Il sapere è sparso ovunque e, spesso, ci passa accanto senza fermarsi

C’è una malinconia sottile che accompagna chi cerca di pensare nell’epoca del rumore. Non una tristezza patetica, ma quella forma strana di lucidità che si prova quando si guarda troppo a lungo una stanza vuota e ci si accorge che qualcosa manca, anche se non si sa bene cosa. È da lì che nasce questa riflessione, scritta in un’ora incerta, quando la luce non è più giorno ma non è ancora sera. Non ha pretese, se non quella di offrire un piccolo varco nel muro compatto delle risposte automatiche. È una passeggiata interiore tra ciò che resta dell’arte, della conoscenza e del silenzio, in un tempo che sembra aver perso il senso del limite. Fulcenzio Odussomai, che scrive queste righe non per insegnare ma per continuare a cercare, sa bene che ogni parola è una provvisoria tregua nel caos, un gesto di resistenza contro la vertigine del troppo.

try { meaning } catch(error) { virtue }

In questo dialogo immaginario fuori dal tempo, Fulcenzio Odussomai – filosofo apocrifo e artigiano del pensiero – incontra due figure emblematiche della storia del digitale: Alan Turing, matematico visionario, e Steve Wozniak, ingegnere creativo e giullare del silicio. Ne nasce una conversazione inattesa, intensa e ironica, dove l’errore non è più un nemico ma un maestro, un varco, una soglia di comprensione. Tra aforismi, confessioni e intuizioni, il bug si trasforma in figura simbolica della condizione umana e della progettazione consapevole. Un dialogo sul fallimento come forma di conoscenza, e sul codice come metafora dell’esistenza.

Il tempo è adesso. Grazie, Papa Francesco

Oggi ho deciso di scrivere al Papa. Non solo per omaggiarlo, ma per ringraziarlo. Ora che ha lasciato questa vita terrena, sento il bisogno profondo di raccogliere il testamento civile che ci ha lasciato con le due encicliche Laudato si’ e Laudate Deum. In un mondo in fiamme – con 56 guerre in corso, una crisi climatica ignorata, e una società sempre più anestetizzata – ha avuto il coraggio di dire la verità con la forza mite della sua voce. «Tutto è connesso.» «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale.» «La contemplazione della bellezza ci porta a uscire da noi stessi.» Parole che ci interrogano e che restano. ✍️ Ho trasformato queste riflessioni in una lettera aperta. È un gesto di memoria, ma anche un invito a non perdere la direzione.

Libertà è partecipazione

Non c’è nulla di più importante della Libertà e su questo credo che possiamo essere tutti d’accordo, ma è fondamentale comprenderne il vero senso e capire che quando si parla di Libertà s’intende qualcosa che deve appartenere a tutti indistintamente e, per questo motivo, è ovvio che, pure se può sembrare una contraddizione, non può esistere vera Libertà senza il rispetto delle regole.

L’eredità di Bergoglio: l’uomo al centro, anche nell’era dell’Intelligenza Artificiale

Se c’è una frase che mi ha folgorato negli ultimi anni, mentre cercavo di conciliare il mio amore per la tecnologia con la mia ossessione per un futuro più umano, è stata quella di Bergoglio al G7: “𝑳’𝒖𝒐𝒎𝒐 𝒏𝒐𝒏 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒄𝒊𝒃𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒈𝒐𝒓𝒊𝒕𝒎𝒊”. Oggi, mentre il mondo piange la sua scomparsa, voglio ricordarlo così: come il Papa dell’Innovazione, il primo Pontefice tech-aware che ha osato mettere in guardia i potenti sull’IA con la stessa urgenza con cui parlava di povertà e guerre.

L'eredità letteraria di Papa Francesco

Durante la giornata di ieri ho letto post meravigliosi in memoria di Papa Francesco. Ma oggi vorrei ricordarLo attraverso la Sua profonda passione per la poesia ✍️ e la letteratura, testimoniata dall'opera "Viva la poesia!", curata da Antonio Spadaro per le Edizioni Ares.

La signora Berta Garlan: identità, desiderio e maschere nella Vienna fin-de-siècle

A oltre un secolo dalla pubblicazione, il romanzo resta attuale. Berta Garlan siamo noi, ogni volta che desideriamo fuori copione. Ogni volta che scopriamo che la libertà è un atto, non una concessione. Ogni volta che lo spazio psichico si allarga e la società cerca di richiuderlo. Schnitzler non salva, non consola. Ci invita a guardare. E quel che vediamo, se sappiamo leggere tra le righe, è un invito a pensare. Pensare a come ancora oggi il desiderio femminile sia terreno minato. Pensare a come la soggettività venga normata, silenziata, derisa.

L’incompetenza come diritto. L’Intelligence come necessità.

Recentemente un illuminante scambio epistolare (digitale) con 𝐂𝐚𝐫𝐥𝐨 𝐌𝐚𝐳𝐳𝐮𝐜𝐜𝐡𝐞𝐥𝐥𝐢 mi ha concesso la rara occasione di tornare a riflettere seriamente su un mio vecchio scritto - risalente ormai a più di 3 anni fa – dal titolo l’ “OSINT e i tempi di crisi”, pubblicato su LinkedIn il 5 marzo 2022 e poi su giovanninacci.net il successivo 14 marzo.

I mostri della Creatività: una Fenomenologia del Silenzio Interiore

Un saggio sull’atto creativo come esperienza fragile e profondamente umana, spesso ostacolata da ferite invisibili e giudizi interiorizzati. Tra introspezione e analisi epistemologica, questo testo esplora i “mostri della creatività”, le dinamiche tossiche che inibiscono l’espressione, e il coraggio necessario per reclamare la propria voce in un’epoca di visibilità forzata e narcisismi digitali.

