denominata Ai) una risorsa e quanti, all'opposto, la considerano una tecnologia pericolosa si ripropone ormai costantemente. Arricchendosi ogni volta di ulteriori elementi che guardano spesso alla casistica nota degli sviluppatori.

Intervista ImPossibile a Hannah Arendt (IIP #01)

Hannah Arendt (1906–1975) è stata una delle più importanti filosofe politiche del Novecento. Ebrea tedesca, allieva di Heidegger e Jaspers, dopo l’esilio negli Stati Uniti ha pubblicato opere fondamentali come Le origini del totalitarismo (1951) e La banalità del male (1963), che hanno cambiato il nostro modo di comprendere il potere, il male e la responsabilità individuale. La sua riflessione sulla fragilità della democrazia, sul linguaggio politico e sulla libertà rimane ancora oggi un riferimento imprescindibile. In questa “intervista impossibile” proviamo a immaginare cosa direbbe Arendt di fronte alle implicazioni dell’intelligenza artificiale.

Il lato umano dell’intelligenza artificiale: è tutta una questione di prospettiva

La Storia come Bussola: Dal Sogno di Turing alla Realtà dei Dati Se vogliamo capire dove stiamo andando, dobbiamo prima capire da dove veniamo. Il viaggio nel mondo dell’IA inizia con un sogno, quello di un uomo visionario: Alan Turing. Nel 1950, pose la prima pietra, chiedendosi se le macchine potessero pensare. Questo non era solo un quesito tecnico, ma una profonda domanda filosofica. Pochi anni dopo, John McCarthy diede un nome a questo sogno: “Intelligenza Artificiale”. Era l’alba di un’era, un’epoca in cui si pensava di poter insegnare alle macchine a ragionare usando la logica matematica. I primi risultati furono agrodolci: l’IA poteva batterci a dama, ma faticava con gli scacchi senza un database immenso di partite . Proprio come un bambino prodigio che eccelle in una materia ma non ha il senso comune. Esempi come la vittoria di Deep Blue sul campione mondiale di scacchi, che McCarthy stesso definì una “forma di imbroglio” e non vera intelligenza, ci insegnano che il successo di un’IA è spesso legato a un contesto molto specifico.

Come svalutare tutto con un click

Ogni volta che pubblichi "Fatto in 5 minuti con l'AI, da qualche parte un creativo muore. Quella insopportabile e dilettantesca narrazione del "tutto veloce, tutto facile" che va tanto di moda sui social? È un autogol clamoroso e sta addestrando il mercato a non riconoscere il valore del lavoro. Ho scritto tutto quello che penso su questa storia nel mio ultimo articolo qui sotto.