Dall’agile alla vanità: pensiero, linguaggio e controllo nella società ipertecnologica

In un’epoca dominata dalla simulazione e dalla velocità, il linguaggio del lavoro si è trasformato in liturgia vuota, e le metodologie nate per liberare sono divenute nuove gabbie simboliche. Questo saggio esplora la crisi epistemologica che colpisce Agile, design thinking e cultura organizzativa, denunciando la deriva performativa del pensiero e invocando una disobbedienza intellettuale fatta di ascolto, dubbio e consapevolezza.

Metafore dell’organizzazione: sono stato alpinista e educatore

Il tempo è quello che è, ma ho già letto molto di quanto scritto in queste pagine. Oggi mi sono imbattuto in un articolo di Francesco Varanini dal titolo “Sono stato antropologo”: Le biografie dicono molto di noi, molto di più delle etichette che dovrebbero far capire qual è il nostro ruolo. E poi credo che per molti di noi (per me moltissimo) sia sempre stato difficile definirsi. Così ho ripescato dal mio blog questo piccolo racconto. Spiega meglio di tanti discorsi (anche se alcuni riferimenti saranno più chiari a chi è appassionato di montagna) come sono arrivato a fare il formatore: attraverso le prime esperienze di outdoor training in Italia, da una porta d’accesso particolare.

Le regole

Le regole sono un peso, sono una “scocciatura” come, ironicamente, ha affermato Obama nel suo bellissimo discorso del 3 Aprile 2025 allo Hamilton College di New York.   Sino a quando non verranno singolarmente cambiate e/o annullate, sono alla base del nostro vivere civile.

Villaggio globale o vortice?

Provate a pensare a questi primi mesi del 2025 e al tornado Trump che sta devastando il mondo globalizzato, mettendo a rischio quello occidentale nella sua stessa esistenza e in discussione i suoi rapporti con il resto del mondo. Questo tornado può essere connesso a varie metafore. Qui ne accenno due, entrambe prese dal pensiero di Marshall McLuhan: 𝗩𝗜𝗟𝗟𝗔𝗚𝗚𝗜𝗢 𝗚𝗟𝗢𝗕𝗔𝗟𝗘 𝗲 𝗠𝗔𝗘𝗟𝗦𝗧𝗥𝗢𝗠 (vortice). Per chi volesse fermarsi qui, l’ovvia domanda è se Trump sia appunto un “tribalizzatore” violento seriale che ci riporta al villaggio ancestrale o sia piuttosto un Vortice (Maelstrom) capace di centrifugare tutto con la sua forza centripeta, ma soprattutto per il controllo crescente di cui è dotato, grazie alla allenza con i signori delle piattaforme tecnologiche.

Cosa ci aspetta nel futuro?

Il futuro si sa è imprevedibile, incerto, dipende sempre dagli altri! Ma è ricco di avvenimenti che danno forma ad avvenire diversi ai quali ognuno può tentare di dare un senso in piena libertà.

L’umanesimo, la politica, il futuro

La percezione che nasce dalla lettura di articoli, libri, post, in questo preciso momento storico, è che “non ci resti che…. scrivere”, parafrasando il ben più noto titolo di un film degli anni 80, ma senza escludere l’atto finale che include qualche lacrima.

Leopardi. Lo Zibaldone come progetto e la scrittura come tentativo

Nessun testo che un autore sta scrivendo, nessun progetto in corso sarà mai ‘cosa ben sistemata’. Nessun lavoro di scrittura, e nessun progetto si conclude perché il lavoro è 'finito'. L'autore che scrive un testo -come chiunque impegnato nello svolgimento di un lavoro, sarà costretto a decidere, a un certo punto, facendo violenza su se stesso, a rilasciare il risultato raggiunto- nonostante l'acuta percezione della sua incompletezza, della sua imperfezione. Tranquillizzato, forse, dal fatto che i difetti sono scesi sotto una tollerabile soglia. Per questo lo 'Zibaldone' di Leopardi è il testo esemplare. Accumulo disordinato di carte, resterà in un baule. Solo alla fine del secolo, sessant'anni dopo la morte del poeta si penserà alla sua pubblicazione. Ma ogni testo leopardiano che appare finito è un sottoprodotto dello Zibaldone. Un estratto di quel baule. Lo 'Zibaldone' è una cornucopia: sovrabbondante fonte di testi possibili. Così, in generale, si può dire che ogni progetto è frutto di un metaprogetto: è frutto dell'intenzione di progettare, dell'impegno messo nel progettare. La riflessione attorno al continuo tentare di Leopardi -ogni suo lavoro è un assaggio, una prova, un esperimento- riguarda non solo ogni scrittore, manager, ma anche ogni manager, ogni lavoratore. E in fondo questo modo di costruire conoscenza, per accumulo di tentativi, è anche una spiegazione di ciò che può essere, di ciò che cerca di essere, il luogo digitale nel quale pubblico questo testo: la 'Stultifera Navis'.

Il libro: un paradosso affascinante

Il libro rappresenta il paradosso più affascinante della storia tecnologica umana: nella sua apparente semplicità meccanica si nasconde la più sofisticata macchina di espansione mentale mai concepita. Come affermava Umberto Eco, "il libro è una macchina per pensare", non perché ci impone cosa pensare, ma perché ci insegna come pensare, attivando processi cognitivi che nessun algoritmo può replicare.